Partirò | CAPITOLO 1 |

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Quando la sveglia iniziò a cantare, Nathan aveva già gli occhi aperti, e la mano pronta a spegnerla. Quell'orario era un punto fisso della sua routine, al quale si abituò negli anni della sua triste adolescenza.

Si alzò, e si fermo per qualche secondo a riflettere, rimanendo accanto al letto. Quella mattina, si chiese come potesse continuare a vivere in quel modo, come potesse vivere una vita non realmente sua, fatta di imposizioni di una famiglia opprimente.

Tentò di bloccare il suo cervello, e di tornare alla sua realtà. "Inutile pensare, quando non posso fare nulla per cambiare" pensò.

Nathan prese una t-shirt e un paio di jeans dal mucchio di vestiti accatastati sulla sedia, li indossò e si recò al piano terra, dove trovò sua madre già pronta per recarsi al lavoro, impeccabile come sempre.

"Tesoro la colazione è pronta! Fai in fretta, non ti azzardare ad arrivare in ritardo a lezione." Gli disse, dandogli un bacio sulla fronte, facendo uscire un grosso sospiro dalla bocca del ragazzo.

Nathan mangiò i suoi soliti pancake, con un po' di amarezza, e dopo la colazione prese il suo zaino ed uscii di casa. Camminava lungo una strada nel cuore di Manhattan sentendosi fuori luogo. Non amava la confusione, i luoghi affollati e il rumore di migliaia di voci.

Quando giunse all'università, entrò a testa bassa, senza guardare nessuno.

"Absent" sentii chiamare. Era un suo compagno, uno dei tanti a chiamarlo con quel nomignolo. Strinse i pugni, per contenere la rabbia, e si girò verso di lui. Non fece altro che fargli un cenno col capo in segno di saluto e proseguire per la sua strada.

Molti all'università lo chiamavano in quel modo, ritenendolo un soprannome simpatico, per nulla offensivo. Lo chiamavano così in quanto spesso rimaneva in silenzio, e parlava solo quando interpellato. Tutti pensavano che non avesse nulla da dire, ma ciò era davvero lontano dalla verità. Semplicemente, Nathan non sentiva la necessità di parlare di cose futili con persone che non reputava importanti, con le quali non condivideva nulla, se non il posto nella grande aula in cui si stava recando.

Quel giorno entrò meno volentieri del solito, prese posto in ultima fila, lontano da occhi indiscreti. Mise le cuffie alle orecchie e iniziò ad ascoltare la traccia che aveva finito di comporre la sera prima.

L'ascoltò, e la riascoltò, innumerevoli volte, per trovare eventuali difetti, e capire come strutturare il testo che di lì a poco avrebbe iniziato a scrivere.

Chiuse gli occhi, per concentrarsi, e li riaprì poco dopo sentendosi osservato. Il ragazzo accanto a lui lo guardava male, con un sopracciglio alzato in segno di superiorità. "Non prendi appunti? L'esame è vicino, e facendo così non lo passerai".

"Fatti i cazzi tuoi" gli rispose semplicemente, Nathan.

Iniziò ad elaborare le parole del ragazzo nella sua testa. "Cosa sto facendo? Perché sto sprecando il mio tempo?". Il tempo se ne sarebbe andato, e Nathan non l'avrebbe più avuto indietro. Con un gesto istintivo, comandato da un qualcosa di irrazionale che scattò dentro di lui, chiuse il libro che aveva davanti, raccolse le sue cose e iniziò a correre verso la porta dell'aula.

Tornò a casa molto velocemente, correndo. Non appena varcò la porta di casa, aumentò ulteriormente il passo per arrivare alla sua stanza. Prese il vecchio borsone che utilizzava quando giocava a football e vi ripose dentro qualche maglietta, un paio di felpe e qualche paia di pantaloni. Il minimo indispensabile per sopravvivere a qualsiasi agente atmosferico.

Prese dalla mensola sopra il suo letto una scatolina nella quale aveva nascosto qualche risparmio. "trecentoquarantanove dollari, fantastico, non arriverò a domani" pensò.

Si sedette nel letto qualche istante per capire come rendere questa pazzia più fattibile. "I risparmi dell'università" disse ad alta voce in un momento di illuminazione.

I suoi genitori avevano messo da parte quei soldi per permettergli di laurearsi e avere così una vita felice; quindi, prendere quei soldi per andare a cercare la propria felicità non gli sembrò così tanto sbagliato.

Dopo aver trovato il numero del conto corrente in mezzo alle scartoffie della madre, decise di lasciar un biglietto ai genitori.

"Mamma, Papà, parto.

So che partendo vi deluderò, ma so anche se restassi finirei per pentirmene per il resto della mia vita.

Penso siate consapevoli di aver scelto ogni cosa per me, senza mai fermarvi a chiedere se i vostri desideri andassero d'accordo con i miei. E ora posso dirlo: ciò che volete voi, non è ciò che voglio io.

Mi allontanerò per un po', starò bene. Avrò il telefono, e se mi chiamerete, risponderò, pur sapendo che sarete davvero arrabbiati per la mia scelta.

Mi dispiace, ma ho diciannove anni, sto crescendo e voglio solamente trovare la mia strada.

Vi voglio bene.

Nathan."

Presi il mio borsone e mi recai con calma alla fermata dell'autobus. Salì sul primo che passò, diretto a "Westfield". Non sapeva nemmeno dove si trovasse quella cittadina, ma sapeva che probabilmente, in quel posto, sarebbe stato meglio.

Spazio autrice:
Questa è la prima storia che pubblico ed essendo per larga parte autobiografica ci tengo molto. Spero di ricevere qualche commento per capire se continuare o meno a postarla, quindi fatemi sapere se vi piace, o anche se vi fa schifo haha.
Ovviamente essendo solo il primo capitolo non avete la possibilità di dare grandi giudizi, ma mi piacerebbe sapere se come inizio vi piace o meno.
Vi auguro una buonissima giornata.
Strah_

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 25, 2023 ⏰

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