E' incredibile come il tempo passi! Solo un attimo prima corri al parco con i tuoi amici e un attimo dopo ti ritrovi a veder correre i bambini e pensi che quelli erano bei tempi. Quando sei piccolo continui a dire che vuoi crescere e diventare adulto, ma quando quel momento arriva ti rendi conto che l'infanzia non era poi così male. Anch'io volevo essere grande, mi affascinava come i grandi avessero una soluzione a tutto e sapessero sempre cosa fare. Mi sembravano tutti degli eroi coraggiosi che non si arrendono mai. Ma la mattina del mio decimo compleanno tutto cambiò! Quella mattina mi alzai presto e corsi in cucina per fare colazione insieme ai miei genitori. Mentre scendevo giù sentii venire dalla cucina la voce di una persona che non conoscevo, i miei non invitavano mai gente così presto la mattina, era molto strano. Mi avvicinai per ascoltare, non ebbi il coraggio di entrare per vedere chi fosse. Stavano discutendo con una ragazza che continuava a ripetere loro di cercare di capirla e di accettarla ma i miei continuavano a dire di no, le dissero che io non dovevo vederla per nessun motivo perché mi avrebbe fatto del male e alla fine la fecero andare via. Io scappai in camera mia per non essere visto e osservai la ragazza andar via dalla finestra. Avrà avuto vent'anni circa, alta magra e... pallida, aveva un berretto in testa e i capelli non si vedevano, occhi azzurri e una bocca piccola come la mia. Era carina, sembrava simpatica, non riuscivo a capire perché i miei non volessero che io la vedessi. Dopo che chiuse il cancello di casa si voltò e guardò dritta verso la mia finestra, mi sorrise e mi fece un saluto, io ricambiai e le feci segno che non avrei detto nulla a miei. Pensai a quella ragazza tutto il giorno e fu allora che mi resi conto che gli adulti non erano poi così eroi come pensavo. Mi sembrava veramente scorretto il modo in cui l'avevano trattata, potevano mandarla via in una maniera più educata e poi perché non avrei dovuto conoscerla o vederla? Mi sarebbe piaciuto poter chiedere ai miei chi fosse quella ragazza ma forse avrei solo peggiorato le cose. l giorno dopo, mentre i miei erano al lavoro, la ragazzo tornò. Io non sapevo cosa fare ma il mio cuore mi diceva di farla entrare per conoscerla e così feci. Si chiamava Gioia e aveva compiuto i diciott'anni il giorno prima. Mentre si toglieva le scarpe la guardai bene, alla ricerca di un motivo per cui i miei non la sopportassero ma nulla, era una ragazza normale e mi sentivo al sicuro con lei. Non era una di quelle persone che ti danno quella sensazione di insicurezza. La feci accomodare in soggiorno e le chiesi se voleva qualcosa ma mi fece cenno di no, la mia prossima domanda sarebbe dovuta essere chi fosse ma rimasi zitto in attesa che fosse lei a dirmi qualcosa. Ci furono cinque minuti di silenzio in cui ci siamo guardati l'un l'altro e in questi cinque minuti mi accorsi che non si era tolta il berretto, era lo stesso che portava il giorno prima, quello che le copriva perfettamente tutti i capelli. Le chiesi perché non se lo toglieva per rompere quel momento di silenzio pesante e lei mi rispose semplicemente che le piaceva indossare berretti e che a casa ne aveva tanti. Non avevo mai incontrato qualcuno che collezionava e amava i cappelli ma era carino come hobby. Le squillò il telefono e dopo una brevissima conversazione disse che doveva andare perché i miei stavano tornando a casa. Si alzò e mentre si vestiva le domandai un motivo per cui non dire nulla ai miei e lei rispose sorridendo: "Perché ti voglio bene e voglio conoscerti prima che sia troppo tardi." Non compresi completamente la sua risposta ma rimasi zitto e non commentai. Quella sera pensai a Gioia e alla ragione per non dirlo ai miei, ma continuavo a non capire il senso di quel prima che sia troppo tardi, mi girava la frase in testa in continuazione senza risultato. Alla fine lasciai stare e andai a letto, era stata una lunga giornata. Qualche giorno dopo mia cugina mi portò con lei a pranzo in un ristorante, strano perché lei è grande e di solito pranza con quelli della sua età o con i sui genitori, di certo non con me, ma andai lo stesso. Mentre aspettavamo le chiesi perché aveva insistito tanto perché andassi con lei e mi disse che doveva parlarmi di una cosa molto importante, le domandai cosa e lì calò il silenzio. Rimanemmo in silenzio fino all'arrivo delle pizze, io continuavo ad aspettare impaziente una risposta. "Cosa ne pensi di Gioia?" e lì io rimasi perplesso, come faceva a sapere che mi ero visto con lei? "Guarda che io e lei ci conosciamo, siamo amiche. Lei ha un po' di difficoltà a fare amicizia con i ragazzi della sua età però le piace molto stare con i bambini così le ho parlato di te. Lo so che avete esattamente otto anni di differenza ma se due vanno d'accordo perché mai non dovrebbero essere amici?" Io non avevo la minima idea di cosa risponderle, però in effetti aveva ragione. Ma continuavo a non capire perché i miei non volessero che io la vedessi e prima che io potessi farle questa domanda riprese il discorso. "Ho parlato io di lei ai tuoi ma non erano molto convinti, così ho pensato che se l'avessero conosciuta di persona avrebbero cambiato idea ma non è andata così. Dicono che avere amici molto più grandi di te non sia una buona idea." Rimasi in silenzio per un po', ma alla fine le dissi cosa pensavo. "Non ha senso, io e lei andiamo d'accordo, è una ragazza stupenda con un hobby strano, per me è un'amica come tutte le altre." Così ci mettemmo d'accordo per come fare perché io e Gioia ci vedessimo all'insaputa dei miei. Mia cugina avrebbe detto loro che mi avrebbe portato al parco o a pranzo mentre in realtà mi sarei visto con Gioia. Non volevo mentire ai miei, né fare cose a loro insaputa, però neanche quello che facevano loro mi sembrava giusto, così programmammo il prossimo incontro. Ci incontrammo al parco, il mio parco preferito. Lei non c'era mai stata nonostante vivesse nei paraggi. In quel parco c'era il mio albero preferito, il salice piangente, i suoi rami erano talmente bassi che alcuni toccavano terra e tutti insieme formavano una specie di cupola. Ci sedemmo sull'erba sotto l'albero, non poteva vederci nessuno. Un soffio debole ma dolce di vento passava tra i rami e ci accarezzava i volti. Stavamo bene entrambi e per un po' restammo in silenzio a goderci quella brezza. Dopo un po' le chiesi se voleva andare a prendere un gelato e lei fu contenta di aver ricevuto questa proposta, sembrava che nessuno glielo avesse chiesto prima! Restai sorpreso quando scoprii che per entrambi il miglior gelato era melone e mango, era bello avere qualcosa in comune e chissà quante altre cose dovevamo ancora scoprir l'uno dell'altra. Tornammo al parco e ci sedemmo nello stesso posto di prima. Adesso i raggi del sole si infilavano tra un ramo e l'altro e ci lasciavano i volti a righe. Ci divertimmo molto a scattarci foto con pezzi di sole sulla faccia. Le machina fotografica con cui ci facemmo le foto era sua e sembrava nuova. Scegliemmo insieme la foto più bella e la stampò, poi tirò fuori dalla borsa un quadernetto dove appiccicò la foto e vicino ci scrisse la data e il luogo dello scatto, poi scrivemmo entrambi come ci siamo sentiti in quel momento: tranquillo, serena. Era bello avere un diario nel quale potevamo scrivere entrambi, non lo avevo mai fatto con nessuno prima d'ora. Decidemmo di vederci raramente per evitare che i miei mi scoprissero, era sospettoso andare da mia cugina troppo spesso. Io e Gioia ci rincontrammo dopo sei mesi, non vedevo l'ora di vederla, tra noi si era creato un rapporto molto speciale. Stavolta andammo a fare una passeggiata lungo il fiume, il fiume più pulito del paese, l'acqua era cosi trasparente e pulita da poter vedere il fondo anche dov'era profonda. Ci togliemmo le scarpe e ci bagnammo i piedi, era molto divertente, chiedemmo a una persona di scattarci una foto mentre ci schizzavamo con l'acqua, era venuta una meraviglia. Ci sedemmo su delle rocce e guardammo i pesci che nuotavano nell'acqua, facemmo a gara a chi ne vede per primo uno rosso e dopo aver scrutato l'acqua per più di mezz'ora, "Eccolo!" urlammo insieme. Ci guardammo e scoppiammo a ridere, il suo sorriso era stupendo. Eravamo una ragazza e un bambino bagnati fradici seduti su una roccia alla ricerca di pesci rossi. Attaccammo la foto sul diario segnando come l'altra volta luogo, data e stato d'animo: al settimo cielo, alla grande. Prima di andare a casa mia cugina mi portò da lei, dovevo asciugarmi altrimenti che scusa avrei trovato per i miei? Io e Gioia ci vedevamo ogni sei mesi e ogni volta scattavamo una foto da attaccare sul diario, il diario era lei a custodirlo perché se l'avessi portato a casa mia i miei avrebbero potuto trovarlo e vedere le foto. Ogni volta eravamo più legati, più vicini l'uno all'altra, consideravamo il nostro rapporto unico. Non mi sentivo affatto in colpa per gli incontri con Gioia all'insaputa dei miei, non era giusto quello che pensavano, sentivo di fare la cosa giusta. Ci incontrammo il giorno prima che io diventassi maggiorenne, quello fu il giorno più bello della mia vita. Mia cugina disse ai miei che mi avrebbe portata con lei al mare, così passò la mattina presto a prendermi e poi andammo a prendere Gioia. Arrivati al mare mia cugina ci lasciò soli. Stendemmo un lenzuolo a qualche metro dall'acqua e poi ci togliemmo le scarpe per bagnarci i piedi. Faceva freddo, il vento soffiava ma non era forte, le onde erano alte e a volte arrivavano anche a mezzo metro di altezza. Avremmo voluto buttarci tra le onde e fare a gara a chi riusciva a stare più tempo in piedi prima di essere travolto da un'onda ma l'acqua non era abbastanza calda da potercisi tuffare. Entrammo solo con i piedi e ci bagnammo fino alle ginocchia. Dopo pranzo ci stendemmo a guardare le nuvole nel cielo, era un momento stupendo, entrambi ci sentivamo rilassati e felici. Nel pomeriggio giocammo a pallavolo, abbiamo riso a crepapelle tutto il tempo e in più dopo un po' che giocavamo qualche estraneo si unì a noi. La sera fu il momento più intenso della giornata. Al tramonto il cielo e il mare si colorarono di arancione, giallo e rosso, uno spettacolo mozzafiato. Ci sedemmo sulle rocce vicino all'acqua e ci godemmo il tramonto insieme, abbracciati per la prima volta. Abbiamo scattato la foto quando i magnifici colori nel cielo erano quasi completamente scomparsi, volevamo ricordarci il finale di quel momento. Attaccammo la foto sul diario e stavolta scrivemmo solo un sentimento, perché era uguale per entrambi: realizzati. Tornato a casa mi sentivo strano e stanco, non so perché, i miei continuavano a dirmi che dovevo essere felice perché mancavano due ore ai diciott'anni, ma io non ero felice, né mi andava di esserlo. Sentivo che il mio primo giorno da maggiorenne sarebbe stato pesante. Andai a letto, non feci più come gli altri anni, di solito stavo sveglio fino a mezzanotte ma questa volta non avevo la minima voglia. La mattina dopo mi svegliai tardi, appena i miei mi videro sveglio entrarono per farmi gli auguri, baciarmi e tirarmi le orecchie ma non avevo voglia di niente, volevo solo essere lasciato in pace. Dopo qualche ora squillò il telefono, era un numero senza nome. Pensai fosse Gioia dato che il giorno prima le avevo lasciato il mio numero, ma non era lei, era un'infermiera dell'ospedale del nostro paese. Mi chiese di andare lì ma non mi disse perché. Presi la bici e andai, senza neanche dirlo ai miei. Arrivato in ospedale andai in terapia intensiva come mi avevano detto e un'infermiera arrivò e mi condusse in una stanza. Entrai e vidi Gioia collegata a tutti i tipi di tubi e tubicini possibili. Avevo paura a toccarla con tutti quei fili. Chiesi all'infermiera cos'era successo ma mi disse solo che stava a me decidere quando staccarla dalle macchine perché era tenuta in vita solo grazie alle macchine. L'infermiera uscì senza dirmi altro e io scoppiai in lacrime. La presi per mano, mi sedetti accanto al suo letto e dopo un po' scorsi il nostro diario sul suo armadietto. Lo presi e sfogliai pagina per pagina, sedici foto scattate ognuna in momenti, giorni e stati d'animo diversi fra di loro, tutto questo in otto anni. Ma dopo l'ultima foto c'era una pagina scritta da lei, era la sua perfetta calligrafia.
Caro Fede,
innanzitutto ti faccio gli auguri mio caro maggiorenne !!! Abbiamo passato dei bellissimi momenti insieme e ti ringrazio per avermi accettata così come sono. Ma c'è qualcosa che non ti ho mai detto.
SONO TUA SORELLA
Quando avevo compiuto otto anni sei nato tu, salii in macchina con papà per venire a vederti. Mentre ero in macchina pensavo a un modo per sbarazzarmi di te, non mi andava di condividere le cose con te, ma poi, quando ti ho visto, ho pensato che non eri così male. Mi piaceva tenerti in braccio e cullarti per farti smettere di urlare, mi piaceva aiutare la mamma a farti il bagnetto e a darti da mangiare. Ma due anni dopo la tua nascita scoprii di avere un tumore al cervello. Mamma e papà non mi hanno più voluta da allora, non volevano figli malati, dicevano che portano sfortuna ed è per questo che non volevano che noi due ci incontrassimo. Quando ho compiuto diciott'anni ho deciso di provare a tornare da loro, magari maggiorenne mi accettavano, ma come hai visto mi hanno cacciata. Il berretto che ho sempre avuto in testa lo mettevo per non farti vedere la mia testa pelata a causa della chemio. Negli anni le mie condizioni sono peggiorate e sapevo bene che questo momento sarebbe arrivato. Non essere arrabbiato perché non abbiamo avuto tempo per stare insieme perché di tempo ne abbiamo avuto più degli altri. Continua a scrivere su questo diario e leggimi ciò che scrivi, io sarò sempre vicino a te ad ascoltarti. Sto scrivendo questo ora, poco dopo che mi hanno detto che non passerò la notte. Il mio tempo su questa pianeta l'ho passato e non mi manca nulla, quindi, quando te la senti, staccami.
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General FictionLa storia di un bambino che trascorre pochi giorni della sua vita con una ragazza e scoprire dopo tanti anni chi era lei per lui realmente.