TERRE STRANIERE

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Quando ti trovi di fronte a delle situazioni veramente difficili è impossibile arrangiarsi da soli. C'è sempre bisogno di aiuto, è inutile illudersi. Certo, per risolvere i guai devi essere forte e reagire, in tutti i modi; ma da soli... no, non ci si riesce. Non credo a quelle persone che dicono di aver risolto i propri problemi da soli, senza l'aiuto di qualcuno o di qualcosa. Io, per esempio, qualche aiuto l'ho avuto, altrimenti non so proprio che fine avrei fatto e, il più delle volte, quello che mi ha salvato, permettendomi di cavarmela, sono sempre state alcune "certezze"... Quelle certezze che trovi per caso, grazie a qualcuno o a qualcosa che, sempre per caso, passa davanti a te come se fosse un treno...un treno che, se non riesci a prendere in tempo, scappa via per sempre. A volte però, non è proprio un caso... Dalle stazioni partono molti "treni"... basta scegliere la destinazione.



Poco prima dell'inizio del mio terzo anno scolastico, una signora di nome Pinuccia telefonò a casa chiedendoci di andare a trovarla a San Remo, dove si era appena trasferita con i suoi due fratelli di nome Giovanni e Pasquale. Erano delle vecchie conoscenze del Collegio Tommaseo, mio padre fu molto felice di aver ricevuto quell'invito.

Partimmo il giorno dopo, come se fosse stato un piccolo prolungamento delle vacanze. Una volta arrivati, fummo accolti come delle persone molto importanti; o almeno, questa fu la mia sensazione. Erano persone molto ospitali e ridevano spesso, anche senza alcun motivo apparente. Durante quella settimana, che ricordo lunghissima, quasi interminabile, mi trovai bene con Pinuccia; mi viziava con tutte le caramelle possibili e immaginabili che comprava dal panettiere sotto casa! Anche lì andavo al mare il mattino ed ebbi l'occasione di fare nuove amicizie. Imparai addirittura ad andare in bicicletta in quei giorni, grazie a un bambino che m'insegnò, offrendomi di usare la sua bici nuova.

Per caso, o per chissà quale sorte o destino, a Pinuccia balzò in mente la strana idea di farmi rimanere con lei almeno per una stagione. Avrei frequentato, ovviamente, la scuola di San Remo e non sembrava ci potessero essere dei problemi a riguardo. Così, come se fossi stato un piccolo pacchetto postale, fui parcheggiato lì, di nuovo, in un'altra terra straniera, con gente nuova che, anche se simpatica, non conoscevo. Ovviamente mio padre doveva aver già pensato a quella soluzione. Non posso credere che fu un'idea di Pinuccia... Da questo capii che i treni non passano per caso; passano sempre e che, per poterci salire, per non farteli scappare, basta sapere soltanto quando e dove, passano.

La mia vita cambiò nuovamente, ma sotto a un certo aspetto fui contento perché così, almeno, avrei evitato le botte di mio padre; sarebbe bastato solo comportarmi bene con quella gente e sarei sicuramente riuscito a vivere tranquillo. Ma non fu così. Uno dei due fratelli, Pasquale, mi trattava male e non voleva nemmeno che parlassi con lui. Non che io gli avessi fatto chissà che cosa; penso semplicemente che non voleva che io fossi lì, a vivere in casa sua. Certo non dico di no, ma che colpa avevo io? Ero ubbidiente, aiutavo Pinuccia nei mestieri di casa, studiavo e, nei momenti liberi, giocavo con i miei soldatini che ormai avevano abbandonato la Croazia e vagavano in terre nuove, contro forze oscure e sconosciute.

Terre straniere... Gente nuova, scuola nuova, insegnanti nuovi; tutto nuovo e infinitamente sconosciuto... Per me. Di nuovo.


La guerra non finisce mai, specialmente nella testa di un bambino, che imperterrito, cerca, con l'aiuto della fantasia, qualcosa su cui aggrapparsi, come per distruggere ciò che l'opprime per far nascere qualcosa di bello; di diverso; qualcosa di nuovo.


San Remo era una bella città, ma non la vidi tutta. Facevo a piedi ogni giorno la stessa strada per andare a scuola e per tornare a casa. Non uscivo mai, per nessun motivo; andavo soltanto a scuola e basta. Gli amici del palazzo (così li chiamavo) si trovavano sulla strada e giocavano qualche volta a pallone. Io ovviamente scendevo giù a giocare con loro e ogni volta che arrivava qualche automobile, ci si fermava come delle statuine e, non appena la macchina passava, si riprendeva il gioco...

A scuola non ero proprio una cima. Andavo bene in disegno e in italiano scritto, ma nelle altre materie ero un vero disastro. La maestra non era molto contenta di me e un giorno mi disse che avrebbe voluto parlare con un mio genitore. In quell'occasione imparai il significato di: ...o chi ne fa le veci.

Pinuccia si presentò come quella che faceva le veci e la maestra spiegò bene la situazione del mio andamento scolastico. Mio padre fu immediatamente informato e quando mi venne a trovare mi fece una predica lunga un chilometro. Pasquale, mentre mio padre mi rimproverava, sorrideva sotto i baffi sottolineando che io non facevo altro che giocare e che non studiavo mai. Non era vero. Io studiavo e anche molto... Solo che di certe cose, tipo la matematica, non capivo niente. Pinuccia non era come Benedetta; era abbastanza ignorante e i suoi fratelli pure. Avrei avuto bisogno d'aiuto ma, in quella casa, nessuno era in grado di farlo. Mi arrangiai come potei e i risultati furono che ebbi un leggero miglioramento, ma non troppo sufficiente per la mia maestra. Dopo un paio di mesi, la persona che ne faceva le veci  fu convocata nuovamente a scuola per sentirsi dire che il sottoscritto aveva bisogno di un insegnante di sostegno. Mio padre, appena venne a sapere quest'ultima novità, andò su tutte le furie e si precipitò a San Remo. Mi picchiò davanti a Pinuccia e a Giovanni. Pasquale mi teneva fermo, mentre lui mi colpiva con le sue mani; con le stesse mani che anni prima usava per accarezzarmi. Le botte non servirono a farmi migliorare a scuola, ma la maestra, appena vide i lividi che avevo sulla faccia, capì quello che mi era successo e, come per miracolo, i miei voti aumentarono.

Grazie per la compassione Signora Maestra!

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