Capitolo 51 (ANNA)

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Lunedì, 4 agosto 1997 (Anna, 18 anni)

Furibonda, ecco quello che sono. Da quattro giorni sono talmente arrabbiata che nemmeno i miei genitori si azzardano a dirmi niente. "Quindi ciao"? "Quindi ciao"? È davvero questo tutto quello che poteva dirmi quello stronzo? Ma se pensa che io rinuncerò così facilmente a lui si sbaglia di grosso. Ne ha approfittato del fatto che non posso muovermi dal letto per andarsene così, senza una spiegazione, ma se pensa che gliela lasci passare liscia è un povero illuso. Quando sarò sulle mie gambe andrò a prenderlo a calci in culo da qui alla luna e ritorno.

«Stai bene?»

L'infermiere che mi sa caricando in ambulanza sembra preoccupato, probabilmente ha notato la mia faccia da assassina ed è preoccupato che voglia ucciderlo. Inspiro a fondo e riesco a stiracchiare un mezzo sorriso, in fin dei conti non è colpa sua se sono furibonda con Marco.

«Sto bene, solo mi sento in imbarazzo... hai presente cosa diranno i miei vicini di casa quando mi vedranno tornare in ambulanza?»

Quando mi hanno detto che non potevo stare seduta e che quindi la mia degenza sarebbe continuata sul letto di casa e che mi avrebbero portato in ambulanza, non ci credevo. Pensavo che le ambulanze fossero solo per le emergenze, invece ho scoperto esserci quelle adibite a questo tipo di trasporti... un trasporto eccezionale, visto che non posso stare seduta sui sedili posteriori della macchina di mio padre.

L'infermiere ridacchia e scuote la testa, probabilmente lo sa anche lui come funziona nei paesini piccoli come il mio. Sono quasi certa che si siano già organizzati sulle finestre per godersi la parata come al passaggio del Giro d'Italia.

«Vuoi che tua madre salga con noi? Possiamo fare un'eccezione, se vuoi» mi sorride sincero, come se mi avesse appena proposto una soluzione a cui non posso rinunciare.

«No, ti prego!» Mi precipito a rispondere. «Questi sono gli unici momenti di libertà che ho da quando ho fatto l'incidente. Lascia che me li goda»

L'infermiere scoppia a ridere e scuote la testa divertito.

«Vuoi che facciamo un giro più ampio?» Mi prende in giro.

«Magari!» La mia è quasi una supplica.

«Hai sentito Francesco? Dobbiamo proprio prendere la strada fuori dalle montagne... lo sai, per evitare lavori in corso, buche che potrebbero farla sussultare troppo sulla barella...» mi fa l'occhiolino mentre lo dice e sento, dall'altra parte della paratia, Francesco ridacchiare.

Non ho idea se lo faranno davvero ma questo siparietto inaspettato mi permette di accantonare un po' di rabbia che avevo accumulato, mi distrae dall'ansia di dover tornare a casa dopo due settimane di ospedale, mi fa pensare a qualcosa di diverso dall'idea di dover restare ancora per mesi a letto immobile.

Il viaggio è tranquillo, chiacchieriamo del più e del meno, riesco anche a ridere diverse volte, l'infermiere è simpatico e mi concede di vagare con la mia mente lontano dai miei problemi. Quando arriviamo sotto casa, però, tutto sembra precipitarmi addosso in un momento. Vicini di casa che si precipitano ad aiutarmi e a dirmi quanto siano dispiaciuti per quello che mi è capitato, persone che mi dipingono come una santa caduta nelle mani della Bestia di Satana. Per poco non mi aspetto che, con torce e forconi, si precipitino a casa di Marco a farlo ardere tra le pene dell'Inferno.

La sensazione che mi assale è di rabbia incontrollata contro quelle persone che di Marco non sanno proprio niente. Vorrei gridare loro che non devono neanche permettersi di nominarlo Marco, che devono sciacquarsi la bocca col sapone prima di parlare di lui, che è colpa mia, non sua, se correva più del normale. Vorrei gridare loro di andare al diavolo e di farsi gli affari propri ma mi limito a fare un cenno della mano prima di essere trasportata in casa e nella mia camera.

«Ci sono diverse persone che vorrebbero salutarti e farti gli auguri» sussurra mia mamma un po' titubante, forse vede dalla mia faccia che non sono esattamente dell'umore giusto per intrattenere ospiti.

«In questo momento l'unica persona che voglio vedere è Elisa» suono come una bambina capricciosa ma non ho sinceramente voglia di fare sorrisi di circostanza e annuire ogni volta che dicono qualcosa di cattivo su Marco.

«Ok, ma prima o poi dovrai incontrarli»

Sospiro e annuisco, non posso sottrarmi a lungo alla politica di buon vicinato di mia mamma e, tutto sommato, sono ben consapevole che quelle persone sono genuinamente preoccupate per la mia salute. Mi hanno vista crescere da quando ero in fasce, è un po' come se fossi anche figlia loro e capisco che vogliano esprimermi la loro preoccupazione e il loro affetto.

«Sì, lo so... solo che sono appena arrivata a casa, sono frastornata da tutte le novità e vorrei solo respirare un po' prima di vederli. Non voglio risultare scortese e scontrosa con loro perché sono stanca. Non se lo meritano»

Il sorriso che compare sulla faccia di mia mamma mi fa capire che ha inteso perfettamente la situazione e, quando vedo che si allontana dalla mia stanza, spero solo che esaudisca il mio desiderio di vedere Elisa.

*

«Inferma! Come stai?» La voce squillante di Elisa riempie la stanza e mi fa sorridere come una cretina.

«Come se mi avessero appena portata a casa dall'ospedale»

Elisa alza gli occhi al cielo e si siede sulla sedia accanto al mio letto.

«Mettendo da parte le tue lamentele, passiamo agli affari. Perché volevi vedermi con tutta questa urgenza? Ci siamo viste ieri pomeriggio»

Adoro quando mi capisce al volo.

«Hai carta e penna dentro a quella borsa?» Le domando indicando la tracolla che porta sempre con sé.

«Ti pare che possa non averle?» Alza un sopracciglio come se le avessi fatto una domanda idiota.

Effettivamente le ho fatto una domanda idiota, lei non si separa mai dalla sua penna e dal suo blocco per gli appunti.

«Allora tirali fuori e inizia a scrivere: "brutto stronzo, stanotte lascio la finestra della mia camera aperta, se non vieni qui a parlarmi, quando mi rimetto in piedi ti prendo a calci in culo finché non ti sformo quelle chiappe perfette. Ci siamo intesi?"»

Elisa scoppia a ridere di gusto.

«Finché non ti sformo quelle chiappe perfette?»

«Scrivi esattamente così, finché non ti sformo quelle chiappe perfette» ribadisco il concetto.

«Ok... finché... non... ti... sformo... quelle... chiappe... mi piace scrivere chiappe, dovrei farlo più spesso»

Scoppio a ridere e lei mi segue a ruota.

«Dopo passo a darglielo» mi rassicura con un occhiolino. «Ma tu come stai? Adesso che non ci sono i tuoi ad alitarmi sul collo voglio sapere tutto»

Faccio un bel respiro profondo e comincio a snocciolare tutta la storia dal giorno del risultato degli esami in poi, godendomi gli squittii entusiasti di Elisa quando le racconto le parti più succulente della storia. Mentre dico ad alta voce queste cose mi rendo conto di quanto sia davvero innamorata di Marco e di quanto mi manchi da quando è stato dimesso... e prego con tutto il cuore che questa notte si affacci da quella maledettissima finestra.

[COMPLETA]Come in quella vecchia PolaroidDove le storie prendono vita. Scoprilo ora