I minuti passano, le cose cambiano, le vite si intrecciano. Le certezze si ribaltano, si spezzano gli equilibri, la luce diventa ombra. Il male e il bene si mescolano, le idee si confondono e tu, che non sei nessuno per decidere le tue stesse sorti, puoi solo restare a guardare e fare del tuo meglio per adattarti.
L'ansia, il corpo pieno di rancore per un volto ignoto, i secondi che non passavano, che le si infrangevano addosso come una miriade di pugnalate; il terrore di scorgere tra il via-vai di gente degli occhi di uno sconosciuto fissi nei suoi, che le venivano in contro, ma non per pura casualità. Occhi che dicevano cose per cui la bocca avrebbe tremato.
Roxanne se ne stava lì, circondata da decine di persone ma sola al mondo, seduta nella stessa posizione da ormai cinque ore, fissando lo stesso identico punto dal medesimo tempo, forse senza nemmeno accorgersene. Contava i respiri e, quando perdeva il conto, iniziava daccapo.
Attorno a lei pian piano la gente se ne andava dalla sala d'attesa, alcuni dopo aver ricevuto una brutta notizia, altri dopo essere finalmente tornati a respirare. Non poteva fare a meno di chiedersi cosa avrebbero detto a lei.
«Cerco i familiari di Tahir Ayala.» Un giovane chirurgo si fece largo nella sala d'attesa. Una cuffia blu rivelava a mala pena un paio di ciocche di capelli castani alla base della nuca e il suo viso appariva stanco. Teneva entrambe le sopracciglia sollevate e il naso all'insù; gli occhi scuri vagavano da tutte le parti, in attesa di una risposta. Roxanne si alzò in piedi, risvegliandosi all'improvviso dallo stato di trance in cui era caduta. Le faceva male la schiena per essere rimasta ferma così a lungo.
«Sono stata io a portarlo qui. Mi hanno detto che sono riusciti a rintracciare la madre non molto tempo fa, ma non è ancora arrivata.»
«Salve, sono il dottor Campbell» le disse l'uomo, stringendole la mano. Anche la voce leggermente biascicata indicava stanchezza, ma sembrava comunque non aver perso quella nota di decisione che in casi come questo era necessaria. Le rivolse un mezzo sorriso che in realtà appariva più come una specie di smorfia, caratteristica della sua espressione.
«Posso sapere come sta? Siete riusciti a salvarlo?» Il cuore di Roxanne stava per esplodere.
«Purtroppo queste sono informazioni che posso rivelare solamente in presenza di un genitore. So che è preoccupata, ma così stanno le cose. Dovrà aspettare che arrivi la madre e che acconsenta a farla rimanere.»
«Sta scherzando?» sbottò lei fulminandolo con lo sguardo, esasperata. «Quel ragazzino mi è quasi morto tra le braccia. Ho aspettato per ore pregando che potesse farcela. Ho ancora i vestiti zuppi del suo sangue e lei non può nemmeno dirmi se respira ancora?» I capelli disordinati di Roxanne le coprivano il volto a metà, facendo sembrare il suo sguardo più folle di quanto fosse in realtà. Era stanca, ora anche arrabbiata. Le tremavano le mani.
«È vivo.» Almeno questo il dottore glielo concesse. «Ma al momento non posso dirle altro. Aspetti la madre e, se deciderà che potrà restare, allora anche lei potrà sapere i dettagli. Lo so che può sembrare ingiusto, ma dopotutto lei per la famiglia è un'estranea e le regole non le faccio io.» L'uomo alzò le spalle, per poi intrecciare le mani davanti a sé, tenendo la cartella clinica di Tahir sotto il braccio.
«E ora mi scusi, ma ho dei pazienti da controllare. Quando arriverà qualcuno mandi un'infermiera a cercarmi.» Le rivolse un cenno di congedo con la testa, per poi tornarsene da dov'era venuto.
Roxanne in quel momento non ebbe nemmeno le forze per ribattere, così tornò a sedersi su quel divanetto di pelle color carta da zucchero che l'aveva ospitata nelle ultime ore.
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Against
ActionRoxanne non voleva scappare da se stessa, ma da quella ragazza che la sua famiglia aveva tentato di plasmare senza chiederle il permesso. Aveva preferito lasciarsi tutto alle spalle, sino a ritrovarsi completamente sola, in un luogo che sembrava n...