IL TRENO

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Sono sempre stato un bambino curioso e di solito mi affascinavano le cose nuove che scoprivo giorno dopo giorno, ma in quel momento non riuscivo a smettere di pensare al paradiso che avevo appena lasciato... a Saarbrücken; quella così piccola e bella città; ma soprattutto alla casa di Benedetta, così pulita e ben ordinata; alla piscina; al giardino; e poi... Erika, al suo sorriso, ai suoi occhioni azzurri. 



Il viaggio di ritorno in Italia fu un'altra nuova e affascinante esperienza per me. Per la prima volta in vita mia salii su un treno!

Dopo qualche ora di taxi arrivammo a Francoforte. Una città molto grande, niente a che vedere con Saarbrücken. Mi venne in mente il racconto di Benedetta, pensai all'incidente che ebbe suo marito e pensai che la vita, ancora una volta, mi stesse insegnando cosa fosse la crudeltà.

La stazione, vista da fuori, sembrava un vecchio, grande, anzi grandissimo, palazzo. Mi domandai da dove entrassero i treni...

«Papà... Ma questa è la stazione? E i treni da dove entrano?»

«Ah, ah, ah... Dal retro! Come quella di Milano... Ah, ah, ah...»

Entrammo nella stazione. C'era un sacco di gente; chi andava da una parte, chi dall'altra. Non capivo nulla, ero completamente spaesato. Mi sarei potuto perdere in mezzo a quella confusione; decisi quindi di non guardarmi più in giro e di stare incollato ai pantaloni di mio padre che, invece, sembrava essere un viaggiatore molto esperto. Infatti, dopo soli pochi minuti, eravamo già sopra al nostro treno.

Sistemammo il mio unico bagaglio e prendemmo posto sui sedili. Era un treno lunghissimo, ma con pochi passeggeri, per lo più tedeschi e quasi tutti uomini. Il nostro scompartimento era vuoto, c'eravamo solo noi due. Ero emozionato e me ne stavo seduto accanto al finestrino, a guardare le persone che camminavano di fianco ai binari con i loro bagagli. Rimasi sorpreso nel vedere quanta gente prendesse i treni per muoversi da una destinazione all'altra. A un tratto, mi sembrò che la stazione si muovesse e invece eravamo noi. Il treno era partito.

«Allora, sei contento di viaggiare in treno?»

Mi chiese mio padre, accarezzandomi la nuca.

«Sì, è bello, però volevo stare ancora un po' con Erika.»

«Davvero? Hai fatto amicizia con lei, allora?»

«Sì... Guarda...»

Gesticolai con le mani.

«E' il linguaggio dei sordomuti, vero? Che cosa vuol dire? »

«Significa: Ti voglio bene!»

«Oh, bravo! Te l'ha insegnato lei?»

«No... E' stata Benedetta.»

«Ti sei trovato bene con loro, vero?»

«Sì papà, molto... Mi sono divertito tanto e poi, Benedetta è proprio brava. Sai Papà... Lei mi ha raccontato la sua vita... Da quando era a Fiume, con te...»

Mi guardò incuriosito.

«Cosa ti ha raccontato?»

«Che è dovuta scappare via per non farsi uccidere... E che a Francoforte aveva conosciuto Norman... Che poi però, è morto in un incidente e...»

«Ho capito, ti ha raccontato tutta la sua storia...»

Ci fu un attimo di silenzio interrotto dal fischio del treno che iniziava a correre veloce.

Una vita da inventareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora