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Diciotto anni prima...

- Ma mamma non ho fame! -.

Era da quasi venti minuti che Karina e sua madre discutevano, sedute al solito tavolino del ristorante più costoso e affollato della città, accanto a turisti e connazionali super ricchi. Le lingue dei vari consumatori si mischiavano fra loro creando un caos pazzesco, a tal punto che le orecchie della giovane, abituate a musica classica e sinfonie, stavano per scoppiare.
- Tu devi mangiare, Karina! -.
Quel devi le suonò inquietante, come se si trattasse di vita o di morte. Decise di ordinare un'insalata.
- Senza uova - precisò la madre guardando il cameriere che finalmente aveva avuto coraggio di avvicinarsi al tavolo. La figlia la squadrò, interrogativa.
- È meglio evitare le uova - spiegò la donna. Indossava un vestito di seta blu, che le arrivava sopra al ginocchio, lo smalto rosa che copriva le imperfezioni, le unghie limate al punto giusto, i capelli bianchi che ricordavano una gioventù dorata raccolti in uno chignon schiacciato e la borsetta bianca appoggiata sulle cosce.
L'insalata sapeva di erba secca e tonno scaduto. L'acqua era troppo frizzante e fredda. Il salone troppo soffocante. Aveva bisogno di aria.
- Ti aspetto fuori, tu finisci con calma - aveva detto a sua madre. Le lasciò una banconota da venti sul tavolo, sotto al bicchiere, cosicchè non volasse via con il vento che entrava prepotentemente dalla porta. Karina uscì, abbottonandosi il cappotto, strofinò i piedi fra la neve e inspirò a fondo più e più volte. Osservò le luci e le forme confondersi con il grigiore del cielo: i palazzi e le macchine, i semafori e i campanelli... sembrava tutto grigio quel giorno... La assalì una forte malinconia. Perché è andata in questo modo? pensò. E' andato tutto storto, da quando ti ho conosciuto, maledizione! Non riusciva nemmeno a piangere. Voleva scomparire. Una donna le passò accanto, urtandola e facendola scivolare. - Mi scusi - disse questa velocemente, continuando a soffiarsi il naso. Karina rimase immobile a guardarla, indignata. Il mondo stava andando alla rovescia. Da quando aveva smesso di lavorare, aveva iniziato a pensare di più. Molto di più.  Meditava sui vari comportamenti che assumeva, su ciò che faceva, su quello che diceva. Inizialmente solo su di lei, poi su tutti coloro che le stavano accanto, a prescindere che fossero familiari o del tutto estranei. Christopher era rimasto sorpreso quando gli aveva parlato, la sera precedente. La giovane donna ricordava perfettamente quel momento: nei suoi occhi una scintilla di stupore e sul volto gioia e soddisfazione allo stato puro. Il corpo e la mente di lei invece erano impossessati dalla paura. "Meglio non pensarci ora" disse a se stessa con decisione. "Devo stare calma". Buttò un occhio nel ristorante e dalla vetrata vide sua mamma che finiva di trangugiare un bicciere di birra bionda. Sua mamma andava matta per la birra. "Posso anche morire, tanto so che nell'aldilà ci saranno birra e pancetta a volontà" ripeteva sempre. Sembrava quasi che preferisse la morte alla vita. "Dicono tutti che la seconda vita è migliore della prima, perchè non posso desiderare di sperimentarla subito, anzichè stare qui a sbrigare noiosissime faccende e a occuparmi di tutti e di tutto". Già, la cara, vecchia signora Mar'ja era fatta così, da quando era nata. Lamenti, insulti, rimproveri e citazioni di frasi deprimenti riempivano le note che le uscivano copiose dalla bocca, venti ore su ventiquattro, sette giorni su sette. E non c'era verso di cambiarla o di farla smettere un'ora prima del solito, poichè dormiva solo quattro ore al giorno (precisamente dall'una alle cinque di mattina) e aveva una personalità talmente forte, che nemmeno il marito o la figlia riuscivano a smuoverla. Aveva voluto (e devo aggiungere che il termine "volere" era saltato fuori dalle sue labbra per sbaglio qualche giorno dopo aver partorito e poi non è più comparso) solo una figlia. Ci tengo a precisare che l'aveva appunto deciso dopo aver partorito, e non perchè il parto avesse avuto complicazioni (non ne aveva avute), bensì perchè il fatto di occuparsi per anni e anni di qualcuno le portava via troppo tempo prezioso per se stessa e per i suoi rituali deprimenti. "Prometto di non fare il tuo stesso errore, mamma" aveva pensato la musicista all'età di quindici anni.

 Mar'ja si stava alzando, vagamente instabile sulle gambe; afferrò la borsa, sistemò il cappotto e si legò un fazzoletto di seta rosso rubino attorno al collo. Poi, appena ebbe acquisito più stabilità, si diresse verso la cassa. Karina fremette e si girò verso la strada trafficata. Era impaziente e desiderosa di tornare a casa. Voleva solo stendersi e dormire. Sembrava sua madre. Effettivamente era invecchiata velocemente: dimostrava di avere cinque anni in più dei trentadue appena compiuti. Stava per girarsi a vedere a che punto fosse sua madre, quando udì la voce un uomo che parlava al telefono. "Discute di affari, poveretto" pensò. Fu solo quando lui svoltò l'angolo e lo vide che si sentì mancare la terra sotto i piedi. Non lo vedeva da due mesi. Era sempre bello, solo la barba un po' più lunga e gli occhi un po' più cupi. Le assalì il panico. Non voleva che la vedesse in quello stato e... Iniziò una fuga precipitosa verso la direzione in cui stava andando lui, in anticipo rispetto ad Andreï di una decina di metri, ma poi si fermò. Si ricordò di sua madre. Non poteva scappare e lasciarla lì. Pensò una miriade di imprecazioni in russo e finalmente si girò e tornò indietro, verso il ristorante. "Speriamo che non si accorga di me" scongiurò, ma Dio non le aveva mai dato una mano in tutti quegli anni e, figuriamoci, non l'aiutò nemmeno quella volta. Andreï Mol chalin alzò lo sguardo che cadde proprio su di lei. La sua amante. La sua dea. La sua ispirazione. Lei era tutto per lui. Lo era e lo sarebbe sempre stato, nonostante la distanza e le avversità. 

L'uomo perse la voce e la persona con cui era al telefono continuò a parlare da sola, incurante del silenzio che riceveva come risposta. La donna perse il controllo e prese a torturarsi i guanti, lo sguardo rivolto verso il basso. - Karina - sussurrò lui infine. I loro sguardi s'incontrarono di nuovo ed ecco che riaffiorò il loro amore, così forte e bello. Stettero a guardarsi, parlando solo con gli occhi, senza emettere alcun suono. Lei era così giovane e incantevole agli occhi di lui, la pelle chiara ricordava quella di una bambola. E lui era così virile agli occhi di lei, la barba incolta lo rendeva ancora più attraente. Nei loro corpi fluiva energia. Avevano voglia di stare più vicini, di scaldarsi a vicenda in quella fredda giornata di Febbraio. - Andreï - replicò. Non erano in grado di parlare. Sussurri e desideri si erano impossessati di loro. 

- Ti trovo bene - disse lei.

- Anche tu... voglio dire... -. Gli occhi di lui scorrevano sul corpo di lei, nascosto sotto a mille vestiti. Non l'aveva mai vista con addosso quel completo verde bottiglia che sbucava da sotto il cappotto marrone. Adorava il suo modo di combinare i colori fra loro. Era una vera artista, in tutti i sensi. Abbinava le emozioni ai colori e i colori ai vestiti. Aveva una visione tutta sua della moda, un'immaginazione formidabile, un talento inusuale. Non solo nella moda: nella musica, nel comporre e nello scrivere. Era brava a fare un po' di tutto, ma brillava come violinista. Il violino era la sua vita, la sua gioia, il suo dolore. Era amico e padre, amante e marito, confidente e aiutante. 

- Non dovremmo farci vedere in giro assieme... circolano delle voci su di noi... - rimarcò la musicista.

- Hai ragione... è meglio... -

- Karina! Figlia mia, tu hai perso la testa! Qui fuori si gela, e non dovresti... nella tua con... - saltò fuori sua madre, sbucando da dietro di lei.

- Non è vero, mamma. Hai bevuto troppa birra. Su, andiamo a casa - la bloccò lei.

- E questo giovane chi è? Non l'ho mai visto prima d'ora -

- Un amico - tagliò corto:- Andiamo. Ciao - concluse, rivolta ad Andreï. Afferrò Mar'ja sotto braccio e s'incamminò verso la macchina, lasciandosi il direttore alle spalle. Poi tremò.

- Quasi dimenticavo... martedì alle dieci, al Teatro -.

Andreï la guardò con gratitudine. Sorrise, poi riprese a parlare al telefono.

Karina tornò sui suoi passi con sua madre, in subbuglio. Perchè aveva detto al Teatro

E improvvisamente si rese conto che non era in grado di mantenere le promesse.

Nemmeno una.

Nemmeno la più importante.

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