Il pianto disperato di Marisol mi svegliò, e prontamente le cinsi i fianchi da dietro, stringendola a me con tutta la dolcezza che avessi.
"Va tutto bene, amore. Sono qui."
Pensavo a cosa fare, a come aiutarla.
Mi sentivo un fallimento. Io, che avrei voluto renderla la persona più felice del mondo, io che la amava più della mia vita stessa, io che avevo giurato a me stesso di proteggerla e difenderla dalle sofferenze, non ero in grado di rassicurarla.
Passavo le notti a cercare di capire dove stessi sbagliando e non riuscivo a darmi una risposta.
Marisol si voltò e si strinse più forte a me, senza smettere di piangere.
"Sempre lo stesso incubo?"
"Si...", sussurrò lei.
Erano passate ormai più di tre settimane dal giorno dell'incidente.
Marisol aveva alternato momenti di sconforto ad altri di cauto ottimismo, gli ultimi, dettati soprattutto dai farmaci.
In generale il suo umore stava gradualmente migliorando, soprattutto da quando si era trasferita a casa mia.
L'unica cosa che non era riuscita ad eliminare, erano i continui incubi che la tormentavano tutte le notti.
Io mi ero ormai abituato e cercavo di gestire la cosa nel migliore dei modi, ma ne soffrivo più di lei.
Quella notte sembrava che la situazione fosse peggiore del solito.
Marisol non riusciva a smettere di tremare tra le mie braccia, mentre io fissavo la finestra dietro di lei, come se mi aspettassi che da questa mi arrivasse un segnale, una traccia da seguire per poter finalmente porre fine a quel dolore silenzioso e subdolo.
"Se vuoi, vado a mettermi sul divano. Così almeno tuoi puoi risposare un po' che domani..."
"Non esiste.", la interruppi, accarezzandole i capelli.*********
Mi misi a sedere e guardai il viso dolce di Iker, illuminato solo dalla debole luce della luna che filtrava dalle tendine della finestra.
"Stai piangendo...", dissi sorpresa.
"No, io..."
"Perdonami, Iker. Ero presa dal mio dolore e ho trascurato te.", dissi, dispiaciuta, riflettendo sul comportamento che avevo tenuto durante le ultime settimane.
Iker aveva fatto il possibile e l'impossibile per me, per farmi stare bene. In alcuni giorni ero stata talmente male che lui si era visto costretto a lasciare gli allenamenti di corsa per correre da me, per evitare che facessi qualche follia, beccandosi più di un rimprovero dal suo mister.
Ed io non stavo facendo nulla per ricambiare il suo affetto e le sue cure.
Mi portai le mani agli occhi e scossi la testa, lentamente.
"Sono un disastro, io..."
"È colpa mia.", mi interruppe Iker, spiazzandomi.
"Cosa?"
"È colpa mia. Ti avevo promesso che sarei stato la tua forza."
"E lo sei..."
"Si? E qual è il risultato? Tu che piangi ogni notte e io che non sono in grado di aiutarti.", ribatté senza riuscire a guardarmi negli occhi.
"Iker, fermati un attimo. Credi davvero che sia colpa tua? Ti stai facendo in quattro per me, non credere che io non me ne accorga. È vero, io sto male. Ho perso un figlio, non potrebbe essere altrimenti.
Ma su quanto ho di più caro al mondo, Iker, ti giuro... La forza per andare avanti la prendo da te e solo da te.
Non sono in grado di dimostrartelo e per questo, se qui qualcuno ha da scusarsi, beh... Quella sono io.", gli dissi ferma e decisa, come se da quelle parole dipendesse la mia vita. O meglio, la vita di entrambi.
Ero stanca e lacerata dal dolore, ma in quel momento l'amore per Iker aveva prevalso su tutto, ed io avevo capito che, questa volta, toccava a me restituire al mio ragazzo un po' della forza che a fatica lui mi aveva donato.
Iker, forse stupito dalle mie parole, si mise a sedere accanto a me e mi accarezzò la guancia dolcemente.
"Ti amo, Marisol. Con tutto me stesso."
"Non ne ho mai dubitato. E ti amo anch'io.", risposi posandogli sulle labbra il bacio più dolce che gli avessi mai dato.
Iker si distese nuovamente, spalancando le braccia e invitandomi ad appoggiarmi a lui. Ci addormentammo così, entrambi più sereni, tentando di dimenticare, per una notte, gli assillanti problemi dei giorni precedenti.*********
"Amore, sono a casa..."
"Ehi!", mi accolse Marisol stringendomi tra le sue braccia.
"Come stai?", le chiesi prendendole il viso e controllando se avesse pianto, cosa che facevo ormai meccanicamente, ogni volta che rientravo dagli allenamenti.
"Sto bene...", rispose, allargando il sorriso più convincente che riuscisse a fingere.
"Almeno adesso riesci a mentire", le dissi prendendola in giro ma sorridendole immediatamente.
Riuscii a farla ridere e i miei occhi si illuminarono.
La risata di Marisol mi mancava terribilmente. Mi rendevo conto sempre più di quanto la amassi e di come il mio unico scopo nella vita sembrasse essere diventato quello di renderla felice.
"Sto meglio, davvero.", mi sorrise sincera.
"Sono contento, allora. Ah, hai programmi per domani?"
"No, perché?"
"Voglio portarti in un posto. Un posto speciale.", le dissi stringendola da dietro mentre lei aveva cominciato a sistemare la cucina.
"Mmm, che posto?", chiese.
"Sorpresa!"
"Iker, sai che non mi piacciono le sorprese..."
La suoneria del BlackBerry di Marisol interruppe la conversazione.
"Ti sei salvato in corner, Casillas.", disse prima di accettare la chiamata, sorridendomi.*********
"Pronto, Ser?"
"Mar! Come stai? Iker è tornato?"
"Sto bene, si, è qua."
"Perfetto, allora mettimi in vivavoce..."
Attivai l'altoparlante del telefono e chiamai con il gesto di una mano Iker, che si avvicinò immediatamente.
"Ikerito, sei la'?"
"Sergio? Cosa succede?", chiese.
"Io e Vale abbiamo una notizia per voi. Abbiamo fissato la data per il matrimonio!", disse entusiasta.
"Fantastico! E sarebbe...?"
"Sarebbe tra due settimane."
Iker ed io ci guardammo, sgranando gli occhi.
"Cosa??", chiedemmo entrambi, all'unisono.
"Si, avete capito bene. Perché? Avete altri programmi?"
"No, Sergio, ma non ti sembra un po' presto?", domandò Iker, stupito quanto me nel vedere come per Sergio la cosa fosse assolutamente normale.
"Ci amiamo, che senso ha aspettare?", ci rispose, spiazzando entrambi per la spontaneità con cui pronunciò quelle parole.
Sembrava talmente semplice, talmente elementare, talmente scontato.
"Siete ancora li?", chiese la voce dall'altro capo del telefono, distogliendoci dai nostri pensieri.
"Si, Ser. Scusa, è che... Non ce l'aspettavamo.", mi affrettai a dire.
"Bene, allora siete invitati per sabato 15.", disse allegro prima di riattaccare.
"Tuo fratello è matto."
"Lo scopri adesso?", chiesi sarcastica sorridendo.
"In effetti no. Dai, allora cosa si fa stasera?", domandò Iker.
"Mhmh, eh no, signorino! Voglio sapere dove hai intenzione di portarmi domani..."
"Ma è una sorpresa..."
"Per favooooore", continuai assumendo un'espressione da cucciolo smarrito.
"Non vale. Gli occhi da cucciolo, non valgono!", tentò di ribellarsi Iker, senza però riuscire a dissuaderemmo.
"Okay, okay, hai vinto!", si arrese.
"Domani siamo a pranzo dai miei!"
Io rimasi immobile.
"Credo di non aver capito bene. Hai davvero detto 'siamo a pranzo dai miei'? Cioè, dai tuoi!?"
"Esatto. Non vedono l'ora di conoscerti. E poi muoio dalla voglia di mostrarti la mia Móstoles."
"Amore, ma non credi che... Insomma, forse noi dovremmo prima..."
"Non credo, no.", mi interruppe Iker, accarezzandomi il viso e sorridendo notando il mio nervosismo.
"Ti ameranno, esattamente come ti amo io. Non devi preoccuparti.", mi rassicurò.
Ci pensai qualche secondo, poi sospirai.
"Sei sicuro che sia una buona idea?"
"Non ho dubbi.", rispose deciso.
Gli presi le mani e le strinsi con tutta la forza che avevo.
"E se non gli piaccio...?"
"Impossibile. Al massimo sarai tu che, dopo averli conosciuti, vorrai lasciarmi.", disse ridendo e ricambiando la mia stretta.
"Se ti somigliano anche solo un po', so che saranno fantastici.", dissi, improvvisamente emozionata e nervosa.
"Ma quanto ti amo?"
"Tanto. Tantissimo. Troppo.", risposi, con una sensazione di buon umore che avevo ormai quasi dimenticato.
"Allora lo sai!", mi prese in giro.
"Parlavo per me, testone!", risi dolcemente, per la prima volta dopo tanto tempo.*********
Rise. Ed io la baciai immediatamente, con una passione travolgente, che lasciava trasparire quanto fossi sollevato.
Le avevo regalato un sorriso, e questo per me valeva più di ogni altra cosa.
"Amore, direi che per stasera basta così. Altrimenti domani sarò troppo stanca per venire a pranzo dai tuoi.", mi punzecchiò.
Risi e la strinsi a me.
"Andiamo a dormire allora...", le dissi allontanandomi e tendendole una mano.
Marisol non si mosse e incrociò le braccia al petto.
"Certo che potevi anche insistere un pochino...", disse fingendosi delusa, e facendo roteare gli occhi.
"Pazienza..."
La presi per un braccio e la portai davanti a me, riprendendo a baciarla e facendola ridere.
La presi tra le braccia e la condussi al piano di sopra.
La feci mia per la prima volta da quando aveva avuto quel maledetto incidente, che aveva spezzato un sogno che non aveva neanche fatto in tempo a nascere.
Le sensazioni di quel momento non saprei come spiegarle.
Erano amplificate al massimo dalla consapevolezza che lei si fidava di me, fino in fondo. Si stava consegnando a me, si stava abbandonando tra le mie braccia nonostante il dolore, nonostante la sofferenza, e per me non poteva esistere regalo più grande.
La strinsi a me, baciandole la fronte dolcemente e lasciando che si addormentasse cullata solo dal mio respiro.
Lei crollò nel giro di pochi minuti, ed io rimasi a guardarla, mentre il suo respiro tornava regolare, col suo timido sorriso sulle labbra, in una nuova notte che finalmente ci regalava sogni tranquilli.
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Esclava de sus besos
RomanceFanfiction sul grande Iker Casillas. PERSONAGGI: Marisol Ramos, Valentina Gutiérrez, Sergio Ramos, Iker Casillas e altri giocatori del Real e della nazionale Spagnola. DISCLAIMER: I personaggi famosi citati in questa storia non mi appartengono; tutt...