Veronika. Voglio ricomporre il tuo cuore in frantumi

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Domenica 15 luglio

Camminare a piedi nudi sulla sabbia bollente era una novità per me.

Quando ero bambina correvo sulla neve che, ogni inverno, imbiancava la città di Novgorod.

Poi mia mamma era morta, ero cresciuta e Mike mi aveva presa con se. E al freddo polare della Russia si erano sostituiti il clima temperato della California e le strade asfaltate e impersonali di San Diego.

Avevo attraversato viali, viottoli, vicoli puzzolenti, sentierini fangosi e stradine sterrate, ma mai una spiaggia.

Mi piaceva quella sensazione.

La sabbia, a differenza degli altri, non m’infastidiva né mi scottava le piante dei piedi. Mi accarezzava dolcemente. E mi parlava di ricordi felici.

Se la neve della Russia mi raccontava di giovinezze perdute e le strade californiane di anni di silenziosi soprusi e violenze striscianti e senza possibilità di riscatto, la spiaggia mi parlava di amori timidi e a lieto fine.

Di sogni che avevano trovato la loro realizzazione.

Mi piacque pensare a tutte le persone che erano passate di lì prima di me e a tutte quelle che avrebbero percorso in futuro il mio stesso tragitto.

Chissà se anche loro si erano fermate- o se si sarebbero fermate- nello stesso punto in cui stavo io.

Chissà se anche loro avevano fumato – o avrebbero fumato-una sigaretta dopo l’altra, avvelenandosi i polmoni e permettendo ai pensieri di disperdersi nell’aria insieme al fumo.

Chissà se anche loro avevano commesso – o avrebbero commesso – il mio stesso sbaglio, cioè quello di tentare di sfuggire al proprio passato, ma allo stesso tempo di sperare di vivere tranquillamente il presente e quindi di costruire pezzo per pezzo il futuro.

Chissà se anche loro avevano nascosto una lettera di poche parole tra i vestiti.

Io tenevo la mia vicino al cuore.

Per crogiolarmi nell’illusione che Ryan fosse con me.

Che anche lui provasse qualcosa nei miei confronti.

Che non mi avesse sbattuto in faccia la realtà delle cose, ma che mi avesse permesso di continuare a vivere nella dimensione da favola che mi ero creata.

Avrei potuto continuare all’infinito elencando tutti i ‘che’ e i ‘se’ che forse mi avrebbero fatto felice, ma non ne avevo la forza né la volontà di mettermi lì a riflettere.

Tutti quei ‘che’ e ‘se’ non mi avrebbero trasportata indietro nel tempo. Non avrebbero materializzato al mio fianco lo Stronzo in carrozzina. Non gli avrebbero aperto il cuore.

Buttai nella sabbia il mozzicone morente e passai oltre, tenendo in mano i sandali e giocherellando con il piercing sulla lingua.

Amavo quando le onde di volta in volta mi lambivano pigramente i piedi nudi.

Era una sensazione così diversa e lontana dalla neve che mi faceva venire i geloni e me li ricopriva di tagli o dalle vesciche che mi trovavo, dopo una giornata infruttuosa di lavoro, a furia di camminare sui tacchi e stazionare per delle ore vicino ai pali della luce.

Due bambini mi tagliarono la strada e si tuffarono in acqua, ridendo cristallini.

Io li seguì con lo sguardo.

Anche io da piccola ero così.

Solo che al posto del mare c’era la neve perenne.

Al posto dei castelli di sabbia, gli uomini di neve che decoravo con sassolini, bottoncini, rametti e stringhe sfilacciate di scarpe.

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