Intro

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Quando avevo otto anni, hanno diagnosticato la mia Leucemia. Una cosa un po' schifosa, a essere sinceri.

Ti sale a mille la febbre, sudi pure la notte quando ci sono meno ottanta gradi sotto lo zero.

Basta un piccolo sforzo ad affaticarti fino a farti mancare il fiato, ti si gonfia la milza, perdi peso inspiegabilmente, soffri di emicrania...

I sintomi sono infiniti, e fanno uno più schifo dell'altro.

Mamma e papà non hanno passato bene questo periodo.

Mio padre lavorava in fabbrica, quindi aveva orari molto ristretti e non poteva tenermi per molto il fiato sul collo.

Mia madre era, invece, un avvocato. Quindi, salvo appuntamenti di urgenza cronica - che avvenivano in ogni caso nella nostra casa, dolce dimora dove la mia stanza era come un salotto - mi stava spesso alle calcagna.

«Hai bisogno di qualcosa?» era la domanda più famosa, poi seguivano «Stai bene?» e «Hai fame?».

E io avevo sempre fame, ma mi dava così poco da mangiare che nemmeno una piramide di kebab piccanti mi avrebbe fatto passare il brontolio che avevo nello stomaco, ma non mi era permesso dai medici mangiare molto.

Quando mio padre tornava dal lavoro, era già ora di cena. Ci riunivamo nella mia stanza, io steso sul letto e i miei genitori seduti su un vecchio divanetto con la D maiuscola di gomma piuma, su cui mangiavano mentre guardavamo un film insieme.

Con il passare del tempo, questa vita diventò monotona. La terapia della Chemio stava funzionando alla grande, mi riprendevo ogni giorno di più.

Mi passò definitamente all'età di undici anni.

Ora, mia madre non è più avvocato. Lavora in una panetteria mentre mio padre è stato licenziato a causa dei suoi problemi con l'alcol. Io lavoro come volontario nel reparto pediatrico del Nashville Hospital.

Tutte le infermiere sono molto cordiali con me, così come i bambini che mi saltano addosso in preda all'allegria e, sinceramente, questo mi fa stare bene.

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