Capitolo 17

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Arrivata a casa, mi chiusi immediatamente in bagno, leggendo le istruzioni che avevo trovato nella scatolina del test di gravidanza.
Il farmacista mi aveva dato qualche indicazione, ma ero troppo agitata per capirci qualcosa, e mi ero limitata a sorridere e annuire, cosa che avevo fatto anche per tutto il pomeriggio, con i clienti.
"Okay, allora...due linee, incinta. Una linea, no.", continuavo a ripetermi.
Dopo aver seguito le istruzioni alla lettera, appoggiai il test sul lavandino:
"Okay... Questo l'ho fatto... Questo... Anche. E... Attendere cinque minuti? Cinque minuti??", iniziai ad agitarmi, nervosa come non mai.
Cominciai a giocare col mio BlackBerry per ingannare l'attesa.
Trascorsi finalmente quegli interminabili minuti, mi alzai e preso in mano il test, senza ancora guardarlo.
Socchiusi un occhio, emozionata come mai prima.
"Non ci posso credere...", sussurrai.
Due. Due dannate linee.
Istintivamente mi portai le mani sul grembo, accarezzandolo piano.
Aspettavo un bambino. Una piccola vita stava crescendo dentro di me, proprio in quel momento.
Cominciai a piangere. Di gioia e di paura allo stesso tempo.
Dovevo tornare a Madrid.
Dovevo dirlo ad Iker, metterlo davanti alla meraviglia che il nostro amore era stato in grado di concepire, mostrargli il frutto di quell'amore così sincero.
E allora si, ne ero certa. Lui sarebbe tornato il mio Iker, quello di sempre, con gli occhi dolci e il sorriso di sogno di cui mi ero irrimediabilmente innamorata.
In quel momento, il BalckBerry squillò.
"Pronto?"
"Ciao Mar..."
"Iker..."
"Come...va il lavoro?"
"Iker, per favore, cerchiamo almeno di evitare la conversazione da amici di vecchia data..."
"Scusami, io..."
"No, tranquillo. Come stai?", chiesi, decisa a non accennargli nulla a telefono.
"Bene... E tu?"
"Bene. Ho rivisto un vecchio amico oggi...", dissi cercando di trovare un possibile argomento di conversazione con lui.
"Oh. Capisco.", si irrigidì.
"Cosa c'è?", chiesi.
"Niente. Non hai tempo per farmi una telefonata però il tempo di uscire coi vecchi amici misteriosamente lo trovi.", disse secco.
"Sei geloso, per caso?"
"Per niente. Sono arrabbiato."
"Non ne hai motivo."
"Come no.."
"Iker", dissi seria.
"Non ti ho telefonato perché volevo che capissi il tuo errore, non perché non avessi voglia di sentirti.", spiegai, cercando di mantenere il controllo della situazione.
"Dovrei crederti?"
"Ovviamente! Non ti fidi di me?"
"Dammene motivo..."
"Domani stesso torno a Madrid.", dissi tutto d'un fiato, stanca di discutere.
"Come? Ma mancano due settimane a..."
"Non volevi un motivo per fidarti di me?", chiesi piccata.
"Si, ma... Insomma non credevo che..."
"Sei più tranquillo ora?"
"Mar, se lo fai per me..."
"E per chi, sennò?"
"Marisol, io..."
"Ci vediamo domani. Ho tante cose da dirti.", lo interruppi.
"Buonanotte", aggiunsi.
"Buonanotte... E Mar..."
"Si?"
"Grazie..."
Sorrisi e riagganciai.
Questa volta avrei messo da parte l'orgoglio, e aggiustato le cose.
Dovevo farlo per Iker, per me stessa e per la piccola vita che stava crescendo dentro di me e insieme a me.
Mi dispiaceva lasciare a metà il lavoro che avevo accettato e portato avanti in quelle ultime settimane, mi dispiaceva l'idea di deludere il mio direttore ma ora mi era perfettamente chiaro il quadro del mio futuro.
Stavo rischiando di perdere l'amore della mia vita per orgoglio e non potevo permetterlo.
Mi accarezzai la pancia, dolcemente.
"Tra due giorni conoscerai il tuo papà. Vedrai che ti piacerà. Lo amano tutti in Spagna, sai?", cominciai a sussurrare piano, come se sperassi davvero che il bimbo potesse sentirmi.
"Ti amerà esattamente come ti amo io, anche se so che esisti da circa dieci minuti.", dissi sorridendo, mentre una lacrima mi rigava nuovamente il viso.
Accesi il computer e prenotai velocemente un volo per Madrid, per le cinque del pomeriggio seguente.
In questo modo avrei avuto tutto il tempo per passare a salutare i colleghi e annunciare ufficialmente le mie dimissioni da quell'incarico.
Mi infilai il pigiama, chiusi le imposte e mi distesi sotto le coperte.
"Buonanotte, vita mia", sussurrai poggiandomi una mano sul ventre e allargando un timido sorriso.

Il volo per Madrid sarebbe decollato da lì a due ore, ed io aspettavo che il taxi arrivasse all'aeroporto di Manises.
Tamburellavo con le dita sul finestrino, impaziente di salire su quel volo che mi avrebbe finalmente riportata a casa.
Dopo circa venti minuti, il taxi si arrestò. Pagai rapidamente la corsa, presi la valigia dal bagagliaio e corsi al banco dell'accettazione.
Mancava ancora parecchio all'imbarco, così decisi di telefonare a Valentina, per comunicarle che sarei tornata a Madrid la sera stessa.
"Mar, ciao!", rispose allegra.
"Ciao Vale... Che si dice da quelle parti?"
"Niente di interessante. Sembra che il cielo di Madrid senta la tua mancanza, piove ininterrottamente da giorni, ma oggi il temporale fa davvero spavento...", spiegò.
"Peccato, speravo di trovare un bel cielo limpido stasera..."
"Stasera? Stai per caso dicendo che..."
"Si tesoro, tra un paio d'ore sono là!", dissi entusiasta.
"Ma come.. Perché?", chiese confusa.
"Storia lunga... Ti spiego appena ci vediamo."
"Vuoi che io e Sergio veniamo a prenderti all'aeroporto?", chiese.
"Non preoccuparti, ho la macchina parcheggiata a Barajas.", risposi, tranquilla.
"Va bene, a prestissimo allora!", disse felice.
"A presto.", sorrisi riattaccando.

Dopo svariati minuti, finalmente l'altoparlante dell'aeroporto di Valencia chiamò all'imbarco i passeggeri del volo per Barajas.
Circa mezz'ora dopo il decollo, l'aereo cominciò a sobbalzare spaventosamente.
La voce del comandante invitava i passeggeri a rimanere fermi ai propri posti con le cinture allacciate, a causa delle forti turbolenze causate dal maltempo che tediava il cielo di Madrid da giorni.
"Va tutto bene, amore.", sussurrai accarezzandomi il ventre con una mano e stringendo con forza il bracciolo del mio sedile con l'altra.
Dopo un'altra mezz'ora che mi parve interminabile, l'aereo atterrò a Barajas sotto una pioggia incessante e rumorosa.
Mi coprii con la copertina di un vecchio libro, correndo fino alla mia auto, per fortuna, parcheggiata abbastanza vicino all'uscita dell'aeroporto.
Misi immediatamente in moto, decisa a raggiungere la casa di Iker nel minor tempo possibile. Non volevo aspettare un attimo di più, volevo dargli la notizia che avrebbe sconvolto le nostre vite per sempre.
Imboccai l'autostrada, mentre i tergicristalli tentavano come potevano di spazzare via le gocce di pioggia dal parabrezza.
Mancavano solo pochi chilometri all'arrivo, ed io ero terribilmente emozionata.
La pioggia diventava sempre più violenta. Aumentai la velocità dei tergicristalli, quando vidi due fari abbaglianti, dritti davanti a me.
Spinsi immediatamente sul freno, con tutta la forza che avevo, ma le ruote persero aderenza e slittarono inesorabilmente.
Pochi secondi.
Uno schianto terribile.
Aprii piano gli occhi, vedevo soltanto le lamiere dell'auto che mi circondavano.
Sentii appena le sirene spiegate di un'ambulanza, e le voci concitate di alcuni uomini intorno a me, poi il nulla.
Il buio mi avvolse ed io mi abbandonai al sonno che mi accoglieva, stremata.

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