VIII. IL GIORNO SETTE DI OGNI MESE

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Dunque le acque si erano mosse. C'era qualcosa di nuovo da studiare a fondo
nei minimi particolari.
Il nome della scuola restringeva il campo di ricerca, ma restava sempre un
problema: erano almeno una dozzina gli istituti che portavano quel nome negli Stati
Uniti, ma c'era anche la possibilità che fosse stata al di fuori dei confini americani.
La ricerca si sarebbe protratta per mesi.
Non era un lavoro facile controllare comportamenti e vita di migliaia di studenti.
-Ma c'è ancora qualcosa che possiamo fare per bruciare le tappe.-
Bisognava attendere ancora, oppure, come suggerito dal professor Shiver,
sottoporsi ad una seduta di ipnosi che avrebbe ripercorso l'andamento del sogno
nei minimi particolari.
Ma Arthur aveva dei timori.
-Non sono convinto che sia una cosa buona da farsi.-
Aveva letto da qualche parte che, delle persone particolarmente sensibili, dopo
l'ipnosi, non si erano più riprese dallo shock e qualcuno aveva riportato lesioni
muscolari o danni caratteriali permanenti durante la trance.
Così pur essendo d'accordo sul da farsi, posticipò la seduta con il professore
alla fine del sogno successivo.
-Accidenti, oggi ho di nuovo quella sensazione di nausea.-
Dunque una mattina, dopo una notte tormentata, chiamò Shiver.
C'erano novità, ma non erano sufficienti per identificare l'autore delle visioni.
Arthur aveva notato nell'ultimo sogno della serie, che il bambino, che si
accasciava a terra colto da profondo dolore allo stomaco, indossava una maglietta
di una squadra di football della città di New York: i Giants.
-Bizzarro!-, disse il professore, non pensava che fosse uno spirito di una zona
vicina, lo aveva giudicato europeo dal comportamento.
Arthur si sentiva molto vicino alla soluzione, così vinse la sua paura dell'ipnosi
e accelerò i tempi. Infatti aveva calcolato che ci sarebbero voluti almeno una mezza
dozzina di mesi per studiare le esistenze di centinaia di studenti, nell'arco di una
decina d'anni, delle due scuole newyorkesi che avevano il nome giusto.
-Al diavolo! Facciamo questa seduta e liberiamoci del rompiscatole.-
Aveva molta fiducia nel professore, si era documentato ed aveva scoperto che
era unico nel suo campo e che, una volta identificato lo spirito, avrebbe
sicuramente saputo debellarlo definitivamente.
Shiver giunse la sera, aveva avuto degli impegni universitari e non era potuto
venire prima. Georgeanne era andata via da poco.
La seduta ebbe inizio.
-Sdraiati e rilassati. Ascolta la mia voce e non pensare ad altro.-
Il giorno dopo Arthur si svegliò confuso, ricordava solo le parole del
professore -Art concentrati. Guarda la luce di questa candela. Seguila ovunque ti
porterà, senza aver paura.-
Era impaziente di conoscere nuovi dettagli, se mai ce ne fossero stati. Così si
precipitò al telefono ma il numero dell'università era occupato.
Solo allora si accorse di alcuni particolari che stonavano col suo risveglio: le
persiane erano già aperte, gli appunti sul tavolo erano stati mischiati e l'armadio era
aperto e dentro era tutto sottosopra.
Pensò a dei ladri e, quando sentì dei rumori in cucina si preparò a sorprenderli.
Ma mentre attraversava il corridoio gli passò per la mente l'idea che potesse
trattarsi dello spirito, così si preoccupò di non fare il minimo suono.
Lentamente si diresse in sala.
La figura estranea passò davanti ad uno specchio, ma fu troppo veloce per
capire chi o che cosa fosse.
Arthur la seguì in cucina.
Pensò che si era messa in trappola, per sfuggirgli avrebbe dovuto soltanto
saltare giù dalla finestra, ed era un'altezza non indifferente.
Ma se fosse stata "La Presenza" nulla le avrebbe impedito di andarsene.
Arthur sfilò una lama ben affilata dalla coltelliera e silenziosamente si avvicinò
alle spalle dell'intruso.
La stanza era invasa dalla luce del mattino ed Arthur era quasi accecato dai
riflessi.
Lo osservò attentamente: non era il professore, non era nessuno che
conoscesse.
Era più basso di lui, con una testa grossa e deforme, le membra cadenti su di un
corpo esile e storto.
Un ombra orrenda che non poteva appartenere ad altri che allo spirito.
A quel punto non serviva più la lama, Arthur si accostò e provò a toccarlo. Gli
appoggiò una mano su quella che pensò essere la spalla.
Strinse le dita della mano e sentì che era fatto di carne, strinse l'altra mano e si
preparò a colpire a morte.
La figura nell'ombra fece un salto e si voltò di scatto, con atteggiamento
minaccioso. Si fece avanti ed il suo viso si illuminò a giorno.
Lo guardò e gli sorrise.
Era Georgeanne con i capelli raccolti ed indossava uno dei pigiami di Arthur.
La ragazza non si accorse assolutamente di nulla. Era troppa la felicità di
vederlo, ma era stato abile anche Arthur a nascondere la lama.
Forse, se l'avesse vista, avrebbe pensato che era vicino alla follia.
Georgeanne gli si gettò con le braccia al collo e lo abbracciò come se lo avesse
rincontrato solo allora dopo tanto tempo.
Lei, contenta più che mai, gli spiegò che il professore le aveva telefonato a tarda
sera per farla andare lì quella notte.
L'ipnosi era stata profonda e per eliminare i resti dei possibili agganci con i
sogni, c'era assoluto bisogno di un punto fermo nella realtà, cioè quello che era
Georgeanne per la vita di Arthur.
E proprio in quel momento suonarono alla porta -Buongiorno professore... Ci
sono altre novità?-
-Buongiorno a te cara e buongiorno al nostro "paziente" paziente. Mettiti
comodo Arthur, abbiamo fatto grandi passi avanti.-
Shiver cominciò a raccontare la seduta, ma i particolari imp ortanti li riservò tutti
all'ultimo.
-"La Presenza" ha un nome che a mio parere sembra più che comune: Paul.
Prevedendo le vostre domande vi dico che era l'unico nome scritto sulla cartella
del bambino, e, ormai avendo inquadrato la psicologia dello spirito, vi posso
assicurare al novanta per cento che si tratta del suo nome.-
-Non conosco nessuno che abbia quel nome...-
-Inoltre attraverso il numero civico, cioè il 777, ho scoperto che la scuola dove
ha luogo il sogno è esattamente quella di Brooklyn.
Per quanto riguarda l'anno in cui si svolge la vicenda, non avendo altre
informazioni, posso solo dedurlo: suppongo il 1967.
Ma non finisce qua. Mentre eri in stato di trance, ti ho fatto domande anche
sugli altri sogni e sono venute fuori altre cose strane.
Secondo calendari, giornali, diari e quaderni scolastici, tutti i sogni si svolgono
il giorno sette di ogni mese.
Le ipotesi sono due.
Primo, potrebbe semplicemente essere una coincidenza senza alcun significato
preciso.
Secondo, quel numero ha un suo significato particolare, cioè potrebbe indicare
qualcosa che "La Presenza" sta tentando di farci capire involontariamente.
E qui entra in gioco l'esperienza del sottoscritto.
Dopo essermi scervellato, mi è venuto in mente un precedente: il caso di
"Biancaneve e i sette nani", meglio conosciuto come "Annabelle and the seven
dwarfs", Annapolis nel Maryland, anno 1949, se non sbaglio, ed è stato
documentato dal dottor Evil King Live, un'autorità indiscutibile.
E daltronde è il fenomeno che più si accosta al nostro.
Accadde ad una bambina che faceva dei sogni premonitori, alcuni di essi
raccapriccianti, violenti e con spargimento di sangue "nero". Naturalmente erano
delle visioni metaforiche della realtà che la circondava e nulla di fenomenale.
Ma ciò nonostante tutte cose impossibili da inventarsi a quell'età, dunque
sicuramente sviluppate e favorite dal contesto storico: appena finita la guerra la
propaganda giornalistica e radiotelevisiva metteva troppo in guardia la popolazione
sulle possibili infiltrazioni del nemico nella vita quotidiana, generando così nelle
persone più deboli dei disturbi innocui ma influenti a livello inconscio.
E nelle visioni della bambina c'erano proprio dei nomi e dei numeri ricorrenti, e
uno tra questi era proprio il numero di sogni che avrebbe composto l'intera vicenda
immaginata: ed erano proprio sette.-
Arthur ascoltava attentamente, senza perdere nessuna cadenza, nessun cenno
espressivo, era sconcertato ma nello stesso tempo concentrato al massimo.
-Allora mancherebbe un ultimo sogno... dopodiché qualsiasi cosa sia quella
cosa andrebbe via così, come è venuta... Giusto?-, disse Georgeanne,
accompagnando la domanda con un sorriso innocente.
-Teoricamente sembra che la cosa stia così, ma in questi casi non si può mai dire
niente con certezza finché non si è veramente alla fine.
Ma lasciamo perdere le ipotesi e parliamo di quel che è certo... Miss Paulette a
lei la parola.-
La ragazza in un primo momento fu presa di sorpresa ma poi ricordando
cominciò a raccontare -Con molta probabilità la bambina che vedi nell'ultimo sogno,
quella che appare nel corridoio della scuola e che ti sembra irraggiungibile, sono
proprio io da piccola.
Non so se sia una cosa possibile, ma mi sembra di ricordare un'esperienza
simile, anche se non ne sono completamente certa. Certo è che un anno alla
Leonard Techschool l'ho fatto e la cosa può essere possibile quanto assurda.-
Una girandola di sguardi ammutolì i presenti.
Georgeanne pensava ad Arthur, al fatto che "La Presenza" avesse scelto lui
proprio a causa di quell'incontro mai avvenuto completamente. Si sentiva colpevole
e sperava che dopo gli ultimi sviluppi si fosse vicini alla soluzione.
Arthur pensava a Georgeanne, era contento che la sua affermazione -Sono
vecchi ricordi di un passato indesiderato- fosse sbagliata, perché lui teneva molto
ai suoi pochi ricordi d'infanzia. Ma nello stesso tempo era contento dell'aiuto
morale e non solo che gli aveva dato la ragazza e sentiva di volerle più bene di
prima.
Il professore invece pensava per conto proprio, e non si può mai sapere cosa
passa per i viali del cervello di un uomo simile.
-Un consiglio: se ti fosse possibile risognare l'ultimo contatto con "La
Presenza" fai un tentativo di prendere possesso della visione.
Cioè distorci la storia quanto più possibile, se senti di poterlo fare, allora tenta
di seguire la bambina ovunque vada.
E non aver paura delle conseguenze, al massimo non te lo permetterà, ma
potrebbe anche essere la via d'uscita.
A presto Art.-
-Nulla di più semplice!-, pensò tra sé e sé Arthur, che ormai riteneva di poter
esercitare una certa autonomia all'interno dei suoi sogni.
Ma dopo quella seduta di ipnosi sembrò finire tutto, almeno per quanto
riguardava le visioni nei sogni.
E mentre il professore dall'università non dava altre notizie, qualcosa ben più
grave affiorava lentamente nella vita, già abbastanza tormentata, di Arthur.
-Assurdo!-, pensò prendendo in mano la cornetta del telefono.
La osservò attentamente, non ne aveva mai viste da vicino, erano cose che
c'erano solo nei vecchi film in bianco e nero, anzi non pensava neppure che se ne
producessero ancora.
Sicuramente doveva essere una sorpresa di Georgeanne, qualcosa trovato da
un antiquario.
A giudicare dai graffi che vi erano sopra, era un cimelio certamente raro, doveva
avere più di mezzo secolo.
Funzionava!
-Georgeanne quando lo hai preso questo?-
Ma la ragazza non sentiva altro che lo scroscio dell'acqua della doccia, mentre i
suoi pensieri erano altrove.
Arthur era steso sul letto della camera, non sapeva neppure come ci fosse
finito, ma sentiva le membra stanche e quella era la posizione migliore per riposare.
Georgeanne gridò qualcosa dal bagno -Arthur, saresti così gentile da venirmi ad
asciugare la schiena. Per favore.-, ma il rumore dell'acqua ancora aperta coprì le
parole della ragazza.
Arthur sentì che c'era qualcosa.
Qualcosa di strano stava accadendo proprio sotto i suoi occhi senza che lui
riuscisse a capire, senza avere il tempo di realizzare, rapida e veloce come la zampata
di un felino.
Il letto su cui poggiava era cambiato, il mobile era cambiato, le sedie erano
diverse, i quadri erano diversi, il lampadario non era più lo stesso, i vestiti non
erano più gli stessi, Arthur non si sentiva più se stesso.
Tutto aveva assunto un aspetto antico almeno di mezzo secolo, ma sembrava
tutto così normale e monotono che non disturbava affatto.
Arthur si sentì tornare le forze, e si alzò dal letto, diretto in bagno da
Georgeanne, ma in quegli istanti fuori dal suo tempo aveva dimenticato quelle che
erano le sue intenzioni.
Si sentiva la mente ovattata, i suoni gli giungevano in ritardo, un fumo leggero,
quasi impercettibile, invadeva la stanza.
Non sapeva cosa pensare, reagì d'istinto.
Il primo pensiero fu che non fosse più a casa sua, ma che si fosse risvegliato
chissà dove.
Non era importante dove, o non gli importava, comunque lo avrebbe scoperto
tra breve.
Allora si accorse di essere nudo.
Prima di uscire dalla stanza si avvolse un lenzuolo intorno, coprendosi il più
possibile.
Più passi faceva e più era convinto di non essere a casa sua, eppure non
ricordava affatto come era giunto in quella vecchia casa. Se fosse stata una casa,
perché sembrava molto più una camera d'albergo.
Da una finestra si intravedeva il ponte di Brooklyn ed era sicuro che non ci
fosse mai stato prima.
L'arredamento era povero ma ben organizzato.
Si affacciò nel bagno, sicuro di avere le risposte che cercava da Georgeanne, ma
non ebbe questa soddisfazione.
Non era Georgeanne la ragazza appena uscita dalla doccia e non somigliava a
nessuno di sua conoscenza.
-Non m'importa come decidi di chiamarmi.-
La donna prese la borsetta rossa di pelle finta.
-Rispondo a qualsiasi nome desideri.-
Tirò fuori da un astuccio gli strumenti per il trucco.
-La cosa importante è un'altra e si trova nelle tasche dei tuoi pantaloni. E'
semplice, è quella cosa che fa girare il mondo.-
Per ultimo si passò sulle labbra il rossetto, facendosi un cerchio sul viso del
diametro di un dollaro d'argento.
-E l'accetto solo in contanti.-
Arthur non fu in grado di spiegarsi neanche con la più assurda delle fantasie in
cosa si era intromesso.
-Sbrigati!-
La donna si lasciò scivolare le calze leggermente fuori misura su per le gambe
magre ed affusolate.
-Ho da fare.-
Come una tendina di lino, indossò, con un semplice gesto, il vestitino
ampiamente scollato su di un corpo a grandi curve.
-Non ho tempo da perdere.-
Le scarpe, fatte di pochi ed essenziali strisce di pelle, si cinsero intorno ai piedi,
come le radici di un albero alla terra.
-Non mi posso permettere di fare come te.-
Allora Arthur ebbe un sussulto, che fu come scontrarsi con un tir in piena
velocità.
Qualcun altro era nella stanza con lui, e lui effettivamente non c'era, anche se
non poteva negare di essere lì.
Un uomo uscì dal suo stesso punto di vista per andare verso la donna.
Non si voltò mai, mostrò sempre la schiena e, sulla pelle, degli inconfondibili
graffi rossi, messi li apposta con un significato ben preciso.
Abbracciò la donna da dietro e le lasciò scivolare del denaro nella scollatura.
-Accetta questo mio regalo... Piccola Georgeanne.-
Arthur avrebbe voluto muoversi, ma era come inchiodato in quella posizione ed
anche il suo sguardo era immobile come quello di una statua di marmo.
Nello specchio non vide altro che il riflesso del volto sorridente della donna che
si finiva di truccare e le braccia sgraziate ma forti dello sconosciuto.
Poi il telefono squillò con quel suono antico.
-Rispondi!-, disse la donna infilandosi gli orecchini nei lobi.
-Vuoi rispondere?-, ripeté quasi scocciata uscendo di corsa dal bagno.
-Cosa ti è preso?-
Si irrigidì davanti ad Arthur, osservatore estraneo calato improvvisamente nel
mezzo della sua osservazione.
-Sei diventato improvvisamente sordo?-
La donna si voltò accompagnandosi con le mani la collana sulle spalle, mentre i
capelli erano raccolti da un fermaglio.
-Ho capito! Devo farlo io.-
Arthur non si mosse, ma qualcun altro, come se fosse stato al suo stesso posto,
allacciò la collana alla donna.
Lui non vide altro che le braccia e le mani che si muovevano sotto il controllo
dei suoi occhi, e restò immobile a fissarle, muovendole come se fossero state le sue.
-Pronto... Chi parla?-
Arthur riconobbe la voce e distolse lo sguardo.
-Buongiorno professore.-
-Georgeanne!?-, bisbigliò il ragazzo.
Era proprio lei che stava rispondendo al telefono e l'apparecchio era quello della
sua stanza. Tutto era tornato come prima.
-Non si preoccupi, riferirò.-
La ragazza si gettò sul letto, seminuda si avvolse tra le lenzuola e abbracciò
Arthur.
-Buongiorno amore. Dormito bene?-
-Forse... Ho dormito.-
Il ragazzo era confuso, guardava il soffitto bianco e rifletteva su quello che gli
era appena accaduto.
Non credeva di aver sognato, anzi era sicuro di essere stato sveglio. Questa
volta aveva avuto un contatto rilevante con "La Presenza".
-Un'allucinazione!-
La ragazza non afferrò subito di cosa stesse parlando Arthur.
-Credo di aver avuto un'allucinazione.-
Georgeanne ebbe un mutamento d'umore improvviso, si strinse il labbro
inferiore tra i denti e attese il resto del racconto.
-Telefono subito al professore. Prima che lasci la città.-
-No! Non ce n'è bisogno.-
Ma la ragazza aveva già composto il numero del Di.P.S.I.A. e chiesto con
urgenza del professore.
-Mi dis piace ma non è più in sede... Se desidera lasciare un messaggio farò in
modo che lo riceva al più presto.-
-Non fa niente. Grazie.-
Il professore era già partito per raggiungere la cittadina di Nexo nello stato del
New Jersey.
-Cosa è andato a fare a Nexo?-
Le ricerche fatte su di un ragazzino le cui vicende quotidiane sembravano
combaciare con quelle di Paul, "La Presenza", portavano in quel paesino di
periferia. Così non c'era modo di contattare il professore ma bisognava attendere
che lo facesse lui.
Nel frattempo Arthur non avrebbe aspettato un nuovo incontro con le fantasie
di Paul, ma gli avrebbe facilitato il compito andando a cercare i suoi ricordi.
-Brooklyn! Devo andare a dare un'occhiata ai dintorni del ponte.-
Furono inutili le parole di Georgeanne che voleva dissuaderlo dall'andare,
niente lo avrebbe trattenuto, perché sentiva dentro di se che "La Presenza" lo stava
indirizzando sulla strada giusta per raggiungerlo.
Ma Georgeanne non gli permise di andare solo, non lo avrebbe perso di vista
per un solo secondo. Così anticipandolo si sedette al posto di guida pronto alla
partenza.
Le strade ben presto si fecero famigliari.

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