Se soltanto avessi pace saprei essere come loro

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Steve a lavoro non si diede pace. Pensava solo a Bucky e si era ripromesso di dargli spazio e tempo per pensare. Ma non diede ne spazio, ne tempo a Sam. A lavoro lo assillò chiedendo continuamente del moro, standogli appiccicato nel caso in cui un messaggio fosse arrivato. Si sentiva una merda, non voleva farlo sentire così male, non era sua intenzione. A fine turno propose a Sam un passaggio, così da poter passare a salutare anche Bucky ma l'amico lo guardò male e poi lo salutò.
Quella sera, casa sua gli sembrava un posto stretto e decise di uscire. Per uscire intendeva "andare sotto casa di Bucky cercando il coraggio di suonare il campanello". Si diresse a casa sua, girò intorno all'isolato un paio di volte mentre cercava di prendere il controllo di se stesso. Odiava non avere il controllo. Tutto stava andando a puttane, non aveva niente sotto controllo. Non controllava se stesso, non controllava l'ansia, non controllava le reazioni e le emozioni di Bucky, non controllava la situazione. Voleva semplicemente sbattere la testa. Quel ragazzo teneva a lui con tutto il suo cuore, gli aveva dato tanto tempo e lui gli aveva spezzato il cuore. Steve voleva essere sicuro di sentirsi così, di essersi innamorato. Voleva dare sicurezza a lui, una casa al loro amore, voleva essere sicuro di non buttare tutto via. Desiderava stare con Bucky, voleva vederlo arrossire a causa sua, voleva sentirlo chiacchierare, voleva vederlo sorridere e stare bene. Avrebbe voluto chiedergli anche solo dopo un mese di stare insieme ma la sua testa lo aveva portato troppo avanti. Che succede se ci lasciamo? Abbiamo gli amici in comune, si creerebbe disagio, ci allontaneremmo, potremmo creare litigi. No, no, no. Era meglio aspettare e costruire qualcosa. Forse non glielo aveva detto nel modo giusto, ma voleva costruire una base e poi magari mettere su qualcosa.
Si arrese e si sedette sul marciapiede. Non avrebbe mai suonato. Mentre era perso nei suoi pensieri, il portone dietro di sè scatto, si aprì. Si alzò in fretta, cercando di scappare da chiunque avesse aperto. Appena si voltò vide il moro, fermo, sorpreso e incazzato nero.

- Bucky, ciao - disse.

- Ehi Steve - rispose. I suoi tratti si addolcirono, come se la sua presenza lo avesse sciolto.

- Ero venuto per te, io non... ecco, stavo cercando di suonare ma mi sono arreso - alzò le spalle.

- Sei venuto perchè ti senti in colpa o cosa? - chiese l'altro.

- Volevo vedere come stavi. Sei scappato dalla festa, ero, sono preoccupato - ammise.

- Steve, dovevo sfogarmi. Non ti mentirò, è stato un pugno nello stomaco e dovevo solo assimilare il dolore. Sto bene - si strinse nel suo cappotto.

- Sicuro? - domandò.

- Sicuro - sorrise. Bucky gli sorrise. Gli venne così naturale, spontaneo. Sorrise e si sentì al sicuro. Ma come avrebbe potuto? Avrebbe dovuto essere arrabbiato con lui, avrebbe dovuto spingerlo via, mandarlo a casa e invece gli aveva sorriso. Bucky aveva sentito la mancanza del biondo nonostante lo avesse ferito. Il moro lo voleva, lo amava con tutto se stesso e non avrebbe mai potuto lasciarlo indietro. Mai. Bucky lo guardava, stava studiando il suo viso cercando di capire se lui era lì per pietà o era davvero preoccupato. I suoi occhi gli parlarono, quegli occhi azzurri erano colmi d'ansia e stavano studiando il suo viso.

- Vuoi venire a fare un giro? - gli chiese il biondo porgendogli il braccio in modo che lui potesse aggrapparsi a lui.

- Va bene - sospirò l'altro e insicuro posò la mano sul suo braccio.
Ed eccoli di nuovo insieme, come se niente fosse accaduto. Camminavano a braccetto, Bucky era lontano e Steve lo aveva avvicinato a lui. Il biondo aveva bisogno di quel ragazzo più di ogni altra cosa. Era bastato non vederlo per un giorno o quasi ed era impazzito. Camminavano in silenzio e gli bastava, bastava ad entrambi. Quel silenzio stava dicendo tutto, non c'era bisogno di parlare. Fecero un giro intorno al quartiere, non si allontanarono molto. Bucky guardava a terra, osservava il ritmo dei suoi piedi. Sinistra, destra, sinistra, destra. Ripeteva nella mente il ritmo per non pensare. Sapeva che la prima cosa a cui avrebbe pensato sarebbero state le parole dei suoi amici. Amava Steve, sentiva il suo sentimento crescere ogni secondo per lui anche se aveva tentato di fermarlo. Steve cercava risposte nel viso corrucciato del moro, voleva sapere se stava davvero bene, cosa gli passava per la testa.
Quasi dopo dieci minuti il biondo parlò.

- Sai... non sono sicuro tu stia bene - esordì Steve.

- Come? - Bucky tornò alla realtà smettendo di contare i suoi passi.

- Ho detto che non credo tu stia bene. Sei bianco in viso, hai i capelli in disordine e forse non ti sei accorto di essere uscito in pigiama... - il biondo fece il piccolo elenco delle cose che gli stavano facendo capire che l'altro era in un pessimo stato. In effetti Bucky faceva pietà, aveva le occhiachie segnate, il viso bianco, gli occhi spenti ed era davvero uscito in pigiama.

- Steve... Ti prego non cominciare - tentò di aggiustare il piccolo tuppo che si era fatto.

- Bucky voglio solo capire perchè ti ha fatto davvero così male, se sono io la causa di questo malessere devo saperlo - lo bloccò il biondo così che l'altro potesse guardarlo.

- Tendo sempre ad essere esagerato, a reagire in maniera troppo forte o a non reagire proprio. Sono fatto così, tanto poi mi passa in fretta - fece un respiro profondo.

- Voglio solo tu sappia che non era un no - gli prese la mano delicatamente.

- Lo so - annuì. - Voglio andare a casa ora, ti dispiace se vado? - alzò le spalle .

- Vuoi che ti accompagni? - gli chiese.

- No, vado da solo. Ci vediamo domani Stevie - sorrise prima di lasciarlo solo.

- Ciao Buck - lo salutò con la mano, un pò triste. Avrebbe voluto restare con lui tutta la notte a passeggiare ma a quanto pare non condivideva quel desiderio con il moro.
Entrambi tornarono a casa, le loro direzioni erano opposte e le cose sembravano essere appena precipitate.

Ti Dedico il SilenzioDonde viven las historias. Descúbrelo ahora