Dwayne Hussain si considerava un tipo sveglio, uno che aveva occhio nei riguardi delle cose strane. Credeva di aver visto un sacco di cose bizzarre nella sua vita, a partire da quella volta in cui pensava di aver fotografato l'Uomo Falena - in realtà gli occhi di un opossum nascosto nell'immondizia - e quell'altra nella quale aveva collezionato ciuffetti di peli di gatto particolarmente folti spacciandoli per quelli di un licantropo, quando in realtà appartenevano al vecchio Signor Frisker, il gatto siberiano della sua vicina di casa, al tempo affetto da una forma particolarmente aggressiva di scabbia.
Dwayne ci credeva davvero nelle proprie capacità di comprensione del mondo soprannaturale, ed era anche l'unico a pensarla così: per sua madre, single per scelta degli altri da più o meno dieci anni, Dwayne non era che un pulcino ingenuo e incapace di sopravvivere da solo al grande mare sempre in tempesta della vita.
Quella gita al San Diego Comics era un'eccezione alla sua normale e barbosissima vita di bamboccetto imboccato, suo malgrado, dalla genitrice notte e dì: rappresentava un premio per aver passato indenne l'ultimo anno delle scuole medie, roba che non era da dare per scontata, viste le sue scarse attitudini, la dislessia e il record di minor lasso di tempo passato a concentrarsi in maniera consecutiva della scuola. La signorina Hussain aveva, per questo motivo, capitolato di fronte alle insistenze del figlio, che turbava la sua quiete da ben due anni con quella molesta storia della fiera del fumetto. Alla fine, per premiarlo - aveva letto in un libro di psicologia adolescenziale che era necessario darla vinta di tanto in tanto ai propri figli, per far meglio digerire i consigli e mascherare i futuri ordini da richieste necessarie - aveva accordato a Dwayne di fare questo benedetto giro alla fiera, accompagnato però da sua cugina maggiore, Kelly.
Kelly aveva diciannove anni e alcuna intenzione di badare a quel ragazzetto riccioluto e occhialuto quando aveva la possibilità di devolvere le proprie attenzioni sui molti maschi in cosplay presenti, così aveva accettato per puro tornaconto personale la proposta della zia Sarah ma, non appena avevano messo piede all'interno del Comics, aveva sganciato al cugino un bigliettone da venti dollari per comprarne il silenzio e si era dileguata.
Non che a Dwayne la cosa non fosse stata di gradimento, anzi. Era un sogno che diventava realtà! Non solo stata era alla fiera, ma poteva girarla da solo e soprattutto con venti in mano!
Non ci aveva pensato due volte: avrebbe investito quel denaro nel migliore dei modi, neanche Kelly si sarebbe pentita di aver pagato così profumatamente il suo silenzio. Preso dalla febbre dello shopping aveva girato stand su stand, riconoscendo al volo faccioni manga, assassini belli e dannati, fumetti scioncio-scherzosi e addirittura quei cuscini un po' da depravati - ma che avrebbe tanto desiderato - a misura di protagonista degli anime.
Per un soffio non aveva acquistato proprio quell'obbrobrio da quarantenne ciccione e pervertito, ma poi i suoi occhi, saettando febbrili lungo il corridoio tra gli stand, avevano individuato... loro.
Il più bel paio di ali steampunk mai viste sul pianeta Terra. Struttura in lega di finto bronzo, vela di finta pelle e imbracatura di finta canapa.
Tutto finto, sì. Ma meraviglioso.
La cosa divertente era che lo stand era vuoto. Certo, era davvero molto piccolo e incastrato tra due tendoni della X-Box. Certo, aveva ben pochi oggetti, giusto qualche altro gingillo in - lasciatemi indovinare - finto metallo. Certo, il suo proprietario non aveva un aspetto molto rassicurante, visto l'elevato prognatismo, la pancia da birraio e l'espressione sospettosa. Però quelle ali erano favolose! Mirabolanti! Possibile che nessuno le avesse ancora notate?
Dwayne se lo era chiesto per una scarsa manciatina di secondi, poi il suo cervello gli aveva urlato di darsi una mossa, che quello era il Destino di sicuro, di sicuro lo stava mettendo alla prova per vedere se era abbastanza sveglio da aggiudicarsi quell'articolo incredibilmente bello a un prezzo ridicolmente basso.
Quella decisione era la prova che sua madre aveva sempre avuto ragione su tutto: Dwayne non avrebbe saputo distinguere un mostro da uno scolapasta nemmeno se il secondo si fosse trovato in testa al primo.
Figuriamoci un mostro così ben camuffato.
"Senta, io ho solo venti dollari. Non è che potrebbe farmi uno sconto?" Lo implorava da più di dieci minuti, trattenendosi disperato dalla voglia di toccare il prodotto tanto ambito.
Aveva smesso di concentrarsi sul venditore: gli bastava udire i suoi grugniti.
"Ventitré." Ripeté per la sedicesima volta alle sue spalle, dove si era posizionato con cura e precisione senza che il ragazzino se ne accorgesse. "Ventitré e basta."
"Ma io non ce li ho ventitré dollari."
"Ventitré. Prendere o lasciare."
"Non possiamo fare un accordo? Io le do venti dollari e poi il resto..." Dwayne voleva le sue ali a tutti i costi. "Non so, potrei darle una mano con lo stand."
Questa volta il venditore non rispose e Dwayne ebbe la speranza che ci stesse riflettendo su. Gli sarebbe piaciuto lavorare in quel piccolo posto dimenticato da Dio e dai cosplayer, forse avrebbe potuto giovare ai guadagni di quell'antipatico artigiano. Se lo figurava già riconoscente, con le lacrime agli occhi, per aver cambiato tattica di commercio e aver venduto tutta la sua merce. Poteva già percepire la finta pelle delle ali tra le dita...
Una mano pesante, sicuramente fatta calare con intento colposo, lo ridestò bruscamente dai suoi sogni a occhi aperti. Si voltò e trasecolò quando, al posto del brutto muso del venditore, si trovò davanti la versione più unta, giovane e cafonazza di Sirius Black.
"Ciao, sfigato." Gli disse il redivivo, facendo un sorrisetto che non aveva nulla di amichevole. "Mi sa tanto che ti toccherà venire con noi."
Dwayne, incredulo, stentò a comprendere le parole di quelle creatura, metà adolescente e metà portatore di baffetti di Pablo Escobar. Quando però capì la serietà della questione e cioè di aver a che fare con un viscido maniaco poco più grande di lui - sicuramente sua madre avrebbe detto che era un ragazzo a cui non era stato spiegato il valore del NO nella vita - si divincolò, fece un passo indietro e per poco non fece crollare le sue preziose ali a terra.
"Hey." Disse infastidito Sirius. "Guarda che non abbiamo tempo."
Cercò di riacciuffarlo, ma Dwyane fece per spingerlo via, deciso a difendere il suo onore di quattordicenne illibato, ma proprio in quel momento fece l'errore di guardare alle spalle, più precisamente sulla sinistra, dietro l'unico tavolino da giardino che il venditore aveva scelto per arredare in modo minimal il suo stand, e vide qualcosa che avrebbe decretato la fine della sua normalità e l'inizio delle vere cose strane: l'esplosione del brutto artigiano in un pulviscolo dorato a opera del magizoologo Newt Scamander.
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Odissea del Nord
De TodoA distanza di due anni dalla caduta di New Troy, grandi e piccole cose sono cambiate al Campo Mezzosangue: qualcuno si è innamorato, qualcun altro ha intrapreso la via del college, qualcun altro ancora ha deciso di assomigliare a Kurt Cobain, ma mor...