Capitolo XXI - Fuga 2

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Altri dardi gli piovvero attorno mentre scappava. Gli arcieri lo inseguivano dall'alto con gli occhi e correvano sui tetti. Finché l'avessero avuto sotto tiro, sarebbe stato impossibile nascondersi al loro sguardo. Quando fu nell'altro vicolo, i Norem dovettero scendere dalle case per inseguirlo a terra, mentre ancora il gruppo di Skull stentava a raggiungerlo, disperdendosi tra le viuzze infinite, cercando d'intrappolarlo chiudendo le uscite delle strade. Gràen tornò a costeggiare le mura crepate nel tentativo di confonderli, sfrecciò tra le case, imboccò strade a casaccio zigzagando tra i soldati sparsi per Hok. Aumentava così il numero degli inseguitori, troppo sparpagliati, adesso, per fermarlo in forze. A un tratto, il Barbaro scorse una breccia tra le case e poté arrampicarsi tra le macerie di un vecchio abituro, riuscendo a ingannare il percorso sempre uguale in mezzo alle casupole tutte asserragliate. E quando i soldati lo raggiunsero, videro solo i compagni dall'altra parte del vicolo, Skull parato sulle gambe come uno spettro nero. Si guardarono, non si capirono e scattarono alla rinfusa qui e là, con gli arcieri a issarsi sui tetti per intercettare il capitano.

Allora Gràen, in preda all'estasi, irruppe in una delle case sguainando la daga, e di nuovo i Norem persero le sue tracce.

«Non muoverti!» intimò Gràen all'abitazione, spaziosa, volendo prendere in ostaggio il proprietario o chiunque si trovasse lì dentro.

Un tavolo ampio, ovale, dominava la stanza, baciato dalle fiaccole accese alle pareti. Su di esso, un calice di sirion mandava il suo profumo straniante, sinuoso davanti a un piatto d'argento pieno d'ossa mangiucchiate. Oltre la parca, raffinata mensa, sulla destra sbucava una porta massiccia e il camino di marmo era acceso, inquadrato da volute di pietra nera su cui stavano infissi dei pomelli dorati, dai quali pendevano gli attrezzi per sistemare la legna.

«Ebbene?» scricchiolò una voce stanca, alla destra di Gràen.

Il Barbaro s'irrigidì e strinse la spada prima di voltarsi.

«Non mi sto muovendo, quasi non mi riesce più» continuò il vecchio sulla sedia a dondolo.

La creatura, il viso come bruciato, squarciato sulle guance e la fronte, non pareva guardare il capitano ma un punto accanto a lui, nei dintorni della sua figura. Col braccio inerme sulla coperta che l'avvolgeva, il Norem teneva in mano una candela accesa, sforzandosi di posarla su un trespolo di ferro accanto a lui. La sua luce, arancione, moriva nelle piaghe del volto orribile e le dipingeva con tratti osceni, lasciando solo brillare gli occhi, ambrati, come due pozzi d'acqua tra i sentieri delle vene esposte.

«Ti stanno cercando, non è vero?» domandò l'anziano, muovendo le labbra nere. «Tu non porti gli stivali... Non sei uno di loro, un soldato.»

Gràen lo fissava.

«Sei forse andato via?»

«No... Non potete vedermi?»

Il vecchio mosse il collo verso la porta.

«Vuoi derubarmi?» chiese. «Ho qualche cosa nella tasca, se ti può interessare.»

Armeggiò sotto la coperta e schiuse il palmo cadaverico levandolo in aria.

«Valgono parecchio» disse, mostrando alcune pietre rosa, marezzate d'azzurro a tratti.

«Cercavo... riparo, in verità.»

«Lo so bene, hai ragione.»

«Chi siete?»

«Chi sono stato?» sorrise, gli occhi lucidi, la voce un sussurro. «Non posso dirtelo.»

Nel nome di CalidanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora