-One-Shot-

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Fin da quando posso ricordare, ho sempre avuto un filo rosso annodato al mignolo della mano sinistra che mi lega al mio vicino di casa, Giovanni.
Lo conosco da sempre. Uno dei primissimi ricordi che ho è infatti con lui, un evento abbastanza stupido e insignificante direi: noi due che giocavamo alla Play in camera mia. Ricordo che finivo spesso per buttare un occhio su quel rosso acceso che ci univa e, sfortunatamente per me, nel corso degli anni questo vizio mi ha fatto perdere parecchie partite.
Da bambini, io e Giovanni ne parlavamo spesso, nonostante lui non potesse vederlo. Ne eravamo affascinati. Avevamo anche messo a punto varie teorie sul filo; la nostra preferita era quella per cui ci avrebbe reso supereroi quando avremmo compiuto entrambi diciott'anni e avremmo passato così i nostri giorni da adulti a salvare il mondo. Stupido e infantile, ma sicuramente divertente.

Un giorno, avrò avuto sì e no 4 o 5 anni, chiesi innocentemente a mia madre del filo, ma lei non ne fu entusiasta come ne era stato Giovanni. Le prime volte mi liquidò senza tante storie dicendomi che non aveva tempo per giocare con me, ma più insistevo più si irritava. Provai diverse volte, ero un bambino alquanto ingenuo, ma lei continuò a crederlo un semplice gioco ed esasperata mi vietò di parlarne ancora. La ascoltai, nonostante tutto ero ubbidiente, e non ne parlai più con nessuno; fatta eccezione per Giovanni, ovviamente. Era il mio migliore amico; come facevo a smettere di parlare con lui di una cosa tanto strana e interessante. In più, era l'unico che mi aveva sempre creduto; lo elettrizzava l'idea di essere sempre collegati, come se fossimo costantemente vicini.

Raggiunta poi l'adolescenza provai a fare vari esperimenti con quel filo. A prima vista sembrava molto fragile e pareva possibile spezzarlo anche solo guardandolo, provai quindi a romperlo. Tutti i miei tentativi risultarono però vani: forbici e taglierini ci passavano attraverso, come effettivamente qualsiasi altro oggetto, e il fuoco sembrava non sortire alcun effetto. Giunsi alla conclusione che l'unica cosa che poteva toccarlo ero io, provai quindi a spezzarlo con le mie mani, ma scoprii presto le strabilianti proprietà elastiche di quel filo striminzito. Alla fine lasciai perdere e accettai quella piccola stranezza come parte della mia quotidianità.
Non seppi precisamente quando, ma presto mi ritrovai con la cattiva abitudine di attorcigliarlo attorno alle dita come antistress; era molto più pratico rispetto ai tappi dei burro cacao e ai braccialetti che costantemente smarrivo, ma alquanto fuoriluogo per quanto riguardava l'essere preso come una persona normale. Credo di aver perso il conto di quanti pezzi io abbia dovuto tagliare o editare fuori dai video cosicché non si vedessero le mie dita che giocavano con l'aria. Per non parlare poi degli sguardi confusi delle persone dal vivo... direi che come antistress gli darei un punteggio pieno se solo non mi facesse sembrare sempre pazzo.

Sinceramente, passati i primi anni e le varie teorie stupide che avevamo inventato da bambini, non mi ero più domandato il perché di questo filo, lo avevo iniziato a dare per scontato. Era una parte di me, c'era e basta, non mi serviva una spiegazione; nessuno si chiede il perché di una mano o di una gamba.
Eppure questa è arrivata comunque; ed ora io sono qui, fermo, davanti a questa dannata porta scioccato e in qualche modo impaurito da come potrebbe reagire Giovanni... ma partiamo dall'inizio? Ne parlo come non fosse tutto successo più o meno mezz'ora fa.

Straiata con le gambe a penzoloni dal bracciolo del mio piccolo divano Erica stava cercando di richiamare la mia attenzione punzecchiandomi il fianco con il cellulare. Non solo aveva preso la maggior parte del divano, doveva pure infastidirmi...
"Se non la pianti te lo butto quel telefono." Lei mi rispose con una smorfia.
"Ti sembra il modo di minacciare all'unica persona che ti sopporta oltre Giovanni?"
"E tu ti faresti chiamare la mia migliore amica? Tanto gentile da parte tua."
Ci scambiammo un ghigno di intesa.
"In quanto tale devo essere sincera quando ti dico che sei una spina nel fianco."
"Sempre molto family friendly. Che sono un dito in culo puoi dirlo, eh."
Scoppiarmmo entrambi a ridere. Tranquillità era ciò che impregnava il salotto. Quel tipo di familiarità che si sblocca dopo anni di conoscenza. Stavano bene.
Erica allungò di nuovo il telefono verso di me e mi mostrò il titolo di un capitolo del libro che stava leggendo. Se non ricordavo male avrebbe dovuto essere sulle leggende giapponesi... lei e le sue ossessioni.
"Akai ito?" Presi in mano il telefono e feci finta di scorrere ciò che diceva. Sapevo perfettamente che me ne avrebbe comunque parlato lei, era abbastanza inutile leggerlo per conto mio.
"Esatto. È ciò che lega due anime gemelle. Il destino. Akai ito, ossia il filo rosso. Non sarebbe molto più semplice se tutti lo avessero sul serio e potessimo vederlo? Pensa solo quanto semplice- Andrea tutto bene?"
Di cosa stava parlando? Non poteva sul serio essere vero. No, si stava sicuramente sbagliando... Non- No- Anche fosse, è solo una stupida leggenda, non ha nessun fondamento... Sarà solo un caso.
La faccia preoccupata di Erica mi fece riscuotere dal mio stato di puro sgomento.
"Andrea mi spaventi... A cosa stai pensando?"
Non sapevo come rispondere, non avevo più parole, mi si erano seccate tutte in bocca.
"Ehm... Niente, non-" Mi misi a leggere freneticamente tutto il capitolo mentre Erica continuava preoccupata a chiedermi se stessi bene. No, non stavo bene. Ma che avrei potuto dirle‽

Il Filo Rosso || Camperkiller~ One-ShotDove le storie prendono vita. Scoprilo ora