Capitolo 18: Non è un appuntamento

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                                                                                                Lei


      

Sono le sedici e trentacinque.

Sono in ritardo di cinque minuti, non ho potuto farne a meno.

E adesso, con il cuore pronto a zoppicare e le mani pronte a tremare , aspetto di trovare il coraggio di bussare.

Ma non ci riesco.

Oggi, dopo quella telefonata, non si è più fatto vivo per cui ho paura che si sia dimenticato del nostro appuntamento.

Mm, impegno. Non appuntamento.

Mi sento così sciocca con il mio barattolo di crema per le mani al mentolo ficcata nella borsa; guardo per l'ennesima volta il cellulare e non trovo nessun segno di vita da parte sua.

"Ha dimenticato, ne sono sicura. Basta, vado via."

La porta si apre non appena prendo la mia decisione e un ragazzo dalla carnagione scura, i capelli neri e gli occhi verdi mi si para davanti con un sorriso perplesso sul viso.

"Ma ch'è sta' fissa di guardare e non parlare?"

< Tu devi essere Mia! > sbotta con un sorriso, inaspettatamente amichevole.

Deglutisco e rispondo a fatica.

< Si. >

< Ciao, io sono Oscar! Noi ci siamo già visti, ricordi? >

Oh. Mi sento sciocca a non averci pensato prima, certo che mi ricordo! E' il ragazzo che stava insieme a Victor la sera che ci siamo incontrati fuori dal Pub, il ragazzo che ha evitato che facessi a botte con una sconosciuta che, chissà per quale assurda ragione, ha pronunciato il mio nome con fare sdegnoso.

Arrossisco al ricordo della mia sfuriata.

< Oh... certo. Piacere di conoscerti, Oscar. >

Indossa una felpa rossa e una tuta grigia a cavallo basso e, con uno strano sorriso, si sistema la sua tracolla sulla spalla.

< Entra pure, Victor ti sta aspettando. Non ha fatto altro che brontolare tutto il giorno! >

Oscar è un tipo di persona difficile da trovare. Perché ha quella rara qualità di farti sentire a tuo agio, anche se lo conosci da due minuti esatti, tant'è che riesce pure a strapparmi un sorriso.

Dietro la porta si sente un baccano improvviso e tremendo e poi Victor si presenta sulla soglia con i capelli arruffati e le sopracciglia inarcate, indossa un paio di jeans scuri a cavallo basso, con sopra una t-shirt e un grosso cardigan blu.

"E' bello da mozzare il fiato."

Non appena mi vede un sorriso timido e inaspettato si dipinge sul suo viso furbo e perfetto, < sei arrivata. > mi dice a mo' di saluto.

Oscar scuote la testa con un sorriso sbarazzino, poi si rivolge a me < piacere di averti conosciuta, Mia. Sono sicuro che ci rivedremo presto. >

Sebbene confusa dalle sue parole, lo saluto anch'io, ancora con il sorriso sulle labbra < ciao Oscar. >

< Ehi Vic? > urla dall'altro lato dalla strada < a che ora passo a prenderti stasera? >

< Ti chiamo più tardi, okay? > Victor fa il mimo di fare una telefonata e Oscar –credendo che io non me ne accorga- schiaccia l'occhiolino a Victor, facendomi arrossire in segreto.

< Entra > mi invita lui con un sorriso.

Non appena metto piede dentro lo studio non posso fare a meno di sentire una sensazione piacevole. Sensazione che non ho sentito affatto la prima volta che ho visto Victor dentro questo ufficio.

Adesso, a distanza di qualche giorno e con qualche strano evento di mezzo che mi hanno riportata qui, mi sento stranamente a mio agio.

Come se fossi al posto giusto, al momento giusto e con la persona giusta.

Mi sembra di cogliere più dettagli del solito e, in uno stato di annebbiamento mentale, inizio a sbirciare il resto della sala. L'ufficio non è bianco e anonimo come si ci può aspettare da uno studio fotografico, ma è accogliente. Tralascio le foto che ho già visto tante volte entrando qui e mi concentro sulla parete in fondo, dove fa' da padrone una grossa cornice che circonda una foto spettacolare: un tramonto con dei colori bellissimi e a cui non saprei dare un nome mi cattura lo sguardo e non posso fare a meno di immaginarmi su quella spiaggia sconosciuta, bellissima e immensa.

< Ti piace? > mi chiede Victor con un tono di voce basso e pacato, come se temesse di disturbarmi.

< Molto. Chi l'ha scattata? E' bellissima. >

< Grazie, sono contento che ti piaccia. >

< Sei stato tu? >

< Si, guarda. > Mi viene vicino e, posizionandosi dietro di me, mi indica con l'indice perfetto l'angolo sinistro della fotografia, dove in basso è inciso: Victor Davis.

Rimango ancora qualche secondo a fissare la fotografia con sguardo perso e un po' tormentato, senza riuscire a spiegarmi perché, fino a quando Victor mi invita a sedermi con un gesto della mano, ma l'unica cosa che riesco a fare è poggiare la borsa sul pavimento.

Victor scruta con lo sguardo il mondo fuori e poi abbassa le tendine, l'atmosfera è insopportabilmente intima. Tira fuori dalla tasca il suo I-phone nero e lo sbircia velocemente, poi lo rimette giù e mi rivolge un sorriso.

< Sei pronta? >

"A tutto?"

< Si. > Rispondo con vigore e rossa di vergogna.

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