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Passione: dal latino patior, dolore.
Non poteva esserci una definizione migliore per il modo di cantare di Einar.
La lettura della lettera lo aveva segnato profondamente, nessuno di loro si aspettava che i loro scritti sarebbero stati letti ad alta voce, davanti a tutti, davanti ai giudizi cattivi di chi sputa sentenze senza nemmeno conoscere la realtà.
Però sentire le sue stesse parole dalla bocca di qualcun altro aveva portato Einar al limite.
Irama sapeva che quelle parole erano dirette al padre del ragazzo. Lui stesso aveva aiutato l'amico a comporre quella canzone, conosceva bene la situazione. "Amico" era la parola per un uomo che era troppo lontano per essere definito "papà" e troppo vicino per essere uno sconosciuto.
Il ragazzo tatuato continuava a scrutare gli occhi di Einar, sperando di trovarci una forza e una determinazione che nemmeno lui riusciva ad avere il quel momento. Come potevano non aver commosso anche lui, quelle parole?
Ma quando la giudice annunciò che sarebbero partiti con gli inediti, Irama spalancò gli occhi: come poteva Einar, cantare quel pezzo senza andare in pezzi?
Partì Carmen, impeccabile come al solito, ovviamente, ma Filippo era troppo preoccupato per ascoltarla bene.
Sperava che Einar guardasse nella sua direzione, voleva dargli forza almeno con uno sguardo, voleva mimargli con le labbra "andrà tutto bene".
Quei due minuti e mezzo avevano permesso al ragazzo cubano di calmarsi, di riprendere fiato, di rimettersi sul viso la sua maschera impassibile. Così aprì la bocca e iniziò a cantare cercando di non pensare alle parole che ne uscivano. Non poteva permettersi di crollare. Non ora.
Ma quelle parole le aveva scritte lui. Quelle parole erano Lui. Così la sua voce si spense.
Ma lui non poteva accettarlo, doveva farlo per se stesso. Era tutto ciò che aveva in quel momento.
Così con gli occhi gonfi di pianto e la voce che usciva come un singhiozzo, cantò e cantò ancora, fino a riprendersi e concludere, mettendo nelle sue ultime parole tutta la sua sofferenza, ma anche la speranza.
Filippo non poteva crederci: ce l'aveva fatta. In cuor suo lo sapeva che quando Einar si metteva in testa una cosa, poi la portava a termine, in qualsiasi circostanza, ma vedere quel ragazzo, così giovane e così spezzato, rialzarsi da solo e farcela lo aveva spiazzato. Lo aveva commosso come tutte le volte. Mettere tutto se stesso nella musica non é facile quando si soffre così.
Quando vide gli occhi rossi dell'altro, non riuscì a trattenersi dal ritrovarsi nella stessa situazione: gli occhi chiari pieni di lacrime che minacciavano di uscire.
Fortunatamente Maria mandò subito la pubblicità, così Filippo, fregandonese per una volta del programma, dell'educazione, del contegno, scese dei grandini dei banchi e corse verso Einar, che non era nemmeno ancora sceso dal rialzo della sfida. Lo aveva già visto piangere, sapeva come diventavano gli occhi dell'altro, non voleva vederli. Salì sul gradino rosso per essergli completamente di fronte e poi gli strinse le braccia al collo, allungandosi sulle punte dei piedi. Istantaneamente sentì le braccia di Einar circondargli la schiena, sotto la giacca e stringerlo a  sé, nascondendo il viso rigato di lacrime sulla spalla del più piccolo.
Non avevano bisogno di parole. Se ne erano già dette tante.
Stetterò soltanto lì, a stringersi, a oscillare sul posto come per cullarsi a vicenda.
Irama, ormai più calmo, con il ragazzo tra le braccia, prese a accarezzargli la nuca e gli lasciò un bacio segreto sul collo. Non perché volesse nascondersi, ma perché quel momento era solo loro. Solo loro si capivano senza bisogno di parole, ormai senza nemmeno il bisogno di guardarsi negli occhi.
Il tremore delle mani di Einar sulla sua schiena era quasi completamente cessato e anche i singhizzi stavano svanendo.
Il momento venne interrotto dalla regia che annuncia che mancavano venti secondi alla diretta.
Einar abbassò subito le braccia, mentre Filippo gli lasciò ancora una carezza sulla nuca, prima di fissarlo negli occhi, ancora lucidi, ma più sereni.
Si fecero sul sorriso timido a vicenda.
Si stavano dicendo "ora va meglio".
Irama scese dal gradino e tornò al suo banco, girandosi ancora un attimo indietro, a guardare quell'anima pura, che non era poi così tanto fragile come pensavano tutti.

Le telecamere si erano spente.
Ma in quel caso, il primo a cercare lo sguardo dell'altro era stato Einar.
Appena Maria aveva annunciato la sua vittoria della sfida e la pubblicità, aveva lasciato i compagni di squadra per correre verso Filippo, che lo aveva stretto ancora più forte di prima, dicendogli che lo sapeva, che era fiero di lui, che era stato bravissimo.
Ma Einar non lo stava ascoltando. Come al solito sapeva cosa l'altro gli avrebbe detto. L'unica cosa che gli importava era essere tra quelle braccia. Il suo porto sicuro.
Non appena Maria gli aveva dato la felpa del serale aveva dovuto trattenersi dal girarsi e correre verso di lui per festeggiare. Ma ora le telecamere erano spente, quindi potevano stare li a stringersi.
Einar però si staccò: doveva dire una cosa importante, e nonostante la sua costante insicurezza nell'esprimere quello che pensava , alzò gli occhi in quelli chiari dell'altro e disse con una voce ferma che fece tremare Filippo: "Non ce l'avrei mai fatta senza di te"
E Filippo si aprì nel più luminoso dei sorrisi, per poi lasciare una carezza sul braccio di Einar, coperto dalla nuova felpa verde, per rispondere: "Come è che diciamo noi sempre? Ci siamo salvati a vicenda".

Mi salvi chi può ~EiramDove le storie prendono vita. Scoprilo ora