I VICINI

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Con mio padre, durante certe situazioni, era meglio non parlare. L'avevo già capito all'età di cinque anni. Era un brav'uomo, con un carattere perlopiù simpatico e socievole, ma quando aveva qualche problema che lo assillava, si trasformava in una persona molto irascibile e quello che ne scaturiva era solo un'immagine violenta; il suo lato peggiore. Solo dopo molti anni sono riuscito a capire ciò che lo rese in quel modo. La vita, spesso e volentieri, è severa con le persone e le mette di fronte a situazioni molto difficili da affrontare. Il carattere di conseguenza cambia e purtroppo, nella maggior parte dei casi, peggiora anziché migliorare. Fu quello che in breve, gli capitò. Sin da bambino aveva dovuto affrontare delle situazioni pesanti, ma io, ovviamente, non sapevo ancora molto e non potevo capire nulla di tutto questo. In quel momento sapevo solo che era meglio stare zitto e non fiatare, per evitare qualche altra sberla a bruciapelo, come le chiamava lui.


  Ci fu molta confusione nei minuti successivi: continuavo a stare impalato davanti all'appendiabiti e non riuscivo a vedere nulla. L'ingresso si riempì di gente, sentivo le voci di tutti i presenti, ma non capivo una parola. Notai mio padre scendere in cortile insieme con qualcuno, poi a un tratto vidi mia madre distesa su di una barella; aveva gli occhi aperti e mi parlò:

«Tesoro... Vai da papà. Vai...»

Richiuse gli occhi, dietro di lei la gente in fila formò un corteo, fino a raggiungere l'ambulanza parcheggiata in cortile.

Rimasi fermo dov'ero, in casa non c'era più nessuno, il pavimento dell'ingresso era un insieme di pezzi di vetro; di sangue; di bende e batuffoli di cotone, alcuni bianchi, alcuni rossi. Decisi di muovermi, ma al primo passo scivolai per terra. Non mi feci male, ma mi sporcai tutti i vestiti di sangue; mi rialzai e andai in cucina. Presi la scatola dei soldatini e scesi anch'io in cortile.

L'ambulanza era già partita. Quando mio padre mi vide, con la faccia pallida e tutto sporco di sangue, mi fece risalire subito in casa. Mi spogliò e mi lavò sotto la doccia. Non ci scambiammo neanche una parola, ma ricordo che mi lamentai della temperatura dell'acqua... era troppo calda. Mi rivestì e mi portò dai vicini che abitavano di fronte a noi, sullo stesso pianerottolo. Non li conoscevo bene, di loro sapevo solo che non avevano figli e che erano anziani. Mi lasciò lì e se ne andò di corsa, senza nemmeno salutarmi.

Mi fecero entrare nella sala da pranzo e si sedettero sulle poltrone. Io scelsi di restare in piedi vicino al tavolo, mi sentivo a disagio. Quella sala mi sembrava immensa, molto più grande della nostra stanza degli ospiti e c'erano tanti mobili scuri, probabilmente antichi. I muri erano color caffèlatte e non erano lisci come quelli di casa mia; mi spostai vicino a una parete e mi accorsi toccandola, che era ricoperta completamente di tessuto. Era la prima volta che vedevo una cosa del genere e approfittai di quella scoperta per parlare con i miei anziani vicini. Mi voltai verso di loro e vidi che mi stavano osservando. Avevano lo sguardo strano, sembravano costernati. Ricordai che anch'io una volta ebbi la loro stessa espressione quando mi capitò di vedere, allo zoo, una scimmia con il sedere rosso, ma feci finta di niente e con molta educazione chiesi:

«Scusate signori, ma di cosa sono fatti i vostri muri?»

Scoppiarono a ridere. Rimasi parecchio stupito, non pensavo di aver detto qualcosa di buffo.

Cominciarono a parlottare sottovoce e alla fine di ogni frase, mi guardavano e riprendevano a ridacchiare. Continuai a osservare la stanza e fui catturato dall'unica finestra del salone; mi accorsi che non entrava nemmeno un pochino di luce. Tra me e me pensai che forse era perché la stanza si trovava dal lato opposto del cortile e il sole doveva essere ancora dall'altra parte... Chiesi allora, se il sole sarebbe arrivato presto o se ci fosse già stato. Dissi anche che mio padre un giorno, mi aveva spiegato che la terra girava e che quindi, il sole si poteva vedere solo in alcuni momenti della giornata. I due risero ancora di più. Erano risatine strane, sembravano i borbottii del motore di una vecchia automobile che non riesce ad accendersi. A furia di ridere, al vecchio fuoriuscì un po' di saliva dalla bocca, e la cosa mi fece abbastanza schifo in quel momento. Fu la vecchia che mi rispose, ridendo, che il sole era già tramontato e che era già sera.

Una vita da inventareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora