(22) "Basta, mi arrendo."

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[Mi scuso immensamente per il ritardo nella pubblicazione del capitolo, mi dispiace deludervi e non rispettare i tempi ma ho avuto dei problemi che non mi hanno permesso di aggiornare nei giorni che avevo stabilito. Cercherò di fare del mio meglio, spero che non faccia schifo e mi scuso per la cortezza(?) del capitolo. Vi adoro, ciao a tutti. Ps, scusate eventuali errori.]

Michelle Adams.

Riuscivo a sentire delle voci in lontananza, quasi come un sussurro o un borbottio. Ero più che sicura che fosse una voce maschile, e dal tono di voce sembrava pure famigliare.

Sentivo freddo e tanto. Delle forti fitte che mi facevano mordere le labbra dal dolore.

Avevo provato più e più volte a muovere qualche parte del corpo. Avevo provato con le mani, poi con i piedi e poi con la testa. Nulla, tutto sforzo a vuoto.

Riuscivo a sentire il mio respiro e il cuore battermi in petto. Almeno quello mi rassicurò un po', perché stesse a significare che non ero ancora morta.. o almeno così sembrava.

Ogni tanto riuscivo a sentire un leggero solletico sul dorso della mano sinistra e poi destra. Poi sulla fronte o sulle guance. Come se qualcuno mi stesse toccando o sfiorando.

Forse erano giorni o mesi che mi ritrovavo in quello stato. Iniziavo a stancarmi pure di sentire il mio stesso respiro lasciare la mia bocca. Mi irritava rimanere per troppo tempo immobile nella stessa posizione. Perché sentivo che il corposo si stesse  indolenzendo e il non potermi muovere mi mandava fuori di testa. Mi sentivo in trappola e iniziavo pure a soffrire di attacchi di panico e asma. 

Ogni tanto mi capitava di ritrovarmi in una stanza bianca, seduta in mezzo ad essa a fissare il vuoto. Mi tornavano in mente ricordi che avevo tentato di seppellire per sempre, poi d'un tratto c'ero solo io e uno specchio. La figura che rifletteva sullo specchio era trasandata, un vestito bianco latte che copriva il corpo e poi una chiazza di sangue all'altezza del petto. Se mi avvicinavo per guardare meglio, essa spariva e mi ritrovavo nuovamente nella stanza bianca, stavolta stesa sul pavimento interamente bianco. Non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo e cosa significasse tutta quella messa in scena. Sapevo solo che mi ero stancata di ciò.

Avevo pure provato a parlare ma senza nessun risultato positivo. Ero morta e non parlavo di una morte interiore ma esteriore. Come se il mio corpo fosse morto e la mia mente viva.

A quanti di noi è capitato di sentirsi morti dentro? Anche se tra il sentire e l'essere c'è una differenza, enorme.

Siamo arrivati ad un punto della nostra vita in cui se distruggiamo un oggetto ne siamo disperati, mentre se distruggiamo delle persone ne siamo indifferenti.

Provavo un certo disgusto per le persone prive di sentimenti verso gli altri. Per tutte quelle persone egoiste a cui non importava se tu fossi a pezzi, contavano solo loro, solo i loro problemi, solo il loro io.

Le persone vanno aiutate, vanno capite e vanno comprese. Perché c'è un filo sottile che distingue la comprensione con la compassione.

Fin da piccola credevo che il mondo fosse un posto sicuro in cui crescere, in cui poter essere me stessa. Poi sono cresciuta e ho imparato a vedere il mondo con gli occhi dei grandi e non con quelli di una bambina di cinque anni.

Provate a immaginare cosa vuol dire essere una bambina di cinque anni sicura che avrebbe avuto un futuro felice, una famiglia e un marito amorevole e pure dei figlio, perché no. Poi provate a immaginare tutto questo andare in pezzi, spazzato via dalla realtà. Era un po' come ricevere uno schiaffo dopo aver ricevuto una carezza.

In tutta la mia vita non ero mai stata così tanto delusa d'allora. Rimpiangevo ogni giorno il non poter avere una famiglia normale, mi addormentavo piangendo la notte con il cuscino inzuppato di lacrime. Le lacrime di una bambina, immaginate cosa si prova.

Provate per un attimo a mettervi al mio posto. Provate per un attimo ad immaginare tutto questo in prima persona. Non è bello vero?

Purtroppo giudicare qualcuno senza conoscerlo è un errore che commettiamo tutti al giorno d'oggi. Però provateci adesso. Provate a giudicare la vita di una bambina di cinque anni, provate a giudicare il vissuto che una persona si porta sulle spalle. Per un attimo, provate a capire qualcuno che non siate voi stessi.

Come ero arrivata a questo punto? Dove erano i miei sentimenti? Quando ero diventata così fredda? Quando ero diventata così? Ma soprattutto, come ero riuscita ad arrivare viva a questo punto della mia vita?

Me lo chiedevo spesso. Mi chiedevo da dove avevo preso tutta quella forza interiore per non dire basta, mi arrendo.

Una persona coraggiosa non è chi dice basta. Ma chi continua a vivere nonostante tutto e tutti.

Io probabilmente non ero una di quelle, forse poco ma sicuro. Ma volevo davvero provarci, lo dovevo a me stessa. Era una piccola vittoriale me stessa se ci sarei riuscita.

E poi successe tutto velocemente, il buio iniziava a diventare sempre più fitto, mi mancava il respiro e quasi soffocavo.

Sapevo che non era destino il mio, ma io ci avevo provato. Ci avevo provato con tutta me stessa per potermi riscattare alla vita.. ma semplicemente, non era destino.

Insane » Dylan O'brienDove le storie prendono vita. Scoprilo ora