He's confused

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23 Settembre, 2015
Yu

La nuova stanza di Joon è molto più luminosa e spaziosa di quel buco che aveva prima. Sebbene queste pareti bianche mi creano un senso di oppressione indescrivibile, trovo il suo letto ad una piazza e mezza davvero comodo. Joon mi ha detto che mancano ancora diverse cose, la stanza infatti è quasi vuota. Scoppio a ridere come uno scemo quando mi viene in mente la discussione stupida che aveva avuto la sera prima con suo padre a proposito di una libreria che voleva a tutti i costi comprare per sostituire quella vecchia, ormai, obsoleta e poco funzionale. Da quando si era trasferito a Roma e si era iscritto alla facoltà di lingue, Joon era come rinato. Invidiavo terribilmente quella sua rinascita, quella adrenalina che provava, quella sua voglia di ricominciare, di voler far qualcosa di costruttivo per il suo futuro.
Lui non era mai stato come me, aveva sempre avuto quella speranza quasi stucchevole nello sguardo. Avevamo passato pomeriggi interi, davanti alla PlayStation, a parlare di quello che desideravamo e quasi sempre era soltanto lui quello che parlava animatamente, convinto che nonostante tutto ce l'avrebbe fatta. Ed era stato proprio così, poiché quella mattina era finalmente andato a pagare la tassa d'iscrizione per il primo anno di università. La sera prima mi aveva chiesto se volessi accompagnarlo, ma casualmente e per fortuna non mi ero svegliato e alla fine era andato da solo. Forse l'impazienza era stata troppo forte. Comunque non lo biasimavo, soprattutto perché accompagnarlo mi avrebbe fatto ancora di più rendere conto di quanto fossi un fallito senza sogni.
Eppure io un sogno lo avevo sempre avuto ma mi ostinavo a dimenticarlo, anche se con difficoltà. Erano due anni che giravo intorno a questa idea. C'erano giorni in cui continuavo a perdere tempo alla sala giochi di Xavier ed altri in cui facevo qualche lavoretto qua e là, e poi c'erano quei momenti in cui volevo cambiare le carte in tavola, ma questo durava la bellezza di qualche minuto.
Alzo gli occhi verso il soffitto, è bianco anche quello, vorrei fumare ma sia io che Joon avevamo finito le sigarette la sera prima. Comunque non posso permettermi di stare a letto tutto il giorno come facevo abitualmente, soprattutto perché questa non è casa mia, questa non è la mia città. Così alla fine mi alzo e vado a farmi una doccia, lascio un messaggio a Joon, gli dico che lo raggiungerò in facoltà - forse mi perderò - ma non ho voglia di restare su quel letto tutta la mattina in attesa. E poi ho troppa voglia di fumare.

da Joon:
Prendi la metro, ti aspetto alla fermata.

Leggo il messaggio proprio quando sto chiudendo la porta di casa. Gli rispondo mentre scendo con l'ascensore, sono così pigro che non ho voglia neanche di scendere le scale. La metro non è molto distante da casa di Joon, devo solo fare qualche metro, girare l'angolo del palazzo, ed eccola che si staglia davanti a me l'insegna rossa con una M gigante in bianco. Faccio la fila per il biglietto, non ero abituato a vedere tutta quella gente alle undici di mattina, soprattutto perché a quell'ora ero ancora beatamente disteso sul mio adorabile lettone. Prendo due biglietti, credo che mi servirà uno anche per il ritorno e mi incammino.
La metro ancora non è arrivata, c'è davvero un sacco di gente, e per questo sono costretto ad appoggiarmi al muro mentre attendo. Una ragazza mi passa accanto e mi sorride, non so se lo stia facendo per i miei capelli scompigliati o perché quella mattina mi ero messo su vestiti a caso. Comunque era carina, non importava se mi avesse sorriso per prendermi in giro o perché pensava la stessa cosa di me. Non è la prima ragazza che mi passa accanto, e sembrano tutte così belle che alla fine finisco per dimenticarle. Fino a che un ragazzo, alto quanto me, mi passa accanto e all'improvviso ritorno con la mente a qualche anno fa. Non riesco a ricordare chi sia e per questo continuo a guardarlo, per fortuna lui ha le cuffie nelle orecchie e lo sguardo perso nel vuoto. Per quanto mi sforzi non riesco a capire chi sia, poi la metro arriva e sono costretto a lasciar perdere. È quasi vuota all'interno, ma eravamo così tanti ad aspettarla che mi è difficile prendere un posto a sedere. Quindi sono costretto ad appoggiarmi ad una delle porte, con la speranza di non cadere quando verranno aperte. Vorrei sapere quante fermate dovrò fare, alzo la testa verso la mappa e mi accorgo che ne sono soltanto due. Quando abbasso lo sguardo mi ritrovo due occhi neri puntati addosso, è lo stesso ragazzo che avevo osservato prima. Mi stupisco dell'incredibile coincidenza, come avevamo fatto a trovarci nello stesso vagone e per di più uno di fronte l'altro?
Mi sta fissando guardingo ed io, a questo punto, vorrei chiedergli cosa abbia da guardare, ma poi si toglie una cuffia e si avvicina.

-Sei Yu?- mi domanda di getto, mentre io annuisco un po' confuso adesso -Non credo tu mi abbia riconosciuto, vero?- mi sorride con aria strafottente e proprio quel suo modo di alzare le labbra su un lato della bocca, mi fanno tornare di botto la memoria.

-Jemy?- certo, era proprio lui, era proprio quello scapestrato, figlio di papà, di Jemy -Che ci fai qui?- gli domando stupidamente, poiché altro non avrei saputo chiedergli.

-Io ci vivo- mi risponde -Anche se ancora per poco- aggiunge poi con amarezza.

-Perché?- non so se sono interessato a parlare con lui, fondamentalmente non avevamo mai avuto molto a che fare. Non ci eravamo mai davvero frequentati, soprattutto perché Jemy ed io facevamo parte di due mondi diversi. Ma non avevo altro da fare.

-Storia lunga, ma credo che ci rivedremo presto- non sono dispiaciuto per la sua risposta vaga, soprattutto perché le vicende di Jemy non mi hanno mai davvero interessato. Quindi gli sorrido e lo saluto, poiché sono arrivato a destinazione. Lui mi fa un cenno con la testa e poi si rimette la cuffietta nell'orecchio, le porte si chiudono e sparisce con la velocità della metro.
Jemy.
Chissà che stava combinando. Di lui sapevo poco e niente, e quello che conoscevo della sua vita me lo aveva raccontato Key. Non aveva un aspetto molto sereno, a pensarci, e questo mi faceva ricordare il motivo per cui avevo deciso di passare qualche giorno lì a Roma da Joon.
Ed è quando salgo le scale per ritornare in superficie che il cuore mi si ferma poiché proprio di fronte a me, noto quel manifesto. Nero, lucente, di una bellezza quasi accecante, era come se mi stesse urlando perché lo avessi abbandonato.
Ma anche io mi chiedevo perché lo avessi fatto, perché avessi smesso di suonare il pianoforte.

救い出すよ必ず// I'll Save uDove le storie prendono vita. Scoprilo ora