XIX

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Irama

Sono qui in ospedale da più di tre ore. Non entravo in uno di questi edifici ricoperti di bianco da quando ho visto morire Sveva. Lei era una delle persone più importanti per me, la mia ragione di vita. E so che ora è il mio angelo custode ed è stata lei a farmi incontrare Iris. Ora Iris ha preso il suo posto, non dico che l'ha sostituita, perché Sveva fa comunque parte del mio cuore ed è un pezzo importante della mia vita, delle mie esperienze. E rimpiango di non averglielo mai detto, anche se so che in fondo lo ha sempre sospettato. Ha sempre saputo dell'altro mio lato. Adesso Iris è la persona più importante per me. Ed è diverso da quello che ho passato con Sveva. Perché lei ha sempre avuto un vita molto adagiata al contrario della mora. Eravamo più piccoli e tutto era più semplice. Ora è diverso. Non mi frega più niente del resto del mondo. Mi interessa solo di lei. Esclusivamente di lei e della sua salute. La cosa che mi fa più rabbia è che le persone a cui tengo debbano sempre finire in questo posto. Ho visto finire la vita giovane della ragazza che amavo, adesso non farò volare via Iris. La vita dà una seconda opportunità. Non una terza. E io la mia seconda opportunità non me la faccio scappare. Non posso. Non devo. Non voglio. Quando sono entrato nel camerino, lei aveva già il suo corpo steso sul pavimento. Ho chiamato lo staff e Maria ha fermato il programma, scusandosi con il pubblico da casa e, soprattutto con quello seduto sugli spalti, dato che hanno dovuto pagare per vederci. Avrei voluto sapere chi fosse al telefono, chi l'avesse chiamata, il nome della persona che le ha fatto del male. Ma purtroppo il telefono è caduto di schermo sul pavimento di pietra e non c'è stato niente da fare. Ho chiamato Lori e sua madre che, appena hanno saputo la notizia, volevano raggiungermi, ma ho insistito per non farli preoccupare troppo. Me la vedo io con Iris. Maria ha fatto venire solo me, gli altri mi chiamano ogni attimo per avere sue notizie. Ma non le so neanche io. Vedo sempre dottori e dottoresse correre tra i corridoi, passarmi accanto e non accorgersi della mia presenza o della mia domanda che sto ponendo loro da quando sono arrivato qui -Come sta Iris?-
I dottori che sentono, invece, o che non vanno di corsa, rispondono sempre allo stesso modo, tutti uguali, come burattini -Le stiamo facendo alcune analisi, non sappiamo con certezza, possiamo dare informazioni solo ai parenti.- io la devo ancora capire questa assurdità dei parenti e non. Se le persone come Iris non hanno parenti? Se tengono più ai fidanzati che ai genitori che li trattano male? Una malinconia mi sale in corpo quando mi ricordo di non essere il suo ragazzo. Della sua espressione delusa, triste e arrabbiata. Di quanto io l'abbia fatta soffrire. Poi però ricordo l'ultima emozione che mi ha regalato. Quando le ho dedicato la canzone. Voglio averla con me, stringerla forte, baciarla, accarezzarla, vederla ridere, vederla sorridere timidamente, sfiorarle le labbra imbronciate, asciugarle le lacrime, prenderle il labbro inferiore tra i denti. Non posso stare senza lei e forse sembreranno frasi già fatte ma è la pura verità. Nemmeno io capisco tutta questa sdolcinatezza che esce fuori di tratto quando la penso. Non la esterno molto, non dico parole qua e là. Glielo dimostro con i gesti, perché così sono bravo a fare. Mi riesce meglio e so che lei lo percepisce. Io voglio continuare a dimostrarglielo. Mi stacco dal muro e vado spedito verso la stanza ove si trova la ragazza che riempie la mia testa di pensieri vaganti. Se non mi vogliono dire ciò che succede, lo scoprirò da solo. Come si dice? Se Maometto non va dalla montagna, la montagna va da Maometto. Apro velocemente la porta, cercando di fare meno rumore possibile e la vedo sdraiata, con le labbra schiuse e i capelli portati di lato sulla sua spalla destra. Il corpo è avvolto dallla stoffa sottile e le braccia sono al di fuori di esso. Ha l'espressione tranquilla. La fisso per un po' pensando alla fortuna sfacciata che mi sono meritato di non avere infermiere tra i piedi. Mi accomodo sulla sedia di plastica accanto ad Iris che ha ancora gli occhi chiusi, ma sorprendentemente rilassati. Le prendo una mano e la stringo leggermente nella mia. È così affusolata, sottile ed aggraziata. Fisso accuratamente ogni particolare. Non porta anelli né indossa lo smalto, ma ci tiene alla cura delle sue unghie e della sua pelle. Le parole escono sciolte dalle mie labbra -Iris, mi manchi, te lo giuro. So che ti ho ferita e merito di stare male, ho bisogno che tu sappia la verità, perché non è come credi, ma per favore svegliati, non dico che lo devi fare per me ma pensa a Lori, Lauren, Zic, Nicole. Pensa a chi vuoi tu. Basta che apri i tuoi occhioni cangianti tra il verde ed il grigio. I dottori non vogliono dirmi cos'hai, non sono sicuri di nulla ed io sono in preda al panico. Comprendimi, non è la prima volta che mi succede e avrei voluto non succedesse più. Ma ora che è successo anche a te, pensa a quello che ho passato. Non voglio perderti. Ti scongiuro.- sussurro, una lacrima scorre fluida sulla mia guancia sinistra, cadendo sul mento. -Ti amo, Iris. Ora te lo posso dire con sicurezza, ti amo. E te lo direi sempre, se solo ti svegliassi. Torniamo a scuola insieme.- chiudo gli occhi e sospiro frustrato. Non può capitare di nuovo. Non può, non deve succedere. Sento la sua mano stringere di poco la mia. Apro gli occhi di scatto e la vedo muoversi lentamente, con gli occhi semichiusi. Inizio a piangere come mai prima d'ora. Un pianto liberatorio. Ho avuto paura di perderla, una paura terribile. Respiro l'odore dolce della sua pelle mentre l'abbraccio con tutto me stesso. Senza farle male. Lei mi abbraccia debolmente in ricambio. Mi accarezza la nuca e un sussurro, come un fruscio, esce dalle sue labbra rosee, il sussurro più bello ed emozionante di sempre -Ti amo anch'io, Fil.-

Nel mare dove non si tocca {IRAMA}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora