CAPITOLO UNO

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Si guardò attorno con scetticismo. Doveva ammetterlo: da lontano quel posto risultava di gran lunga più suggestivo. Visto da vicino, quell'edificio sembrava piuttosto vecchio e anche parecchio fatiscente. Un sospiro annoiato lasciò le sue labbra e si trovò a stringere con maggior forza il borsone dove aveva raccolto quei pochi abiti che si era portato dietro. Una carezza alla spalla lo fece sussultare e si voltò indietro, incontrando il dolce viso di sua madre, illuminato da un sorriso che voleva apparire rassicurante, ma in cui lui lesse una sconfinata tristezza. "Andrà bene, vedrai."

Si voltò e le prese una mano nelle sue, portandosela alle labbra e depositandoci un bacio dolce e nostalgico. "Sono disposto rinunciare." sussurrò sulla pelle ormai non più tenera e liscia della donna.

"Lo so. Ed è per questo che sono fiera di te e che non ti chiederò di non andare." rispose semplicemente lei, tirandolo in un abbraccio caldo e morbido. "Fai il bravo. E chiamami almeno tre volte al giorno."

"Anche quattro." Quando si staccarono, gli occhi della donna erano traboccanti di lacrime a fatica trattenute. "Dai, ma'. Non piangere."

Trattieni le lacrime per quando serviranno davvero.

Quel pensiero lo colse impreparato e si trovò improvvisamente con la bocca semiaperta nel ricordare che cosa si stava lasciando alle spalle. Tutto d'un tratto, ebbe paura. Paura di quello che sarebbe potuto accadere se si fosse voltato e avesse lasciato sua madre, paura che il tempo gli sarebbe sfuggito di mano fuori controllo, paura che quella mattina avrebbe segnato un evento indelebile, da ricordare con una dolorosa X rossa sul calendario.

"Mamma..."

"No, Filippo." lo interruppe lei, come se gli avesse letto nel pensiero. "Vai, amore, fai la tua strada senza preoccuparti del resto."

E sebbene Filippo avesse intenzione di ribattere, di restare – magari –, di impedire al corso della sua vita di scorrere, si limitò ad annuire e a voltarsi. Aveva scelto. E se fosse stata la scelta giusta o quella sbagliata, ancora non lo sapeva, ma non restava che scoprirlo andando avanti.

***

Il direttore lo guidò a passo pomposo e quasi solenne per i corridoi della scuola, fermandosi ad ogni stanza per spendere almeno una decina di parole riguardo il suo uso, la sua storia – anche per i bagni.

"Mi spiace per quello che le è successo, signor Fanti." Il registro formale e il tono improvvisamente serio dell'uomo lo fecero rabbrividire. "I nostri insegnanti sono dipendenti fidati e che tengono alla serenità di ogni nostro allievo. Se dovesse avere bisogno di qualunque cosa non si faccia problemi a rivolgersi a loro o a me direttamente."

"La ringrazio, ma già mi avete agevolato molto con questa posticipazione della mia entrata a scuola e anzi, mi scuso ancora."

"Si figuri, davvero... ecco, questa è la sua aula." lo informò il preside fermandosi di fronte ad una porta come tante altre, e detto questo batté tre volte il legno. Quando una voce decretò il permesso di entrare, Filippo seguì silenziosamente il direttore all'interno della stanza. Di fronte a loro, una ventina di banchi disposti ordinatamente dirimpetto ad una lavagna accanto alla quale si ergeva la figura di una donna abbastanza in là con gli anni, bionda e dall'aria austera. "Buongiorno, ragazzi, professoressa Celentano. Questo giovanotto alla mia sinistra da oggi frequenterà la vostra classe. Riesce ad entrare solo oggi a causa di alcune questioni familiari che spero possano sistemarsi presto." E con queste parole, sorrise con fare tanto rassicurante quanto falso a Filippo che non si scompose per ricambiare il gesto. "Spero che possiate accoglierlo di buon grado e che lo facciate sentire sin da subito parte integrante della nostra scuola. Detto questo, vi lascio alla vostra lezione. Tu presentati pure." aggiunse poi rivolgendosi al ragazzo. "Professoressa, ragazzi." E dopo un gentile saluto con la mano, uscì.

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⏰ Last updated: May 10, 2018 ⏰

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