1. Carta stropicciata

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18 luglio 2019, ore 14:37
Stazione Ferroviaria di Piacenza, Piazzale Guglielmo Marconi ⟶ Viale Piacentino ⟶ Via Benedettine

Mi sono tirato così tanto a lucido per questo colloquio, che sembro un pinguino. A dirla tutta manco sapevo di avere questo completo nell'armadio, mentre mia madre è fermamente convinta che io lo abbia indossato alla laurea - ma stiamo parlando di ormai tre anni fa ed è già tanto se mi ricordo che cosa ho mangiato a colazione.
I casi quindi sono due:
1) Le donne hanno una memoria elefantiaca;
2) Il mio cervello ha bisogno di cestinare regolarmente i ricordi inutili, per memorizzarne altri (ancora più inutili).
Poco male, almeno non ho dovuto comprarne un altro. Non sarei riuscito a sopportare mamma per un'intera giornata, alla ricerca di qualcosa da indossare per poter ingannare ben bene la società.
Ergo mi auguro di fare sufficientemente pietà al mio futuro capo, in modo da assicurarmi il posto da tipografo. Il piano è semplice: consegnare il curriculum, piazzare poche risposte che mi facciano sembrare intelligente, stringere la mano e abbozzare un lieve inchino, per poi correre alla velocità della luce in stazione e pregare che Trenitalia non decida di lasciarmi a Piacenza.
Piacenza...
Ma davvero una città con un nome del genere esiste dal 218 a.C.? E perché diavolo non si trova in Lombardia? Andiamo, persino alcuni insegnanti sono convinti che non abbia mai fatto parte dell'Emilia Romagna!

Ad essere sincero, non credevo che due ore scarse di treno fossero sufficienti per farmi tornare al giurassico inferiore.
Sarà che sono abituato alla grandeur di Torino, ma questa città è decisamente minuscola al confronto - la si potrebbe definire una cittadina taglia curvy, sì, proprio in un enorme slancio di generosità.
Tuttavia qui c'è una stazione e penso di aver addirittura intravisto qualche Freccia sui binari. È già qualche punto in più a suo favore: vorrà dire che combatterò per il suo statuto di provincia al prossimo referendum, sempre che mi accolga come suo degno e amato lavoratore.
Se sto vagando in questo grumo di case fermo agli inizi del 2000, è grazie a quella mente criminale di mia madre che, in preda alla disperazione, ha escogitato un piano per trovarmi un lavoro - in effetti a ventisei anni essere ancora disoccupato dovrebbe essere un reato, ma lo penso soltanto perché credo di avere già una poltrona comoda da ufficio sotto al mio sacrosanto deretano.
Che poi, per carità, non sono così tanto disgraziato: mi sono laureato con un votone senza andare fuori corso, ma appartengo a quella categoria di studenti speciali convinta che le offerte di lavoro inizino a piovere dal cielo una volta indossata la toga.
Invece no.
Perciò eccomi qui, un pinguino in pieno luglio, armato di una valigetta di pelle che dovrebbe essere la metafora dei miei sogni e delle mie speranze, quando in realtà contiene a malapena due fogli volanti.

Quando ho scritto la mail di richiesta per un colloquio di lavoro al direttore del Cittadino, ho trascorso l'intera giornata a domandarmi se fosse abbastanza formale - un po' come quando, in università, si doveva chiedere ricevimento al docente.
Ma avrò messo tutte le maiuscole al posto giusto? Ed "Egregio Signor Direttore" andava abbreviato, oppure ho fatto bene a lasciarlo così com'è? I miei periodi ad albero genealogico lunghi sette righe ciascuno saranno sufficientemente comprensibili, oppure il destinatario sarà morto d'asma leggendoli ad alta voce nel tentativo di capirci qualcosa?
Non che la risposta mi abbia un granché tranquillizzato.

Gentile Filippo,

Le ho fissato un appuntamento il giorno 18/07 alle ore 17:00 per valutare personalmente la Sua candidatura.

Cordiali saluti,

S.R.
Direttore Cittadino - Quotidiano di Piacenza

Basta. Non c'era nient'altro.
Com'è che lo aveva definito mia madre? Ah, giusto: «Se è rimasto sempre lo stesso di qualche anno fa, ti assicuro che è un brav'uomo,» mi aveva tranquillizzato, scuotendo il capo e rivolgendo lo sguardo verso chissà quale ricordo nostalgico «è sempre disponibile e nutre tanta speranza nei giovani come te».
Da una descrizione del genere non riesci ad immaginare altro che un uomo ormai prossimo alla pensione, che se ne inventa di tutti i colori per svecchiare l'età media del giornale. Speriamo sia davvero così fiducioso come si dice, altrimenti posso dichiararmi sconfitto in partenza.
Beh, non resta che scoprirlo vivendo. Quindi eccomi qua, davanti alla redazione del Cittadino, pronto ad affrontare questa sfida e a portare a casa il posto da tipografo.
Sempre che io riesca a superare questa minacciosa porta girevole.

18 luglio 2019, ore 17:03
Editoriale Il Cittadino S.p.A. - Via Benedettine

Piacentini brava gente, dicevano. Il tuo posto di lavoro è assicurato, dicevano. Tanto il direttore è un brav'uomo, lo conosco, è sempre disponibile e nutre tanta speranza nei confronti dei giovani come te.
Dicevano, dicevano e ancora dicevano.
Ed io che ci ho anche creduto, da bravo imbecille, e non ho manco pensato di informarmi come si deve. Ho pure scritto quella bellissima mail in stile "Egregio Signor Direttore", chiedendo un colloquio manco fosse il Presidente della Repubblica, giusto per ricevere una risposta scazzatissima.
E io mica mi sono insospettito, no, ho creduto di avere a che fare con uno di quei vecchietti che ancora non ha imparato ad usare decentemente un computer e si giustifica dicendo di essere nato nel secolo scorso.
Invece no, no e ancora no, sia mai che mi vada bene qualcosa.
Non è un omino rugoso e antiquato, bensì una donna in carriera che avrà alla maggiore una quarantina d'anni.
Non è affatto un'inetta nell'usare i computer, semmai è oberata di lavoro come se non ci fosse un domani.
Soprattutto non è piacentina.
«Il piacere è mio, Filippo Terzi. Sono Stefania Rizzetto» mi porge la mano con un gesto sinuoso, per sorprendermi con una stretta a dir poco vigorosa.
Il suo accento basso veronese mi gela il sangue nelle vene.
Mannaia, mannaia a me e mannaia sarà quella che questa donna calerà sulla mia testa.

18 luglio 2019, ore 18:30
Via Benedettine ⟶ Viale Piacentino

«Sì, stasera mi fermo a cena» specifico per l'ennesima volta, visto che il concetto non è ancora sufficientemente chiaro. «Sono stanco e non ho voglia di uscire».
Dall'altro capo del telefono, mia madre bofonchia qualcosa che i miei neuroni stanchi si rifiutano di decodificare - proprio non posso farcela a darle retta.
Ho recitato come da copione: ho dato in mano alla Rizzetto il mio curriculum e, mentre ci dava un'occhiata, ho cercato di aggiungere quante più informazioni possibili. Alcune me le sono palesemente inventate, perché a ventisei anni - di cui diciotto trascorsi a studiare - non posso vantare decenni di esperienza lavorativa.
Lei ha sviscerato ogni riga, parola per parola. Solo ogni tanto ha sollevato lo sguardo, per analizzarmi in maniera quasi scientifica da capo a piedi. Ero diventato la sua nuova cavia da laboratorio.
Poi, all'improvviso, ha alzato la mano e ha interrotto il mio discorso a metà.
E dalle sue labbra rosse è scivolato un monosillabo.
Sospiro. «No, ti racconto bene quando torno a casa. Adesso ho il cellulare scarico» mento sapendo di mentire.

Non riesco a parlare oltre. Mi fa male la testa.

#01_RosaspinaWhere stories live. Discover now