Capitolo 4

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Quando Kadlin era uscita dalla dimora del padre, aveva pensato in un primo momento di andare nella propria per compatirsi, ma alla fine aveva scelto di scaricare la frustrazione con un brutale scontro fisico e, per tale ragione, si era recata subito nel luogo dell'addestramento. Non appena era entrata aveva legato i lunghi capelli in una coda bassa, poi aveva preso la sua spada dal tavolo e infine aveva iniziato a infliggere ripetuti colpi sul finto uomo. Sentiva la rabbia divamparle nelle vene come un fuoco prosperoso, che irrompe e si propaga rapidamente in una foresta colpita dalla siccità.

Doveva sfogare la sua mortificazione perché ne aveva un disperato bisogno. Era così impegnata nello scontro, che non si accorse subito di avere due occhi grigi puntati addosso.

Il guerriero di Birka, infatti, si era fermato accanto alla porta d'ingresso appoggiandosi al legno della parete, per osservare in silenzio quella furia dai lunghi capelli biondi. I di lei movimenti erano veloci e i colpi erano dati con rabbia e determinazione.

Non l'avrei mai detto che fosse lei il guerriero! Pensò con piacevole sorpresa.

"Spero che ti stia divertendo?" chiese infliggendo l'ultimo colpo.

"In realtà, mi sto chiedendo cosa ti ha fatto quel povero fantoccio" rispose lui staccandosi dal legno per avvicinarsi.

Kadlin si volse a guardarlo.

Il viso dai lineamenti delicati era arrossato e incorniciato da fili umidi. Gli occhi verdi erano fiammeggianti e le labbra tremavano per lo sforzo di non gridare.

"Non è il fantoccio a infastidirmi" rispose secca.

"Sono gli uomini, immagino" suppose lui portandosi al suo fianco.

Con una mano sfiorò i brandelli del finto uomo, ignorando abilmente quelle fiamme smeraldo, che lo stavano scrutando dal basso.

"Spero che mio padre ti abbia messo a parte dei suoi piani" sibilò a denti stretti.

L'uomo fece un mezzo sorriso, tutta quella rabbia stranamente lo divertiva.

"Valgo così poco che non ti degni neanche di rispondermi" gridò lanciando la spada sul ripiano vuoto.

Alrik le afferrò il polso e la costrinse a guardarlo.

Dai suoi lineamenti erano spariti i segni del sorriso lasciando il posto a una severità tenebrosa.

"Il valore si conquista con le gesta e con i gesti, donna" sibilò irritato. Spostò lo sguardo dal suo volto all'arma abbandonata sul legno e aggiunse: "Con il tuo, mi hai appena dimostrato di valere molto poco."

La giovane capì subito a cosa si riferisse.

Suo padre le aveva insegnato che lo scudo e il folletto* erano di grande importanza per un guerriero e che è da come li tratta, che si capisce il suo valore.

"Hai ragione", ammise liberandosi da quella stretta, "presterò più attenzione alla mia spada."

L'uomo annuì soddisfatto.

Non che a quella giovane dovessero interessare quelle cose, ma aveva voluto ugualmente dirgliele, anche se non gli era ben chiaro il motivo.

"Sono venuto a cercarti perché tuo padre dice che mi potresti accompagnare negli alloggi vuoti" spiegò la sua presenza, mentre i suoi occhi grigi seguivano con attenzione ogni suo movimento, dal riprendere la spada, al riporla nel suo panno con delicatezza.

"Certo" confermò a bassa voce.

Era così arrabbiata prima, che aveva commesso un errore imperdonabile. Come poteva definirsi una vera guerriera se non aveva riguardo per la sua arma.

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