IL MARE

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Gli adulti sembrano essere tutti dei grandissimi fifoni in certe situazioni... ed io... Beh... Io ero veramente sicuro di me stesso e in più, consideravo il mare come un amico. Ogni tanto però, mi chiedevo come facessero mio padre e mia nonna a stare tranquilli. Insomma, avevo solo sette anni, quasi otto... Ero comunque un bambino e me ne andavo tranquillo in giro per il paese, attraversando la strada, senza nemmeno un adulto con me e senza un soldo. Non avevo nemmeno un documento... Mah! E poi... In spiaggia da solo... Anche se sapevo nuotare mi sarebbe, effettivamente, potuto succedere di tutto. Un bambino poteva anche non pensare al pericolo, ma un padre, qualche domanda, avrebbe dovuto farsela... o no?


Andai da mia nonna intorno al mese di Luglio e rimasi lì tutta l'estate. Benedetta ed Erika non vennero con me, mi mancarono molto. Tutto sommato, passai una bella vacanza; andavo al mare il mattino e tornavo alla sera, prima del tramonto. Avevo fatto nuove amicizie e, siccome nessuno mi conosceva, non corsi il rischio di essere messo in disparte a causa del fatto che ero orfano di madre. L'unico problema che avevo era la lingua. Stranamente facevo fatica a ricordare le parole in italiano quindi, ogni tanto, mi scappava qualcosa in tedesco e in quel caso, ma solo in quel caso, qualcuno mi derideva, ma senza cattiveria. Avevo stretto amicizia con un bambino di nome Biagio; eravamo coetanei e avevamo un interesse comune: i soldatini. Quante guerre facemmo insieme! Lui aveva dei soldatini degli indiani, mentre io avevo quelli dei soldati della seconda guerra, ma li usammo lo stesso. Con la fantasia, gli indiani riuscivano a sparare proiettili, anziché frecce.

Quando andavo al mare da solo e senza salvagente, le persone mi guardavano con gli occhi fuori dalle orbite. Avevo sette anni, quasi otto, e per loro, evidentemente, era strano vedere un bambino che nuotasse tranquillo, senza nemmeno un adulto che si occupasse di lui. Per me era assolutamente normale; stavo da solo tutto il giorno. Entravo e uscivo dall'acqua quando volevo e nuotavo finché ne avevo voglia. Andavo anche al largo, senza fermarmi. Nuotare mi piaceva tantissimo. L'acqua, per me, era una specie di coperta che mi faceva sentire sicuro, protetto. Dentro nel mare mi sentivo davvero bene.

In spiaggia era esattamente il contrario: sdraiato sull'asciugamano sotto il sole, con la gente che urlava e mangiava come se stesse morendo di fame, non ero a mio agio. Le persone m'infastidivano, m'irritavano. Guardavo gli altri bambini: tutti mammoni. Mamma di qua, mamma di là... Voglio la focaccia, voglio bere, ho fame, ho sete...

"Che noia!"  Mi dicevo.

Poi pensavo alla mia di mamma... Chiudevo gli occhi e... Zic-zic-zic-zic... Li riaprivo, mi rialzavo dall'asciugamano e mi ributtavo in acqua. Che pace, che tranquillità dentro il mare! Nuotavo veloce più che potevo e mi fermavo, al largo, a osservare la spiaggia da lontano. Le voci di tutta quella gente non si sentivano più, la mia immagine era sparita e c'ero solo io... Io e il mare.

Io... Solo con me stesso e con l'acqua salata che mi avvolgeva tenendomi stretto, senza farmi alcun male. Il rumore delle onde e del vento erano le uniche cose che sentivo e mi rilassavano. Rimanevo al largo per molto tempo, ma sapevo bene quando dovevo tornare a riva. Benedetta mi aveva insegnato che, quando sui polpastrelli si formavano delle rughe, bisognava uscire dall'acqua. Non avevo bisogno di nessuno che mi dicesse cosa fare, ero sicuro di me e non avevo paura di nulla, e soprattutto... di nessuno.

Di sera, quando con l'asciugamano sulle spalle tornavo a casa da mia nonna, facevo una bella doccia e mangiavo a tavola con lei. Eseguivo un po' di compiti per la scuola e mi precipitavo in strada a giocare a pallone con gli altri ragazzi. Biagio mi aspettava davanti al portone, sorrideva sempre non appena mi vedeva. Lui di giorno non veniva al mare con me, i suoi genitori non lo lasciavano mai da solo e poi non sapeva nemmeno nuotare. Una volta però venne in spiaggia con sua madre... Ah, ah... Che risate! Io misi in mostra tutte le qualità di nuotatore che possedevo e lui mi guardava a bocca aperta. La sua mamma mi gridava:

«Stai attento! Oh Gesù...»

Ah, ah, ah... Che ridere! Non capivo cosa ci potesse essere di così pericoloso tanto da far stare in pensiero un adulto in quel modo. Sapevo nuotare e questo, secondo me, era più che sufficiente per stare tranquillo. Biagio provò a imitarmi, si tuffò in acqua e cercò di nuotare. A sua mamma, quasi quasi, venne un infarto!

«Biagiooo! Gesù! Esciii... esci fuoriii... »

«Chissà se Biagio imparerà mai a nuotare...»  Mi chiesi.

Una sera arrivò mio padre. Rimase con noi una settimana e mi disse che le vacanze erano finite. Mi riportò a casa; nella nuova casa. Durante il viaggio in macchina mi disse che non sarei più tornato a Saarbrücken perché Benedetta aveva conosciuto un uomo che aveva un altro figlio, e che sarebbe andata a vivere con lui, in una nuova città. Io non riuscivo a credere a quelle parole, vidi il cielo diventare tutto grigio e mi venne un senso di mancamento. Nelle mie orecchie si frantumarono dei vetri... rividi ancora una volta le braccia insanguinate di mia madre... Zic-zic-zic-zic... Sussurrai fra me:

"Addio Erika, addio Benedetta... Vi penserò sempre!

Una vita da inventareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora