Buongiorno e, finalmente, buon fine settimana! Non so per voi, ma per me questa settimana è stata ETERNA! Vi lascio con un altro capitolo di Marco, fatemi sapere cosa ne pensate! :)
Buona giornata e buona lettura! <3
Domenica, 6 luglio 1997 (Marco, 25 anni)
Sono passati otto giorni dalla gita al mare, otto giorni in cui Anna è rimasta rinchiusa in casa a studiare per la maturità, otto giorni in cui avrei voluto sbattere la testa contro il muro. Ho alzato la cornetta mille volte, facendo il numero di casa fino alla penultima cifra e poi riagganciando: cosa faccio se rispondono i suoi genitori? Chiedo a Giacomo di aggiustare un pezzo della moto come scusa per presentarmi a casa loro? Mi era anche venuto in mente di passare per caso davanti a casa sua, magari la beccavo fuori durante la pausa dallo studio, ma sarei risultato troppo ovvio e coglione a fare una cosa del genere.
Mi sto comportando come un quindicenne in calore che fa le poste sotto casa della ragazzina di turno, ci manca solo che rispolveri il mio vecchio motorino e sono il perfetto stereotipo dello sfigato. E per dimostrare quanto me ne importi di come possa apparire, sono qui, con un sorriso da un orecchio all'altro quando la vedo arrivare aggrappata come uno zainetto alla schiena di suo padre. Alzo discretamente la mano per salutarla, senza attirare troppo l'attenzione di chi ci sta attorno, lei fa lo stesso con me. Stiamo a debita distanza e ci comportiamo in maniera normale, come abbiamo sempre fatto, anche se fatico da morire a ricordare cosa sia la normalità per noi due. Dubito che i suoi genitori sappiano che ci vediamo anche fuori dai giri in moto e la cosa mi fa stare sulle spine tutto il tempo, quando siamo insieme qualcuno potrebbe capire che di normale, in questa situazione, non c'è proprio niente.
Arriva l'ora di pranzo, quando finalmente riusciamo a parlarci e stare vicini. Lei ordina il suo solito panino col formaggio e la lattina di tè al limone, io quello con lo speck e una Coca Cola. Aspetto che lei si sieda in mezzo al prato come fa di solito poi, dopo diversi minuti, la raggiungo e mi siedo accanto a lei.
«Mi sei mancata questa settimana» le dico senza guardarla in faccia, come se la cosa non fosse poi così importante.
Lei si mette a ridere e mi spinge da una spalla.
«Ma se avrai avuto decine di ragazze, un paio almeno ogni sera, a tenerti compagnia mentre guardi le vecchie videocassette»
Non so se mi stia prendendo in giro o se sia un suo tentativo maldestro di chiedermi se ho avuto qualcuna a casa questa settimana in cui lei non c'era. Come se potessi scoparmi qualcuna adesso che lei si è fatta spazio nel mio cervello e sotto pelle, come una piacevolissima malattia da cui non voglio guarire.
«Non invito chiunque a casa mia a guardare la tv» ed è vero. Nessuna delle ragazze che è passata per quelle tre stanze si è mai fermata per la durata di un film... ma questo non glielo dico, non sono orgoglioso delle mie scopate occasionali.
«E perché a me hai riservato un trattamento speciale?» Il suo modo di flirtare è così maldestro e ingenuo che mi fa una tenerezza infinita.
Alzo le spalle e faccio finta di pensarci qualche secondo, come se dovessi sforzarmi tanto per capire il perché lei sia speciale.
«Perché lo sei» alla fine le dico mentre la osservo arrossire.
È questo parlare di tutto e di niente con lei che mi fa stare bene. Potremmo passare ore a raccontarci le più stupide banalità e farle risultare le più importanti parole mai dette dall'uomo. È solo con lei che riesco ad avere questo tipo di conversazione perché la sua ingenuità non è stata contaminata da tutto quello che la vita le ha riservato, dalle esperienze che ha fatto e che le hanno portato via un po' di quella purezza che si porta dentro. Lei ha ancora tutte le sue esperienze da vivere e, per me, è come una boccata d'aria fresca. Anche queste frasi, che sanno di spensieratezza e adolescenza, sono ciò che mi serve per tirare avanti con la mia vita, per farmi superare la settimana dal lunedì al venerdì e passare il sabato in trepidante attesa di vederla la domenica.
Anna non dice niente, non risponde alla mia frase ma allunga una mano sull'erba, accanto alla mia, esita per qualche secondo e poi intreccia le nostre dita e arrossisce, come se quello fosse il gesto più imbarazzante che potesse fare. Mi piace questo suo provare ad avvicinarsi insicuro, questo suo impiegarci un'eternità a fare certi gesti e poi lasciarsi andare improvvisamente, come quel morso sulla spalla che mi ha dato sulla spiaggia. Va avanti a tentativi, si vede che non sa come provarci con un ragazzo e io glielo lascio fare, non ho fretta e mai gliene metterò. Non mi va di stare qui a fare il maestrino e farle vedere come ci si comporta con la persona che ti piace, un po' perché lo scoprirlo da sola è un po' tutto il punto di crescere e diventare grandi... e un po' perché anch'io non so come ci si atteggia con una persona che davvero ti piace.
Restiamo così per qualche minuto, poi il padre si avvicina di qualche passo e lei ritrae subito la mano, per poi riavvicinarla quando il padre cambia strada e se ne va. Sono io questa volta ad afferrarle la mano, accarezzarla leggermente col pollice e godermi i suoi occhi puntati sulle nostre dita e il sorriso che le si dipinge sulle labbra.
«Ti senti pronta per l'orale?»
Dopo come l'ha presa per via dello scritto andato un po' così, ammetto di essere un po' preoccupato per come possa vivere l'interrogazione di martedì.
«Se non uscivo oggi impazzivo» alza le spalle e io mi perdo nei suoi occhi.
«Vedrai che andrà bene. Lo so che sarai nervosa, ormai ti conosco abbastanza, ma so anche che sei preparata» mi rendo conto che le mie parole siano di una banalità disarmante ma davvero lo penso.
«Ormai non posso più farci niente, non è che magicamente divento un genio in due giorni e stare qui a ripassare fino alla nausea mi farà arrivare stanca e confusa all'esame»
La sua spiegazione è logica e razionale, si vede che se l'è ripetuta un'infinità di volte, ma da come mi stringe forte la mano capisco che sia terrorizzata.
«Vieni» le dico alzandomi e allontanandomi di qualche passo. «Tu hai bisogno delle barzellette di Livio» le spiego vedendo la sua faccia perplessa.
Anna fa una smorfia poco convinta e poi scoppia a ridere ma, c'è una cosa che ho imparato andando in giro tutti questi anni con loro ed è che se c'è una cosa che le fa perdere completamente il controllo fino ad avere le lacrime e le guance doloranti a forza di ridere, sono le barzellette dell'amico del padre. Così metto da parte il mio desiderio di stare lì, a rubare ancora altri minuti solo per noi, e faccio quello che mi fa sentire meglio: farla ridere.
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[COMPLETA]Come in quella vecchia Polaroid
Chick-LitAnna è una ragazza all'ultimo anno del liceo; è carina, posata, dolce, studiosa ma non un topo da biblioteca. Ama uscire con le amiche, leggere libri e guardare film. Marco è un venticinquenne moderatamente ricco, scapestrato, con un unico vero amic...