Capitolo 5 ("La felicità")

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"Cadono come castelli di sabbia
le nostre certezze,
pilastri di rabbia e paura"

Questo salotto diventa un posto oscuro e freddo se ci sto da solo e al buio.
Una stanza di notte senza luce fa in modo che il buio si confonda con la stanchezza e per questo ho difficoltà a distinguere se ho gli occhi aperti o chiusi.
Resto ancora a terra appoggiato con la schiena al muro e le gambe divaricate,
il respiro un po' irregolare per i troppi singhiozzi e la testa un po' stordita per i tanti pensieri.
Mi sembra di dormire, ma non è così.
Sono sveglio e riesco ancora a collegare tutto, riesco a sentire ancora le mie stesse urla, a vedere le scene di prima riavvolgersi nella mente fino ad arrivare alla porta sbattuta da un Francesco che va via,
per colpa mia e del mio orribile carattere.

Mi alzo a fatica tenendomi in equilibrio a malapena, raggiungo la cucina aggrappandomi ad ogni mobile o parete
che possa concedermi un po' di stabilità, perché la testa mi scoppia e le gambe le sento troppo deboli. Ho ancora questo senso di malinconia pensando a tutte le cose che sono successe nella giornata, che ho intenzione di mandare via quando afferro la bottiglia di liquore dal frigo.
Bere per trovare la pace magari dimenticando, perché troppi pensieri mi uccidono. Ho voglia di ubriacarmi, così inizio a ridere senza un motivo e non la smetto più. Però poi, con le dita già sul tappo per aprirla, mi ricordo delle sue parole.

-Mio padre era ubriaco ogni sera e approfittava di quella scusa per rendere ogni momento della mia vita un completo inferno.. Poi ha cominciato a picchiarmi anche quando non beveva e io avevo solo voglia di sparire arrivando a pensare che la colpa fosse mia..-

Poso la bottiglia, ancora chiusa, sul davanzale della cucina e lascio che i ricordi continuino a vagare nella mia mente, facendomi rendere conto di essere un padre ora e non più il ragazzo confuso e debole di prima.
Io non lascerò mai che mia figlia abbia paura di me. Ho sbagliato tante volte nella mia vita, ma lei è una delle poche cose giuste.


"Siamo lontani dai giorni che ci hanno concesso
di apprendere il senso di chiederci scusa
con un compromesso e trovare la cura"

È notte fonda, ma Anita non dorme ancora.
Sotto le coperte del suo lettino, con occhi svegli e ancora un po' lucidi, fissa il soffitto senza riuscire a dormire.
All'improvviso sente bussare alla porta della cameretta non aspettandosi nessuno a quell'ora.
Con i piedi scalzi cammina sul pavimento freddo raggiungendo la porta e aprendola si trova il suo papà fermo, immobile, davanti a lei con le guance un po' rosse che la guarda nei suoi profondi occhi marroni che l'hanno fatto innamorare.

-Posso entrare?-

Anita non sa cosa dire, si sente bloccata, come se avesse perso le parole.
Si sposta un po' più verso destra per farlo passare e annuisce leggermente con la testa.
Ricorda quello che è successo prima,
non sa cosa dire e quali parole usare per non fare arrabbiare di nuovo il suo papà.

Piano piano lui le si avvicina, si abbassa in ginocchio per raggiungere la sua altezza e la stringe in un forte e caloroso abbraccio e con un filo di voce le sussurra all'orecchio tra singhiozzi e lacrime.

-Anche a me manca Ani, mi manca tantissimo.. mi dispiace per averti sgridata senza motivo, scusa amore sono stato cattivo.. scusami.. -

In quel momento Anita capisce che anche i genitori possono avere i loro momenti brutti e che alzare la voce non sempre vuol dire smettere di voler bene.
Capisce che, forse, molte cose ancora non potranno essere chiare per lei e che stare da sola nel letto non la fa mai dormire.
Si aggrappa di più al collo del papà lasciandogli tanti bacini sul viso, nonostante la barba punge e da fastidio, e stuzzicando i suoi orecchini con le dita.

Io mi ricorderò di te. |MetaMoro|🥀Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora