Non so se mio padre intendesse questo quando mi aveva lasciato degli indizi che portavano alla stanza numero 13, o se ci fosse dell'altro. Ad essere sincera non me ne curai, perché ciò che vedevo aveva sicuramente dello straordinario.
Dei raggi azzurri, simili a dei fasci di luce, partivano dalla macchina e colpivano la schiena della ragazza, eterei, impalpabili. Lei non sembrava accorgersi di nulla, e non ero sicura di poter dire lo stesso dell'operatore.
Ma io sì, io li vedevo, ed era proprio questo il problema. Non avrei dovuto.
Per le radiografie venivano utilizzati i raggi X, onde che l'occhio umano non poteva captare.Per un attimo fui presa dalla confusione. Cos'è che non andava? Io o il macchinario?
Non ebbi modo di capirlo. Ad un tratto percepii una presenza molto, troppo vicina, e mi scostai bruscamente.
L'operatore mi fissò severo. - Devo chiederle di andarsene.Annuii, sebbene ancora frastornata, ma prima di lasciare la stanza lanciai un'ultima occhiata alla ragazza. Ora che si era voltata, i raggi le colpivano il fianco, all'altezza dei polmoni. Rabbrividii. Non c'era niente di normale in quello che stava succedendo in quella stanza, ma di certo non potevo riferirlo a nessuno.
Con quel segreto bloccato in gola, mi voltai e raggiunsi l'uscita a grandi passi. Tentai di mantenere il controllo finché non sentii il tonfo della porta che si richiudeva alle mie spalle, poi caracollai lungo il corridoio, agitata e completamente dissociata dalla realtà.
Forse fu proprio per questo che non lo vidi. Poco prima di girare l'angolo la mia corsa venne bruscamente interrotta, e per poco non caddi lunga distesa sul pavimento. Avevo centrato qualcuno in pieno.
Mi voltai e vidi che si trattava di un ragazzo, di un bel ragazzo. Capelli scuri e occhi blu, si stava massaggiando il petto dove lo avevo colpito.
- Scusa, mi dispiace tanto! - esclamai avvicinandomi. Lui alzò lo sguardo e mi scrutò per un lungo momento, operazione che fece affluire parecchio sangue alle mie guance. Pregai che non se ne accorgesse.
- Non è niente tranquilla - mi rassicurò poi, abbozzando un sorriso.
- Ti ho fatto male? - chiesi ancora. Avrei voluto prendermi a pugni da sola come punizione per aver travolto uno dei ragazzi più belli che avessi mai visto.
- No no - disse. - E poi siamo in un ospedale, quindi...
- Sì hai ragione - sorrisi, tentando in tutti i modi di non mettermi a squadrarlo senza ritegno.
Ma lui non mi facilitò certo le cose. Invece di salutarmi e andarsene, mi porse la mano. - Piacere, Simon.
- Lydia - dissi stringendogliela. Questa operazione mi fece realizzare di avere entrambi le mani libere, e subito mi guardai intorno con ansia.
Lui se ne accorse. - Cosa c'è?
- Ho perso un foglietto - risposi, mantenendomi sul vago.
- Intendi questo?
Mi voltai e lo vidi raccogliere il post-it; prima di passarmelo lo lesse. - Davis?
- È il mio cognome - spiegai ripiegando il post-it e infilandolo nella tasca posteriore degli shorts.
- Per caso sei la figlia di Michael Davis?
Rimasi di stucco. Quel ragazzo conosceva mio padre?
- Sì esatto - confermai, scrutandolo per vedere la sua reazione.
Lui annuì e aggrottò le sopracciglia con aria grave. - Mi dispiace per tuo padre.
Annuii, dissimulando l'effetto che quelle parole ebbero sul mio fragile sistema emotivo. - Grazie.
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What can you see? - Il progetto γ
Mystery / ThrillerE se coloro che hanno giurato di proteggervi... avessero anche giurato di uccidervi? Lydia Davis è così orgogliosa del padre, brillante primario di chirurgia di uno degli ospedali più all'avanguardia di Washington; una volta ha persino operato il p...