L'ultimo dei sopravvissuti capitolo otto

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DUE ANNI PRIMA

Mi sveglio e la prima cosa che vedo è Mattia, con gli occhi assonnati di chi non ha dormito. I suoi capelli castani sono abbastanza lunghi da coprirgli una bella parte del viso. È seduto su una sedia e sta leggendo una rivista. Inclino un po' la testa e vedo i miei genitori su due brande pieghevoli lì vicino, che stanno conversando a bassa voce. È strano vederli parlare così piano. Sono abituato che a casa si usa quasi urlare per farsi sentire. Senza motivo, giusto per rompere le balle a qualche vicino.

Non capisco cosa stia succedendo, o dove mi trova, ma di una cosa sono sicuro, ci deve essere altra gente dietro di me, perchè sento dei respiri profondi.

Prendo possesso del mio corpo e scopro di essere alquanto scomodo, su un fianco, in una posizione per nulla naturale.

Faccio per girarmi e scopro a malincuore il motivo per cui ero in quella posizione. Un dolore lancinante mi attraversa il corpo partendo dallo stomaco. Ma ormai sono voltato e, a quella vista, devo dire che ne è valsa la pena.

Il mio sguardo cade su Jessica, addormentata su un divano, come se fosse sommersa in una beatitudine senza eguali. Il viso delicato e perlaceo sembra non aver dovuto sopportare una notte insonni. Si trova in mezzo a due persone, che suppongo siano i suoi genitori. Il padre è un uomo assai robusto, i capelli corvini, la mandibola sporgente, tutto quello che fa pensare ad una persona contro cui è meglio non mettersi a discutere. La madre invece è molto più minuta. Ha i capelli di un biondo platino, la pelle di un bianco latte e i contorni del viso delicati. Li osservo solo per pochi istanti ma capisco quasi subito che Jessica non ha ereditato nulla dal padre. O almeno questo è quello che credo finché non aprono gli occhi, svegliati dall'urlo di Mattia. In quel momento noto che gli occhi della madre di Jessica sono di un celeste chiarissimo mentre i suoi e quelli del padre sono di un verde erba. Non mi ero mai soffermato a osservarle gli occhi, anche se avrei dovuto, visto i sentimenti che provo per lei.

-È sveglio! È sveglio!- Grida Mattia.

Tutti si avvicinano al mio letto.

-Jack! Jack! Eravamo così preoccupati! Sei in coma da un'intera settimana! Non sapevamo che fare!- Mia madre è in lacrime. Non ricordo di averla mai vista piangere. Mi ha sempre dato l'impressione di una donna forte, con le sue spalle larghe e i tratti per nulla femminili.

Mi viene da chiedere cosa fosse successo, ma Jessica mi risponde prima che io possa formulare la domanda.

-Sei stato accoltellato! E hai perso molto sangue! Pensavamo che tu...che tu...- Non finisce la frase ed anche lei incomincia a piangere.

Suo padre la prende tra le braccia e la stringe forte per confortarla. Non ho mai desiderato essere al posto di qualcun altro più di quanto non lo desideri in questo momento.

-Ma dove sono? Come ci sono arrivato qui?-

-È stato Mattia.- Risponde lei asciugandosi le lacrime.-È stato straordinario. Mi avevano portata in un vicolo, mi hanno bendata e mi hanno quasi...stavano per...-Tira su col naso.

-Mi vuoi dire che ti hanno...-

-No! Non ne hanno avuto il tempo.-Mi interrompe Jessica, senza smettere di singhiozzare. A quella vista ho capito che il mio prossimo obbiettivo della vita è quello di ammazzare di botte colui che le ha fatto passare tutto questo.-Quando è arrivato, Mattia ne ha steso uno, spaccandogli la faccia, e, appena gli altri hanno visto l'amico a terra, se la sono data a gambe. È stato fantastico. Poi è arrivata altra gente che ha subito chiamato la polizia e l'ambulanza.-Mi giro verso Mattia e gli rivolgo uno sguardo di gratitudine, ma non mi esce molto bene, dato che sono ancora colpito dal "È stato straordinario" e dal "È stato fantastico" con cui Jessica lo ha descritto. Per cui cerco di rimediare dicendo-Grazie per avermi salvato la vita-

Mattia mi guarda con un sorriso, ma con un sorriso che si rivolge ad un cucciolo malato, e mi risponde-Te lo dovevo, per quello che hai fatto sei anni fa per me-

Gli rivolgo un sorriso, o quello che reputo possa considerarsi un sorriso, anche se almeno io una scusa c'é la ho, sono morente.

Mio padre finalmente prende la parola.

-Penso che sia meglio andare. Devi ancora riprenderti dallo shock.-

Tutti annuiscono e si incamminano verso l'uscita. Questo è uno dei tratti speciali di mio padre. È in grado di incutere timore e rispetto con il suo sguardo fermo e il suo portamento militare. Nessuno oserebbe contraddirlo, non per via del fisico, non è tanto forte, ma per via del modo in cui riesce a sembrare più grosso.

Quando tutti se ne sono andati e anche l'ultima ciocca di capelli biondi di Jessica sparisce dietro la porta, distolgo lo sguardo e lo faccio vagare per la stanza.

Noto solo un televisore attaccato al muro, un comodino di fianco a me, con una brocca d'acqua ed un bicchiere appoggiati sopra, un letto identico al mio, le brande su cui hanno dormito i miei genitori, il divano su cui stava Jessica con i suoi e la sedia su cui stava Mattia, con appoggiata sopra una rivista di articoli sportivi. Provo a recuperarla allungando la mano, ma dopo una decina di tentativi, e di dolore, rinuncio ed opto per qualcos'altro. Noto che questo posto è pieno di cose da leggere, ma che sono tutte troppo distanti per poterle raggiungere.

Per cui mi metto a fissare la cartella medica appoggiata sul letto affianco al mio. Non la riesco a leggere bene, in parte perché è lontano, in parte perché è inclinato ed in parte perché c'è la solita calligrafia da dottore, incomprensibile pure a loro. Ma dalla lunghezza del testo, direi che il paziente doveva fare un controllo veloce.

Sento dei rumori provenire da fuori e subito qualcuno entra nella mia stanza.

Chiudo subito gli occhi e faccio finta di dormire. Quella persona mi passa davanti senza notarmi e inizia a trafficare con il letto di fianco. Sento uno sfrusciare di fogli, probabilmente sta guardando la cartella clinica. Quando ha finito si dirige verso la porta, ma si ferma poco prima di uscire. -È maleducazione far finta di dormire per non salutare qualcuno-

Apro gli occhi e guardo il mio presunto ospite. É un infermira e si chiama Susan De Flour. È bella, non quanto Jessica, ma comunque è affascinante. I capelli castani raccolti in una coda, il viso delicato a cui non darei più di 20 anni, anche se dalla targhetta si vede benissimo che ne ha 36, e, ovviamente, delle curve mozzafiato. Faccio per chiederle scusa ma lei mi anticipa -Ma visto che sono entrata senza bussare direi che siamo pari. Orwar.- E alza la mano con la cartella in segno di saluto. È allora che noto qualcosa sulla cartella. Una foto. "JESSICA".

Mi batte forte il cuore. Se quella è la cartella di Jessica e stava su quel letto, vuol dire che Jessica ha dormita di fianco a me. Il solo pensiero mi manda in estasi. Se solo mi fossi svegliato un po' prima avrei potuto guardarla dormire, e immaginare come sarebbe stato guardarla dormire ogni giorno della mia vita, come sarebbe passare ogni singolo istante con lei. Ma perché si è dovuta ricoverare? Ah già, per la faccenda dello stupro. Anche se ha detto che non ne hanno avuto il tempo, i dottori dovevano esserne sicuri. Ma giuro su Dio che se prendo uno di quella banda, mi pregherà in ginocchio per concederli una morte misericordialmente veloce.

Giro la testa e guardo sul comodino. Dietro la brocca c'è una macchia scura indistinta.

Allungo la mano per prenderla -Dio ti ringrazio!-

È il telecomando della TV. L'accendo, ma solo per avere un sottofondo mentre continuo a fantasticare sulla mia vita con Jessica e su come sarebbe vedere lei come prima cosa appena svegli e come ultima prima di addormentarsi. Tutto quello che riesco a sentire è "USA scoperto nuovo batterio. I servizi segreti mettono tutto a tacere. Stanno fabbricando una cura, o una nuova arma?"

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