⊱cherry

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[Bahamas – All I've Ever Known]
"The thing I miss the most
lives in some demon host
I know you're not a ghost
just down the street"

Min Yoongi
—ROSSO CILIEGIA

Jimin, la notte precedente, era rimasto sveglio per così tanto tempo da osservare tutte le sfumature dell'aurora fino a sentire sulla fronte i primi raggi del sole che con estrema lentezza filtravano dalla tenda per appoggiarsi sul suo letto

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Jimin, la notte precedente, era rimasto sveglio per così tanto tempo da osservare tutte le sfumature dell'aurora fino a sentire sulla fronte i primi raggi del sole che con estrema lentezza filtravano dalla tenda per appoggiarsi sul suo letto. Era maledetta l'agonia di sentirsi un piccolo insetto intrappolato in una tela di ragno, avere gli occhi secchi contro il cotone del cuscino e un po' di tachicardia sbattere contro al cervello. La luna, da fuori la finestra, gli sussurrava all'orecchio filastrocche su bimbi infelici intrappolati  in corpi stanchi di adulti. Il tramonto, invece, non smetteva di vibrare contro il vetro e la sua voce era così familiare da costringere Jimin ad alzarsi per accendere l'abat- jour sulla scrivania e cercare di trovare una forma ai suoi pensieri. Anche se tenere una matita in mano valeva a dire disegnare il viso di Yoongi–era questa la forma dei suoi pensieri? Il suo viso?– Jimin lo raffigurava sempre allo stesso modo: messo un po' di profilo, con una sigaretta che penzolava tra le labbra e lo sguardo rivolto verso un mondo che conosceva solo lui. Inghiottito dal blu dal cielo e dal silenzio. Gli facevano male le dita per quanto aveva ricalcato i contorni dei suoi zigomi e a causa della stanchezza si era limitato a colorargli le guance con quel poco di caffè che non riusciva a ingoiare prima di andare a scuola.

Erano già passati tre giorni dall'ultima volta in cui lo aveva visto e il timore di non rivederlo mai più aumentava a dismisura, togliendogli ore di studio e di sonno. D'altronde gli era già successo di salutare la persona per la quale aveva nutrito più affetto e poi vederlo improvvisamente sparire, trasformarsi in una delle miriadi di stelle che vedeva prima di augurarsi una notte senza incubi. L'ingenuo Park Jimin, anche se non aveva mai visto i colori vivaci della sua vita, coltivava una profonda paura per la morte e per le gradazioni scure delle sue tenebre. Era come se bastasse soltanto un battito di ciglia per vedersi risucchiare via tutto il blu dei suoi disegni e lasciargli sul foglio soltanto un profondo e infinito bianco. E il bianco fa paura, il bianco è la totale assenza di colore. Per questo motivo quando la vita di Jimin era circondata da incubi e nuvoloni pieni d'acqua, lui si aggrappava a quella paziente sofferenza dondolandosi fra un cielo stellato e un mare in tempesta. Abbracciando il suo sconforto, mettendosi con lui carne contro carne, atomo contro atomo, cingendogli i fianchi e ricordandosi che di tristezza non si muore e che prima o poi nel vaso in cui custodiva tutte le sue lacrime sarebbero nati dei tulipani.

Perché quindi non si deve amare e accettare il proprio dolore? Perché mai togliere le spine a una rosa se é quella la sua vera natura?

Quel mercoledì decise di saltare la scuola per potersi presentare a casa di Yoongi, ovviamente senza alcun preavviso e con il cuore che batteva come un grosso tamburo. Jungkook, grazie alle conoscenze di sua madre, lo aveva aiutato a trovare l'indirizzo e lo aveva fatto solamente perché il silenzio di Jimin aveva lo stesso suono dell'eternità e poi tutte le voci che giravano a scuola su Yoongi stavano solamente peggiorando la situazione.

RESILIENZADove le storie prendono vita. Scoprilo ora