Non lasciarti andare

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Capitolo 1

Settembre

Guardo assorto nei miei pensieri il caffè ormai freddo davanti a me. Sono seduto comodamente in un bar vicino casa mia e sposto lo sguardo fuoro dalla vetrina del locale. Le persone sono quasi in febbrile movimento. I passanti vanno in tutte lw direzioni e ognuno fa qualcosa di diverso, ma in qualche modo simile, tutti rintanati nei loro mondi chiusi senza che nessuno si parli. Chi gioca con il telefono, chi parla al cellulare, chi messaggia, chi ascolta musica. Tutti rinchiusi nel loro piccolo mondo tecnologico. E poi c'è lei. La ragazza che ogni mattina aspetta alla fermata dell'autobus; lei che tra tutta quella gente tecnologica, chiusa in sé stessa, spicca come una rosa bianca in mezzo ad un campo di rose rosse.

Ha i capelli biondo ramato raccolti in una treccia disordinata. Gli occhi che guizzano attenti sul piccolo quaderno che ha in mano e che ogni giorno porta con sé. Nella mano destra stringe una matita che fa scorrere in modo sul foglio. Disegna. Credo sia la sua passione. Ritrae tutto ciò che la circonda, il mondo intorno a lei. È il suo modo di esprimersi. Sorrido nel vederla così concentrata a disegnare. È molto bella. Dovrà avere vent'anni circa, di poco più piccola di me.

L'autobus passa, ma lei non sale. Rimane lì, a fissare il suo foglio. Poi, si alza, attraversa la strada e viene verso il bar dove mi trovo io ora. Entra dentro, si stringe il suo quaderno dalla copertina blu al petto e va verso il bancone.

Da dove mi trovo riesco a sentirla parlare, nonostante la sua voce sia bassa. Ha una bella voce, è melodiosa.

Ordina un cappuccino e un cornetto, paga e con la tazza fumante in una mano e il piatto con il cornetto caldo nell'altra, deve tenere il suo quadernino stretto al petto con il mento. È buffa, ma non in senso dispregiativo. Si dirige ad un tavolino poco distante dal mio e poggia tutto sul ripiano. Faccio finta di sorseggiare il mio caffè e intanto la spio da dietro la tazza.

Lei beve il suo cappuccino e addenta il cornetto. Quando ha finito, prende il quaderno ed esce dal locale. Mi affretto anch'io ad uscire, lasciando la tazza di caffè ancora mezza piena.

Senza che me ne renda conto, sono dietro di lei e la seguo. Percorriamo un pezzo di strada per poi svoltare a destra. La gente è tanta e faccio fatica a starle dietro. Infatti dopo poco tempo la perdo di vista.

Finalmente mi rendo conto di quello che ho fatto: l'ho seguita. Ma che mi salta in mente? Ora divento uno stalker, ci manca poco. Continuo a camminare, ma non so dove andare. Ad un certo punto vado a sbattere contro qualcosa, o qualcosa viene a sbattere contro me, non saprei, dal momento che camminavo assorto nei miei pensieri.

"Mi dispiace, io...non guardavo, mi scusi, davvero"-dice una voce alle mie spalle. Allora mi volto. È lei.

"Mi scusi, mi dispiace..."-continua a ripetere.

Il suo quaderno è caduto a terra e tutti i fogli sono sparsi ovunque.

Mi chino a raccoglierli senza guardare i disegni, nonostante lo voglia tantissimo.

"Ti è caduto questo"-dico porgendole il quaderno.

"Oh, grazie"-dice guardandomi. I suoi occhi sono grigi, un colore triste, smorto. Ma i suoi occhi sono vivi, gioiosi, e questo rende questo colore brillante e vivo. Ma guardandoli bene posso dire di scorgere una piccola sfumatura di tristezza in quegli occhi, ma forse è solo impressione.

"Non li ha guardati"-nota lei riferendosi ai disegni visibilmente sorpresa.

"Non mi pareva giusto farlo. E comunque, dammi del tu"-rispondo.

Sorride, ma non scopre i denti. In realtà non è un sorriso vero e proprio, è incerto. Ma è comunque un sorriso.

"Mi chiamo Brenda."

"Natan."

Si incammina con un mezzo sorriso, sempre stringendo al petto il suo quaderno.

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