Swift as Dreams

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«The Ice was here, the Ice was there,
The Ice was all around:
It crack'd and growl'd, and roar'd and howl'd—
Like noises of a swound.
At length did cross an Albatross,
Thorough the Fog it came.»

S.T. Coleridge, The Rime of the Ancient Mariner.

L'acqua è gelida sulla mia pelle.
Mi fa male, e ogni istinto mi urla di scappare via, di trovare un'altra soluzione, di uscire da lì. Lentamente, i miei incubi si risvegliano uno dietro l'altro.
I tentacoli mi afferrano le gambe e le tirano, le pinne di squali e sirene mi schiaffeggiano la faccia, mi graffiano la pelle, una voce profonda inizia a tuonare, elencando uno dopo l'altro tutti gli errori che ho commesso negli ultimi quattro anni.
Quegli stessi errori che mi hanno portato a perdere lui.
La presa sulla realtà mi scivola via, finché...
«Non è reale, Shane».
Quel suono acuto e cristallino mi riscuote, ma non abbastanza da farmi aprire gli occhi. All'improvviso, i rumori intorno a me si intensificano. Avverto un ticchettio distante, e dei colpi sordi a cui non so dare un nome. L'acqua è ancora lì, ma non la morsa stringente che non mi dà tregua, sembra quasi... pioggia.
Sbatto le palpebre.
Il marmo bianco che mi circonda non è per nulla accogliente, ed è così lontano dalle oscurità abissali che popolano le mie fantasie da disorientarmi ancora di più.
«Per gli Spiriti della Natura! È possibile che tu debba fare queste sceneggiate ogni volta che provi a lavarti? Sta diventando ridicolo».
Metto finalmente a fuoco il soffione della doccia, ora consapevole.
Non c'è alcuna creatura marina.
Non più.
«Scusami» mormoro, ma è la forza dell'abitudine che parla, non certo la mia coscienza. Come posso essere dispiaciuto per qualcosa su cui non ho controllo?
Emi sembra rendersene conto, perché inclina la testa di lato e un sorriso mesto le addolcisce i lineamenti. «Non devi scusarti, Shane. Io voglio solo che tu stia bene». Fa una pausa, poi distoglie lo sguardo da me. «E che inizi a fare la doccia con le mutande! Non posso vederti nudo ogni volta che devo tirarti fuori dalla tua testa, sta diventando troppo».
Cerca di andarsene, ma io allungo un braccio e glielo passo intorno al collo, affettuosamente. I secondi scorrono mentre racimolo tutto il coraggio che ho per far uscire quella semplice parola, così difficile da pronunciare.
«Grazie». Glielo soffio sulle scapole, il naso affondato nella sua canottiera, ormai bagnata. «Quando vuoi».
La lascio andare, concentrandomi ancora una volta sul mio problema principale.
L'acqua continua a scorrere, e la parte più razionale di me sa bene che non ho niente da temere, in un semplice bagno. Non è mica come essere nell'oceano.
Eppure... il terrore rimane.
Mi lavo più in fretta che posso, mantenendo la mia mente occupata con tutto quello che riesco a trovare. Contare le piastrelle, elencare i posti che ho visitato, ripetere a memoria tutte le poesie che ho studiato a scuola.
Mi rendo conto troppo tardi del mio errore.
Se so a memoria quelle poesie, è solo perché lui me le ha insegnate, a scuola.
Mi ricordo la prima volta che l'ho incontrato. Pioveva, e la mia maglietta bianca lasciava intravedere il frutto degli allenamenti intensivi di quell'estate.
Mi ricordo la prima volta che gli ho rivolto la parola. «Professore», gli ho detto. «Potrebbe rispiegarmi questi versi di Milton?»
Mi ricordo la prima volta che ci siamo visti fuori dalla scuola, in compagnia del Paradiso Perduto e del caffè, e mi ricordo di come li abbiamo subito dimenticati, perché parlare era così bello – ci capivamo così bene – che proprio non potevamo pensare ad altro.
Mi ricordo la prima volta che ci siamo baciati, mi ricordo la nostra passione che annientava il senso di colpa per ciò che stavamo facendo.
Mi ricordo di quando mi ha raccontato i suoi sogni, mi ricordo la sua espressione entusiasta perché gli credevo e i suoi baci mozzafiato dopo la promessa che lo avrei seguito letteralmente in capo al mondo.
Mi ricordo di quando, finalmente liberi di amarci, siamo scappati insieme per inseguire quel sogno impossibile, e mi ricordo di quando lo abbiamo coronato contro ogni aspettativa.
Chiudo l'acqua di scatto, strofinando con l'asciugamano gli ultimi residui di sapone sulla pelle. Non riesco a pensarci senza che una fitta al petto mi tolga il respiro.
D'altronde, non sono passati neanche due mesi dall'ultima volta che l'ho visto; le persone ci mettono molto di più per elaborare un lutto, giusto?
Non è un lutto, Shane, dice una voce nella mia testa, terribilmente simile a quella di Emi.
A essere sincero, non so cosa sia successo a Aden. Ho bisogno di credere che sia ancora vivo, anche se Emi e tutti gli indizi che abbiamo mi suggeriscono il contrario.
Ma non importa. Me lo riprenderò, e il dannato Uccello della Natura avrà quel che si merita. Devo solo escogitare un piano.
Quando arrivo in cucina, scopro che la ragazza si è presa una pausa dal suo studio intenso per preparare la colazione e mi lancia sguardi di disapprovazione tra un boccone e l'altro.
«Come puoi essere produttivo nelle ricerche, se prima delle dieci non metti piede fuori dal letto?» Trangugio più di metà delle uova strapazzate senza neanche masticarle. Ormai è l'unico pasto della giornata che riesco a fare.
«Anche un genio ha bisogno di riposo» mi degno di risponderle dopo aver spolverato tutto.
Alza gli occhi al cielo. Sappiamo entrambi che il vero genio è lei, ma mi piace fingere che non sia così.
A volte ho l'impressione che voglia salvare Aden solo per riavere qualcuno che la ascolti. Non è colpa mia se sono circondato da persone più intelligenti di me, anzi, dev'esserci qualcosa nei miei feromoni che li attira.
Saluto in fretta Emi e mi dirigo in paese. I miei piedi si muovono automaticamente lungo le vie più interne e tortuose, riuscendo a evitare ogni scorcio di oceano – impresa notevole se consideriamo che mi trovo su un'isola minuscola.
La verità è che ho già esplorato ogni metro quadrato di questo pezzo di terra, e non ho ancora trovato niente di utile alle mie ricerche. Ma non posso darmi per vinto, questo è il luogo più vicino alla dimora dello Spirito, deve esserci qualcosa.
Quando sono arrivato sull'isola con Aden ed Emi, ero carico di aspettative. Stavo per completare la mia iniziazione, ero a un passo dal diventare l'Essenziale più potente mai esistito, ed ero in compagnia delle persone più importanti della mia vita. Cosa potevo chiedere di più?
Non mi era neanche passato per la testa che qualcosa potesse andare storto.
Poi lo Spirito dell'Acqua, quel maledetto Pennuto, ha deciso che non ero degno e si è preso Aden, scatenandomi contro il suo esercito di creature marine.
Sono sopravvissuto solo grazie all'intervento di Emi, uno degli innumerevoli motivi per cui non posso dirle delle mie giornate passate a fissare un bicchiere vuoto nella penombra della Locanda dei Mari.
Nei pressi del locale mi trovo la strada bloccata da una calca di persone. Alzandomi sulla punta dei piedi, vedo che hanno fatto capannello intorno a quella che ha tutta l'aria di essere una rissa.
«Che sta succedendo?» chiedo a Steve, il droghiere che viene alla Locanda tutti i martedì.
Lui scuote la pelata senza distogliere lo sguardo dallo spettacolo. «Una tipa le sta dando di santa ragione a Ned perché lui l'ha chiamata 'bambolina'».
Le mie sopracciglia scattano verso l'alto, e cerco di avvicinarmi sgusciando tra i passanti. Se sull'isola c'è una ragazza in grado non solo di tenere testa all'imponente buttafuori del locale, ma anche di batterlo, devo assolutamente conoscerla.
All'inizio noto solo un lampo rosso che si muove come un tornado intorno alla sagoma dell'uomo disorientato. Le teste degli isolani mi impediscono una visuale migliore, ma è abbastanza per scorgerlo piegarsi in due e rotolare a terra dopo neanche un minuto.
Il lampo rosso si palesa ai miei occhi per quello che è in realtà: una cascata di capelli ramati sotto i quali la ragazza nasconde un sorriso soddisfatto, mentre fissa il ginocchio che ha piantato nell'inguine di Ned.
«Non ho sentito bene» sta dicendo, scuotendosi la polvere dai pantaloni neri.
Si sente un vago mormorio di scuse ma sembra essere sufficiente, perché lei allenta la presa e Ned striscia via, scomparendo in un vicolo.
Dopo aver scosso la chioma rossa, la ragazza lancia un'occhiata intorno a sé, e pare stupita alla vista della folla che ha attirato.
«Cos'avete da guardare, tutti quanti?» sibila, con più sicurezza di quella probabilmente ha.
I passanti si disperdono, alla ricerca di quei pochi che non hanno visto la scena, così da poterne sparlare, e lei mi precede dentro la Locanda.
Ora so di cosa ho bisogno.
Mi siedo a un tavolo poco distante dal bancone dove si è sistemata, e la sento ordinare del rum. Mi dà le spalle, ma riesco comunque a intuire molte cose su di lei. È un movimento impercettibile, ma sobbalza ogni volta che qualcuno le si avvicina, come se avesse paura del contatto fisico. A intervalli regolari si passa una mano lungo le guance, poi la ricaccia giù per la paura di essere sorpresa, neanche fossero gesti tabu.
Sono immerso nei miei pensieri quando la proprietaria mi vede. «Il solito, Shane?»
Scuoto la testa; per la prima volta da quando Aden è stato preso, ho bisogno di essere lucido. «Un'altra volta, Barb» le rispondo, con un sorriso che la fa arrossire.
La rossa non presta attenzione a noi, e passa un'ora prima che decida di uscire. Non appena chiede il conto, mi metto in azione e quando varca la soglia, sono già ad aspettarla nel vicolo più vicino.
La sento fare un paio di passi nella direzione opposta, e poi mi Accendo.
Ho scoperto questo potere poco dopo aver conquistato l'Essenza del Fuoco. Le mie vene iniziano a brillare sottopelle come se trasportassero elio e idrogeno, anziché ossigeno, proprio come se fossi una stella umana. Le forme viventi non riescono a resistermi. Vedo le palme dei giardini che si allungano verso di me, i gabbiani mi attorniano, persino lo sciabordio delle onde si fa più ritmico e impetuoso, in lontananza.
Qualche secondo dopo, arriva lei.
Appena i suoi capelli rossi sbucano da dietro l'angolo mi sbrigo a tornare normale. L'isola è troppo piccola, e preferisco non sapere cosa succederebbe se rimanessi in modalità 'stella' abbastanza a lungo da attirare tutto ciò che vi abita sopra. Rabbrividisco solo al pensiero. È un potere che a Aden non è mai piaciuto.
«Cos'era, quello?» sbotta la ragazza, bloccata sui due piedi all'imboccatura del vicolo. La penombra cela l'espressione del suo volto, ma percepisco comunque che è sulla difensiva.
Appoggio le spalle contro il muro della casa più vicina, e la squadro con un'occhiata in tralice. «Io posso aiutarti».
I suoi occhi si sgranano, ma è solo un momento prima che la maschera da dura torni al suo posto.
«Chi sei?»
È brava a sviare l'attenzione, devo ammettere a me stesso. Ma anche io ho i miei assi nella manica. «Ti ho vista, prima». Fingo di concentrarmi su una nuvola che si sta spostando velocemente nel cielo, ma in realtà ho tutti i sensi all'erta. Non voglio rischiare un incidente alla Ned. «Stai cercando la tua indipendenza. Io posso aiutarti».
Questa volta lascia che la sorpresa la travolga, e so di aver colpito un tasto dolente. Sorrido.
«C-come fai a saperlo?» La sua voce è bassa e incerta. «Chi sei, tu?» ripete, avvicinandosi circospetta.
Mi scosto i capelli scuri dagli occhi, per mostrarle bene il volto. Le persone tendono a fidarsi maggiormente, se pensano che non mi stia nascondendo. «Ce l'hai scritto addosso. E poi, sono qui abbastanza a lungo da sapere che i turisti non ci capitano per caso». Le scocco un'altra occhiata obliqua, scoprendo con piacere che ora ho tutta la sua attenzione. «Vuoi che lo Spirito risolva il tuo problema».
Neanche un secondo dopo aver pronunciato quelle parole, mi ritrovo la sua mano stretta attorno alla gola, un ginocchio quasi casualmente appoggiato nell'incavo fra le mie cosce. Dev'essere la sua mossa distintiva, quella.
«Non te lo chiederò un'altra volta» mi sussurra nell'orecchio. «Dimmi chi sei».
Ora è abbastanza vicina perché riesca a distinguere le sue iridi blu dalle pupille dilatate.
Alzo una mano per posarla sulla sua, e allontanare appena quelle unghie affilate dalla mia pelle soffice. «Mi chiamo Shane». Abbozzo un sorriso, ma lei rimane rigida, diffidente. «Sono un Essenziale».
Questo sortisce l'effetto desiderato.
Mi lascia come se il contatto l'avesse appena scottata, anche se sono stato attento a mantenere bassa la mia temperatura corporea.
«Stai mentendo». C'è una malcelata nota di panico nelle sue parole. «Quella roba è solo una leggenda».
«Ma davvero?»
Il vento comincia a soffiare più forte. Dopo essermi guardato intorno per assicurarmi che siamo soli, faccio sbocciare un fiore sulla mia mano libera e glielo porgo. Ci sono metodi molto più efficaci per convincere la gente di ciò che so fare – metodi che fanno sbuffare Aden – ma ho bisogno che questa ragazza si fidi di me.
Lei fa scorrere lo sguardo dai miei occhi al fiore e ritorno, incerta. Lotta contro l'istinto di allontanarsi da me, ma alla fine cede.
«Io... non pensavo...»
Inarco le sopracciglia. «Se tu non avessi creduto negli Spiriti non ti saresti arrischiata ad arrivare fin qui».
Mi studia con rinnovato interesse. «Gli Spiriti della Natura sono... una tradizione di famiglia. Sappiamo tutti che esistono e che sono volubili» ammette, lo sguardo perso nel passato. «Ma gli Essenziali? Non se ne hanno notizie da secoli, da...»
«Dal 1666. L'ultima volta che qualcuno ha tentato di domare l'Essenza del Fuoco non è finita molto bene. Non per Londra, almeno» confermo. Io e Aden abbiamo passato anni a studiare quelle storie. «Ma siamo tutt'altro che una leggenda».
Il mio sorriso si amplia mentre il fiorellino prende fuoco.
La ragazza fa un altro passo indietro, e io lo interpreto come un invito a proseguire. «Posso davvero aiutarti. Vuoi parlare con lo Spirito, giusto? Anche io. Possiamo farlo insieme».
Lei annuisce, ma non sembra convinta. «Se sei davvero un Essenziale, perché ti importa di aiutare una ragazza comune come me?»
È il mio turno di studiare lei. Sto per correre un rischio che Aden non approverebbe mai. È sempre stato la mia parte più razionale, il freno inibitore delle mie idee pazze. Peccato che l'Uccello del malaugurio me l'abbia portato via.
«Beh, per prima cosa, sono un ragazzo proprio come lo sei tu, e poi...»
Non mi accorgo di aver detto qualcosa di sbagliato finché uno schiaffo non mi fa girare la testa dall'altra parte. È forte, proprio come mi aspettavo.
«Io non sono un ragazzo». Lo dice con una convinzione che non so spiegarmi.
«Scusa» borbotto, cercando di non ferire ulteriormente il suo orgoglio. «Volevo dire che siamo entrambi umani. Io ho solo attinto un po' di più dall'energia che la Natura è disposta a darci».
Lei annuisce, facendomi tirare un sospiro di sollievo.
«E, tecnicamente, non sono un vero e proprio Essenziale. Non ho ancora conquistato lo Spirito dell'Acqua».
Vedo finalmente un sorriso spuntare dalle sue labbra, anche se non c'è davvero allegria in quegli occhi così blu da ricordarmi l'oceano, Aden, e tutto ciò che è accaduto lì. Concentrarsi è sempre più difficile.
«È per questo che ti servo!» Esulta, illuminandosi tutta, una reazione così innocente da lasciare anche a me l'ombra di un sorriso. «Perché sono brava».
Mi passo una mano fra i capelli.
Quindi è l'autostima tutto ciò che le serve?
«Già. Allora, sei d'accordo? Abbiamo un patto?» Allungo una mano verso di lei, che la fissa schifata come se al posto delle dita avessi code di pesce.
«Frena, amico. Prima dimmi esattamente cosa vuoi da me, e cosa ci guadagno io, poi potremo parlare di patti».
Sbuffo. «Non devi fare niente che non avresti comunque fatto da sola. Io ti sto dando l'opportunità di sopravvivere».
«Bada a come parli». Il suo ginocchio fa un guizzo verso l'alto, e sono costretto a usare buona parte del mio autocontrollo per non arretrare.
«Mi dispiace dirtelo...» Faccio una pausa eloquente, rivolgendole un'occhiata interrogativa.
Lei cerca di resistere più che può, ma alla fine sospira. «Aubrey. Mi chiamo Aubrey».
«Mi dispiace, Aubrey, ma da sola non avresti grandi possibilità. Lo Spirito non si fa cogliere di sorpresa, ed è il tipo che prima uccide e poi fa le domande. Se lo avvicinassimo insieme, invece, si ritroverebbe in inferiorità, e sarebbe costretto ad ascoltarci».
Non accenno all'esercito di creature marine, non mi sembra il caso.
Aubrey sembra soppesare più volte le mie parole, ma alla fine il suo bisogno di aiuto prevale sul buonsenso. «Okay». Mi stringe la mano. «Abbiamo un patto».
«Perfetto». Le sorrido come ho fatto prima con Barb, ma lei non si smuove. «Ora non ci resta che parlare del piano».
«Quale piano?»
«Lo vedrai».
Senza aggiungere altro, mi incammino per tornare al cottage che è diventato la residenza mia e di
Emi, e non ho bisogno di voltarmi per sapere che mi sta seguendo.

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