Capitolo 44 (ANNA)

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Buongiorno! Scusate se non ho risposto ai messaggi di ieri che mi avete lasciato, non sono diventata cafona tutto d'un tratto, semplicemente Wattpad fa i capricci come il suoi solito e non mi fa commentare. Vi lascio con un nuovo capitolo spero che questa volta non mi lasci ancora a piedi quando commento!

Buona lettura.



Domenica, 15 Agosto 1993 (Anna, 14 anni)

Come ogni anno eravamo in campeggio al mare il giorno di Ferragosto. Niente giri in moto, niente passi di montagna, solo sole, spiaggia e relax per quindici giorni. Era un ferragosto come tanti, ci stavamo preparando alla cena della sera, in compagnia di alcune persone delle tende lì attorno. Un giorno che si preannunciava pieno di sole, risate e i fuochi d'artificio la sera.

Come ogni giorno, puntuale come un orologio svizzero, alle due del pomeriggio, mia mamma si era messa in coda alla reception per usare il telefono a gettoni per chiamare a casa mia nonna. Qualche chiacchiera, le novità su quello che succedeva in paese, poi i saluti. Ogni giorno la solita telefonata, ogni giorno mia madre che tornava col sorriso e ci portava i saluti della nonna... ma non quel girono. Appena l'avevo vista arrivare avevo capito subito che era successo qualcosa. Il viso era bianco, l'espressione cupa, sembrava quasi che stesse trattenendo le lacrime. Aveva chiamato me e mio padre dentro in tenda e ci aveva dato la notizia con la sua solita voce calma e rassicurante.

«Purtroppo stamattina, durante il giro in moto, è venuto a mancare Agostino» aveva sussurrato piano, come se dire quelle parole ad alta voce avesse potuto renderle più brutali di quanto non lo fossero già.

Il nodo che mi si era formato in gola faceva quasi male, le lacrime mi erano salite agli occhi ma non riuscivano a scendere. Avevo guardato mio padre con disperazione, la sua faccia era cupa, i suoi occhi lucidi ma non piangeva, mio padre non piangeva mai; quando era triste si chiudeva nei suoi silenzi che sapevano molto di lacrime salate e disperazione ma non una parola debole usciva dalle sue labbra.

«Ha fatto un incidente?» Aveva chiesto, molto pratico, come sempre.

«No, sembra che abbia avuto un infarto e sia semplicemente scivolato a terra con la moto... non aveva neanche un graffio»

Mio padre aveva annuito, sembrava quasi sollevato, come se quella morte fosse stata inevitabile, come se la vita gli fosse scivolata via e non strappata in modo brutale.

Non ero rimasta molto dentro la tenda, mio padre parlava con mia madre di tornare a casa da solo per il funerale. Io avevo preso la mia bicicletta ed ero volata via, come se quel posto fosse in fiamme. Mi ero rintanata nell'angolo più nascosto e inaccessibile del campeggio, in mezzo agli alberi e avevo dato libero sfogo alle lacrime. Avevo pianto per Agostino, che avevo visto la domenica prima di partire per il mare e poi anche il lunedì, quando ero passata per casa sua e mi aveva dato il Cucciolone perché faceva caldo. Mi dava sempre il gelato, Agostino, che fosse estate o inverno, lui me lo offriva sempre, ne aveva una scatola di scorta di Cuccioloni e me li offriva perché sapeva che a me non piaceva il gusto zabaione e che glielo avrei lasciato finire ogni volta. Perché lui i gelati mica li mangiava, lo faceva solo per farmi un piacere, strizzandomi l'occhio quando me lo diceva.

Quel giorno avevo pianto perché non ci sarebbero stati più giri in moto con lui, gelati da condividere, pomeriggi passati nel suo giardino mentre lo aiutavo a raccogliere la frutta matura dagli alberi. Avevo pianto per gli occhi lucidi di mio padre, le lacrime che non sarebbero mai scese, il cuore spezzato per la perdita del suo unico amico, la consapevolezza che avrebbe affrontato il funerale da solo.

Quel giorno mi ero resa conto che, quando qualcuno se ne andava per sempre, si portava via anche un pezzetto del tuo cuore. Quando le mie nonne non ci sarebbero più state, le farfalline con il pomodoro le avrei mangiate lo stesso, ma non avrebbero più avuto lo stesso sapore, come non avrebbe più avuto lo stesso gusto la marmellata ancora calda, prima di essere messa nei vasetti, mangiata con un pezzo di pane. Anche i panini con il burro e lo zucchero sarebbero stati più insipidi perché, nel mio cuore, sarebbe mancato quel pezzettino che mi faceva amare quei sapori.

Mio padre non mi voleva lì il giorno in cui avevano seppellito Agostino e avevo capito il perché quando Marco mi aveva raccontato del funerale qualche settimana più tardi. Mi aveva detto di come si fossero radunati tutti con la moto nella piccola piazzetta di fronte alla chiesa, di come il silenzio fosse assoluto e, quando avevano acceso le moto per accompagnare la bara fino in cimitero, di come il rombo gli fosse entrato nella pancia fino a farlo piangere. Aveva pianto, Marco, perché la tristezza che aveva avvolto il cuore di tutti aveva fatto sgorgare le lacrime anche sulle facce dei più duri. Per questo mio padre non mi aveva voluto lì con lui, perché voleva che mi rimanesse solo il ricordo bello di Agostino, delle sue risate, dei suoi occhi complici quando condividevamo il gelato, non quello triste di un giorno di agosto con una bara coperta di fiori bianchi e le lacrime che mi solcavano il viso. Avevo ringraziato in silenzio mio padre per non avermi permesso di scegliere, per aver lasciato che fosse sulla sua coscienza il peso di non avermi fatto partecipare, perché da quel giorno Agostino l'avrei ricordato con un sorriso ogni volta che avrei mangiato il Cucciolone, anche il gusto zabaione, e non con un groppo in gola quando sentivo l'odore opprimente dell'incenso.

Quel giorno ero tornata alla tenda giusto in tempo per vedere mio padre partire per tornare a casa da solo, con il cuore che mi rimbalzava furiosamente nel petto e il desiderio di stringerlo in un abbraccio e non lasciarlo più andare. Alla fine però mi aveva preso per mano, l'avevo accompagnato fino alla macchina, salutato e seguito con lo sguardo finché non era scomparso voltando l'angolo.

Qualche anno più tardi, il giorno dell'incidente mio e di Marco, avrei capito l'ira di mio padre nei confronti di Marco, perché quel giorno, trovandomi distesa sull'asfalto, sicuramente si sarebbe ricordato della bara coi fiori bianchi di Agostino.

[COMPLETA]Come in quella vecchia PolaroidDove le storie prendono vita. Scoprilo ora