Quando fosse iniziata Euridice non lo sapeva di preciso. Era avvenuto tutto troppo lentamente per potersi accorgere di ciò che provava per lui.Era passato un anno. Un lungo anno e per Euridice era ormai quotidianità parlargli. Un'abitudine che le aveva scaldato le viscere in inverno e raffreddato i pensieri in estate. Amava la sua intelligenza. Il modo in cui le parole prendevano il volo dalle sue labbra. Le mani grandi e il sorriso di un bambino. Parlavano di notte: gli occhi ridotti a due fessure, ma l'anima aperta al massimo. Ad ogni sua parola il cuore le sbocciava e parecchie volte aveva rischiato di lasciar trapelare il suo profumo. Petali che si ritrovava tra le mani. Li maneggiava con cura, mostrando la loro preziosità e fragilità. Ma li nascondeva sotto il cuscino perché lui non doveva sapere. Fortunatamente il mattino dopo quei petali erano ormai appassiti e con essi l'impulso di confessargli i suoi tormenti. Le faceva male vederli sparsi per la stanza, ma non riusciva mai a sbarazzarsene. Alcuni sulla scrivania, altri sul comodino, uno solo accanto al cuore a tenerlo da monito per la prossima notte.
I giorni passavano troppo lentamente ed Euridice aspettava la luna come fosse la cosa più inestimabile che potesse mai vedere. C'erano sere in cui si sdraiava accanto al cellulare in attesa che si palesasse. A volte lo faceva, altre no. In quelle rare volte si sentiva sprofondare, sbranata dall'oscurità che la circondava. L'una, le due, anche fino alle quattro fissava il cellulare. Poi tornava. Il mattino seguente le scriveva, si scusava e le diceva che gli era mancata. Il ciclo si ripeteva all'infinito. Un'altalena di strazi e piaceri che non riusciva ad evitare.
Il bagliore dei suoi affetti però non mostrava quasi mai agli occhi di lei l'ombra che costantemente era aviluppata intorno al suo Orfeo. Da poco infatti gli aveva confessato di avere una ragazza da cinque anni. Qualcosa si incrinò tra di loro ed Euridice per i primi tempi non riusciva a capire il perché non avesse pensato prima ad un'evenienza simile. Ad un tratto il tassello che le mancava prese posto nel mosaico delle sue paranoie e capì che non poteva andare avanti così.
Sapeva poche cose di lui. Nato a P. e andato a vivere a T. Studiava alla facoltà di economia e aveva all'epoca circa ventidue anni. La sua ragazza era di P. Molto probabilmente era questo il motivo per il quale le aveva detto di venirlo a trovare a T.
Euridice in quel periodo pensava alla facoltà che avrebbe voluto frequentare e all'ultimo anno di liceo. Alle soglie dei diciotto, mai stata fidanzata e insicura ad ogni passo che faceva. Una coppia così male assortita non si vedeva da parecchio. Ma "coppia" molto probabilmente non era il termine adatto per definire il loro legame.Il fantasma della sua ragazza la tormentava ogni volta che gli parlava. Lui non l'amava, ma non era abbastanza coraggioso per lasciarla. Euridice varie volte aveva battuto su questo punto, ma senza mai convincerlo del tutto. A lui bastava così: di giorno uno, di notte un altro. Sosteneva fermamente di essere il vero se stesso solo con Euridice. Solo con lei, che all'inizio era solo una sconosciuta, era capace di esprimere il suo vero essere. Libero di parlare di qualsiasi cosa e senza la paura di non essere accettato. Lei lo accettava così. Pieno di difetti, pensieri strani e situazione complicata. Spesso si sentiva in colpa per la sua ragazza. Altre volte desiderava di essere lei solo per potergli stare accanto. Non l'amava, ma almeno poteva stringergli le mani grandi e sentirsi tremare le gambe ad ogni suo bacio. Sensazioni che di quel passo Euridice non avrebbe mai provato. Forse però era meglio averlo conosciuto così, con il cellulare a fare da filtro ad ogni suo palpito. Voleva che la lasciasse. Non per liberarsi la strada, ma per renderlo libero. Vedere il suo vero essere soffocato dalla sua stessa maschera la uccideva ogni volta che le diceva che non poteva dire o fare certe cose. Che vita è questa? gli urlava al cellulare. Che soddisfazioni poteva mai provare fingendo? Euridice non riusciva a spiegarselo. Forse è questo essere adulti. Forse lei era ancora troppo ingenua per capirlo. Determinati meccanismi erano ancora all'oscuro per lei. Si dannava ed ogni volta trovava parole sempre più convincenti, ma niente. Dove l'avrebbe cacciata quella situazione non lo sapeva.
Ma la paura e la curiosità di scoprirlo le impedivano di rinunciarci. E fu così che nonostante tutto non spegneva mai il cellulare la sera, i petali appassiti tra le mani e le parole che avrebbe voluto dirgli tra le labbra.
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Petali
Short StoryParlavano di notte: gli occhi ridotti a due fessure, ma l'anima aperta al massimo.