Io, verme che sono diventato

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Mi ricordo: sono diventato così per vari motivi, ma te li spiegherò dopo, con più calma. La mia apatia e la mia chiusura sono solo effetti di una lunga esperienza passata a vivere una vita che non mi piaceva e di cui avevo paura, così tanta paura da non parlare per paura che sbagliassi le parole.

Scusa, non mi sono presentato, il mio nome è Virgil e ho ventiquattro anni compiuti ad Aprile. Ho deciso di scrivere questo libro per farti capire come mi sono sentito in alcune situazioni precise della mia vita, situazioni che mi hanno un po' stravolto. Non mi interessa se leggerai mai questo libro, o se lo comincerai e non lo finirai, oppure se leggerai solo alcuni capitoli staccati tra loro, è solo un mio modo di sfogarmi, tu non centri nulla, e i tuoi commenti non mi cambieranno.

Detto ciò, posso andare avanti.

Diciamo che sono sempre andato molto daccordo con tutti – soprattutto al liceo, quando avevo 17-18 anni -, molti amici, ragazze che mi giravano intorno; le donne mi ronzavano vicine attirate dal mio polline, o meglio, attirate dei miei soldi e dal mio aspetto, e i ragazzi per sembrare popolari cercavano di farsi ingraziare per salire di un gradino nella piramide scolastica. Ecco, non mi sono mai lamentato di questa situazione, fino a quel momento, ovvio.

Essendo sempre circondato da molte ragazze interessate a me, ho cominciato ad avere un comportamento sbagliato e scorretto – lurido, più precisamente. Un giorno uscivo con una, laltro con unaltra e così via, ci divertivamo, io mi divertivo, finché non conobbi Greta: timida, presa di mira da tutti e da tutte, la vittima perfetta. Il suo banco era sporco di scritte maligne, e lei era sempre sola, ed io ne ero cosciente. Un giorno venne da me mentre cera la ricreazione: mi chiese se una volta avessi voluto uscire con lei. Io, abituato a ragazze che se la godevano e che non se la prendevano per queste cose le dissi di sì, e che anche il giorno stesso saremmo potuti uscire insieme, pensando che uno, o due giorni dopo lavrei potuta scaricare, come facevo con le altre. Ma dovevo aprire gli occhi, non poteva andare bene così e io lo sapevo già.

Quel pomeriggio uscimmo per prendere un gelato e la sera la portai a casa mia. Lascio immaginare a te cosa facemmo quella sera. La mattina seguente lei venne da me sorridendo, con i suoi occhi chiari e lucidi, chiedendomi se quel pomeriggio saremmo potuti andare insieme al cinema. "No. Non mi servi più, vattene." Risposi ridacchiando e facendole cenno con la mano di andarsene. Vidi che abbassò il capo, sorrise tremando, e le vidi scendere due lacrime dagli occhi. Poi disse "Va bene" e se ne andò coprendo la propria espressione con i capelli corvini che le incorniciavano il viso. La vidi andarsene, allontanarsi lentamente, mentre dentro di me sentivo solo un senso di libertà e tranquillità incondizionate. Ma la mia mente, sotto sotto, capiva, comprendeva che non sarebbe andata bene quella volta: nessuna ragazza, a quelle mie parole, si era mai messa a piangere, nessuna aveva mai smesso di guardarmi negli occhi e di sorridere. In effetti quelle che facevano così erano solo interessate alla mia parte fisica ed economica, lei voleva di più, voleva del sentimento.

A casa, dopo la scuola, mi sdraiai sul letto e pensai a cosa dissi a Greta. "Non mi servi più." Quale verme insensibile avrebbe mai detto certe parole ad una ragazza in quelle condizioni? Ma io lavevo fatto: avevo rovinato la vita di quella ragazza, avevo posto fine alla vita di quella ragazza. Ero io il verme. Mi girai sul fianco, cercando di convincermi che sarebbe andato tutto bene e che le sarebbe passato in fretta, come succedeva alle altre. Stranamente in seguito mi venne un brivido improvviso, decisi quindi di andare in bagno a sciacquarmi la faccia. Aprii lacqua fredda, misi le mani a mo di ciotola e ci feci scendere la corrente gelida. Poi le alzai e mi portai il liquido alla faccia. Mi guardai allo specchio e mi sentii uno schifo.

A scuola, il giorno successivo, lei non venne, ma arrivò la comunicazione che non sarebbe più tornata, si era suicidata tagliandosi le vene allinterno della vasca da bagno. Allistante capii che ero stato io, o che il mio era stato il colpo di grazia. Ero stato un vero bastardo e ancora adesso me ne do la colpa. Anche i miei amici pensarono subito a me, e di conseguenza cominciarono a parlare male di me, anche se la colpa non era del tutto mia, perché ero lunico che non la istigava al suicidio tutti i giorni scrivendole scritte terribili sul banco rovinandole la vita. Quindi smisi di uscire, di vedermi con le persone con cui mi sentivo prima, smisi di parlare, per paura di sbagliare le parole.

Lei che sembrava meno distanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora