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Mi ritrovo ancora lì, sdraiata per terra, come se per tutto il corso dei miei ricordi fossi stata in uno strano stato di ipnosi. Sono piena di energia dato che ho dormito per tutto il pomeriggio, ma è notte e non so dove potrei andare. Non ero mai stata in un bosco di notte, è abbastanza inquietante ed emozionante allo stesso tempo; le creature che lo abitano si sono abituate a me come i pesci si abituano ad un relitto depositato lì da cent'anni, nonostante io sia stata solo un pomeriggio. Non so perché ma mi sento al sicuro qua, come se fossi in una fortezza inespugnabile; purtroppo però le provviste scarseggiano, anzi, non ci sono proprio. A malincuore, ma per necessità, mi obbligo ad alzarmi e a pensare a qualcosa per uscire da questa situazione allucinante.
Ho bisogno di cibo, acqua e vestiti nuovi, ma non posso fare l'elemosina per ricevere soldi, se arrivasse la polizia mi porterebbero in centrale e farebbero domande scomode. All'inizio mi passa per la testa l'idea del furto ma l'accantono subito, non sono quel genere di persona, neanche quando sono in difficoltà; quindi decido di tornare a casa. Non so quanto tempo mi ci vorrà e non so nemmeno se riuscirò a trovare la strada per tornare indietro, so solo che devo tornare di notte, per non dare nell'occhio e per non essere presa per pazza per come sono conciata.
Sicuramente tutta questa storia non è stato altro che un malinteso, ora tornerò a casa tranquilla e riprenderò ad andare a scuola, ricomincerò la mia noiosa e monotona vita e ricomincerò ad andare al cimitero a parlare con le lapidi di chi tanto non può più rispondermi.
Con questi pensieri per la testa cerco di fare la strada da cui sono arrivata a ritroso, e con un po' di fortuna riesco ad uscire dal bosco.
Torno subito sulla strada principale che fiancheggia la casa di Lydia e Shon e comincio a tornare indietro. La strada è lunga e dopo un po' inizio a sentire la fatica e i muscoli indolenziti dalla corsa dell'altra notte.
Cerco di distrarmi pensando alla strada che devo fare per non perdermi e guardandomi in torno, ma è un passatempo che dura ben poco dato che sono quasi in mezzo al nulla.
Continuo ad andare dritta sulla strada principale escludendo tutte le vie laterali: la scorsa notte ero troppo stanca per pensare di prendere altre vie.
Dopo circa un'ora mi sono avvicinata alla citta, ora vedo le luci dei palazzi in lontananza e dei lampioni; devo ammettere che mi mancavano tutte queste luci, in periferia le strade sono tutte buie o poco illuminate. Procedo lentamente ma determinata, cercando di non dare nell'occhio, e circa un quarto d'ora dopo sono in città. Di solito le vie della città rimangono animate anche fino a mezzanotte, ma ormai dev'essere passata da un pezzo, perché non c'è nessuno in giro, solo qualche macchina che passa ogni tanto. Percorro quelle vie così familiari, ma che di notte assumono un'aria completamente diversa, quasi come se fossi in un'altra città. Dopo aver girato un po', disorientata dalla prospettiva diversa delle vie, arrivo davanti ad un condominio, entro e salgo in ascensore.
Con il silenzio della notte, ogni scricchiolio e cigolio dell'ascensore si sente amplificato di dieci volte, così come la campanella che avvisa di essere arrivati a destinazione.
Fa quasi venir voglia di dirle di fare silenzio.
Arrivata sul mio pianerottolo noto subito che la porta è stata forzata, prendo la chiave di scorta da sotto lo zerbino e non posso fare a meno di pensare che, se ad aver forzato la porta sono stato i miei inseguitori, non devono essere molto furbi, dato che non esiste posto più ovvio per nascondere una chiave che sotto lo zerbino.
Inserisco la chiave nella toppa, giro la chiave a fatica per la serratura tutta rovinata ed infine entro.
Dentro, come immaginavo, è tutto a soqquadro, ho sperato fino all'ultimo che si trattasse di un malinteso, ma a questo punto è quasi impossibile negare il contrario.
Nell'ingresso ci sono tutti i cassetti del mobile aperto e le foto che erano sopra esso sono a terra frantumate. Mi avvicino facendo attenzione a non tagliarmi con i vetri delle cornici e prendo una fotografia dal mucchio di schegge per terra.
La foto ritrae me e i miei genitori in un prato, io sono appoggiata alle gambe di mia mamma mentre lei mi intreccia i capelli con il viso sorridente e mentre mio papà la ritrae in tutta la sua bellezza.
Mia mamma aveva i capelli rossi, che ho ereditato, e dei bellissimi occhi nocciola, il viso e il corpo longilineo cosparsi di lentiggini a coprire una pelle chiarissima. Mio papà invece aveva i capelli ricci e biondi, gli occhi verdi e le guance sempre rosse coperte da qualche lentiggine.
Nella foto si riesce a cogliere tutto l'amore che mio papà provava per la mamma, mentre la guarda con intensità per imprimere a fuoco la sua figura nella mente e ritirarla.
Poso la foto sul mobile, vado in camera mia e mi cambio i vestiti, prendo un borsonene e ci metto dentro altri vestiti presi alla rinfusa dai cassetti, oggetti igienici, una coperta, scorte di cibo a oltranza, la carta dove gli zii caricano i soldi per il mio mantenimento, il mio cellulare, un coltellino svizzero e una borraccia.
Tornata nel corridoio prendo alla svelta le foto da terra e le metto nella tasca del giubbotto, prendo la chiave lasciata nella toppa e, dopo aver guardato un'ultima volta casa mia, mi chiudo la porta alle spalle.
Ora non si torna più indietro.


THE BLACK ANGELDove le storie prendono vita. Scoprilo ora