Prologo - Parte 2

10 0 0
                                    


Victoria aprì gli occhi lentamente, con pigrizia, e rimase qualche istante a fissare il soffitto. Era finito tutto, di nuovo. Si liberò dalle coperte color rubino del suo letto, e si alzò con un'espressione indecifrabile suo volto. La sua mente era un groviglio di pensieri talmente intricato da non distinguerne l'inizio o la fine. A ogni risposta che provava a darsi, comparivano altri punti interrogativi destinati a rimanere irrisolti. E lei odiava non ottenere della risposte. Ripensò a quanto accaduto poco fa, nei suoi sogni. Le capitava spesso di sognare sua madre, ne approfittava per parlare con lei, ridere e scherzare come se fosse una cosa normale. Era uno strano modo per sentirla presente. Le chiedeva di suo padre, lui non lo vedeva mai. Ma non otteneva mai una vera risposta, e la maggior parte delle volte quei discorsi assumevano una piega triste e malinconica. Nonostante tutto lei continuava a tentare, e questo era un po' dettato dalla speranza che le cose cambiassero, un po' dalla sua testardaggine. Per quel tratto, aveva senza dubbio preso da sua madre. A quel pensiero un sorriso le spuntò sul volto, sorriso che si spense pressoché all'istante. Nessun incontro era mai stato come quello, così serio e misterioso. Si chiese se fosse vero. L'avrebbe rivista ancora o era davvero l'ultima volta che aveva la possibilità di parlarle?

Non appena i suoi piedi nudi entrarono in contatto con il pavimento freddo, un brivido le percorse la schiena, facendola svegliare completamente. Scosse la testa, costringendosi a concentrarsi su quello che doveva fare, e senza indugiare oltre andò a prepararsi. Raggiunse la grande cabina cilindrica al lato della stanza, aprì il portellone ed entrò dentro, sciogliendosi i capelli. Come ogni mattina, il fastidioso "bip" si diffuse per qualche secondo intorno a lei, facendola sbuffare. Avvertì il solito formicolio sulla pelle, mentre la tuta nera aderiva la corpo. Un altro "bip" la avvertì che il processo era terminato e di malavoglia uscì dalla cabina. Non andava matta per la particolare tecnologia che le era stata concessa. "Viviamo in un mondo in cui sono le macchine a vestirci", erano state le parole che le aveva rivolto. Era vero, anche se sua madre non poteva comprendere la nanotecnologia che stava dietro ai meccanismi della cabina, ne come la tuta così sottile potesse prendere forma dal nulla, o essere al contempo così resistente. Neanche Victoria lo sapeva con precisione. E nonostante da una parte fosse contenta che il sistema si fosse sviluppato notevolmente in tutti quegli anni, odiava non avere la possibilità di cambiarsi. Soprattutto odiava il fatto che fosse una macchina a farlo per lei. Ma non o avrebbe mai ammesso di fronte a sua madre, il suo orgoglio glielo impediva. E poi era inutile rimuginarci sopra, il cambiamento faceva parte dei suoi giorni.

L'aria era particolarmente fredda quella mattina. Il cielo, con il suo colore grigiastro, sembrava voler esprimere tutta la tristezza di quel giorno. Nuvole massicce lo ricoprivano come un'enorme mantello grigio, oscurando l'ambiente circostante. I timidi raggi di sole che provavano ad infiltrarsi soccombevano sotto quella coltre scura. Stava per piovere. La casa era invasa dal silenzio, come del resto lo era stata in quegli ultimi anni. Victoria scese le scale con la testa china, facendo risuonare i suoi passi dietro di se. Si fermò in salotto e si soffermò ad osservare la sua figura, riflessa nell'enorme specchio appeso alla parete. La tuta nera in pelle le fasciava perfettamente il corpo delicato, dalle forme accentuate. Lunghi capelli corvini le ricadevano lungo le spalle, e alcune ciocche ribelli le incorniciavano il viso candido, dalla forma ovale. Folte ciglia nere contornavano i suoi magnifici occhi di un blu gelido e brillante, come l'oceano. La sua bocca era rosea e sottile, le labbra coperte da un lieve strato di lucidalabbra color pesca, il naso piccolo e un po' a punta. Gli zigomi alti facevano risaltare la forma del viso dai lineamenti dolci. Le occhiaie più o meno evidenti erano state coperte perfettamente dall'azione della cabina, e il fard applicato sulle guance nascondeva almeno in parte il suo pallore. In complesso, la sua figura alta e slanciata, unita alla carnagione chiarissima, la facevano apparire come una bambola di porcellana fragile e delicata, pronta a rompersi anche sotto il tocco più leggero. Ma sempre e comunque identica a sua madre. A volte sceglieva di osservarsi allo specchio col pretesto di averla li di fronte a se.

La Guardiana - Il risveglio delle TenebreWhere stories live. Discover now