Guardava il mondo fuori dalla finestra, gli stessi dieci metri d'asfalto grigio e arso dal sole, lo stesso quartiere piccolo, le siepi rinsecchite, i muri dei palazzi colorati, lo zampettare di cani sonnolenti, e le stesse facce tutte uguali, poco abbronzante, agghindate per andare a fare la spesa, tutte trucco e sudore e macchine costose.
La filosofia dei paesi di provincia, oracoli di cartapesta e bocche pronte a masticare spalle e veleno. Nessuno credeva più in Dio, file e file di generazioni senza paradiso, senza peccato originale. La preghiera prima di dormire andava al poster appeso sopra il letto, andava alla canzone che si ripeteva fino all'incoscienza, andava alla buonanotte virtuale rossa di cuori e di trilli di notifiche.
Non c'era più niente da dire in un mondo in cui tutto era stato scoperto, il cuore umano non aveva più segreti e tutte le lacrime erano state imbottigliate ed analizzate al microscopio, neanche lo spazio faceva più paura. Come può continuare a vivere un essere umano, senza avere paura che le stelle gli piovano sulla testa?
Cora aveva paura del cielo, del buio e delle strade cittadine. Aveva paura di ciò che conosceva ancora di più di quello che le era ignoto. Conosceva a memoria i palmi delle proprie mani e le mappe delle pellicine scorticate, le piccole gocce rosse e le unghie arrossate. I pomeriggi avevano il gusto del sangue e il suono delle unghie mordicchiate dai denti, mentre la pioggia batteva infinita sulle finestre di casa, anche quando era estate, anche quando splendeva il sole.
Cora voleva uscire di notte, voleva mettere quel top corto e appariscente buttato in fondo all'armadio, voleva fumare di nascosto, ma non farlo piccola dolce bambina, non voltare le spalle a mamma e papà, non dire bugie, ricordati di chiudere sempre a chiave la porta di casa prima che entri un lupo nero.
Ma il lupo le cresceva sotto la cute dei capelli giorno dopo giorno e tutto ciò che era entrato dalla finestra socchiusa era luminoso e innocuo e bello, si erano posate sul suo davanzale e avevano tintinnato come campanelli a Natale.
Cora aveva creduto fossero lucciole, piccole e bianche come petali di margherite. Ma si avvicinavano a lei senza timore, e avevano braccia e gambe e capelli e occhi, e delle labbra piccole il cui riso era il più puro dei tintinnii. Aveva aperto e chiuso la bocca, in qualche modo terrorizzata da tanta bellezza. Una era saltata sul palmo della sua mano aperta, aveva allungato le dita e le aveva posate sulla punta del suo naso. Era stato un tocco impercettibile, ma l'aveva fatta sentire tornata in vita.
Da quella notte, aveva continuato a tenere la finestra aperta. Non si sa mai, aveva pensato. Potrebbero tornare. Lasciava accesa una piccola luce per loro, come se potesse aiutarle a ritrovare la via. Era facile sbagliarsi, in un quartiere come il suo, con case tutte uguali e finestre sporche agli angoli; così, forse, avrebbero capito che le stava aspettando.
Nella sua testa, continuava a chiamarle lucciole, margherite, fate. Parole che le richiamavano l'infanzia, quando anche la sua risata era somigliata alla loro - ma meno pura, sempre meno pura.
Siamo nati senza peccato originale, si ripeteva, ma allora perché continuiamo ad avere paura e vivere nei buchi come topi fuggiaschi? Perché non dormire sotto alle stelle e svegliarsi con gli uccelli, se non c'è punizione da temere, se non c'è un posto a cui tornare?
Cora masticava gomme alla fragola e dubbi, sbatteva la fronte sui libri di scuola, rabbrividiva per gli spifferi. La finestra aperta, sempre. Teneva i capelli legati, con religiosa attenzione sistemava le forcine. Mamma diceva che avrebbe dovuto farsene una ragione, che era colpa della genetica.
Cora perdeva ciocche di capelli insieme alle speranze e ai colori dall'armadio. Ormai si vestiva solo di nero, oh dov'è finita la mia bella bambina vestita di fiori, e appendeva campanelle dorate ovunque andasse, con la stessa ossequiosa attenzione con cui un credente accende le candele in chiesa. Non erano più tornate, e l'inverno affilava i denti, pronto ad azzannare con la prima neve. Cora guardava preoccupata il termometro precipitare e i rami degli alberi rivestirsi di ghiacchio, e si chiedeva come avrebbero fatto le fate con le loro piccole ali di pellicola, come avrebbero fatto a volare contro quel vento armato di schegge di ghiaccio, come avrebbero fatto a mangiare e trovare riparo e sopravvivere al freddo e tornare da lei.
Riscopriva brivido dopo brivido le vie del suo egoismo, stretta in maglioni di giorno in giorno più pesanti davanti alla finestra aperta, lingue fredde d'aria aggredivano le sue mani e intirizzivano il suo naso. Mamma non capiva come mai avesse il raffreddore e Cora si chiedeva perché l'inverno avesse sempre così tanta fretta, per quale motivo non vedesse l'ora di arrivare e imporsi come un sovrano sgradevole.
Passò Dicembre con la sua neve soffice, e un Natale triste di pranzi lunghi e parenti alticci, passati a contare i soldi ricevuti in regalo e guardare il soffitto sdraiata sul letto. Aveva campanelle in ogni dove nella sua stanza, ormai le veniva mal di testa quando le sentiva suonare: mere imitazioni, e mamma aveva finalmente notato la finestra aperta, e l'aveva sgridata, e forse era stata solo una fantasia, solo una visione, solo un piccolo sogno, e forse non aveva senso continuare a pensarci, forse non aveva senso aspettare e aspettare e aspettare... la finestra, comunque, restò aperta tutte le notti.
A Cora il Natale metteva tristezza, e le luci colorate rabbia, e i capelli tirati sulla testa iniziavano a farle male, ma non osava sciogliere la coda - non si passava più le mani sulla cute, si toccava il meno possibile e non si guardava mai allo specchio.
Venne Capodanno con il suo sapore di champagne e malinconia, quel sapore di inizio e speranza ed euforia - era facile credere che le cose sarebbero andate meglio, quando sembrava che l'intero mondo stesse ricominciando dal principio. Capodanno è la più dolce e la più triste delle illusioni.
Era il primo minuto di un anno nuovo e Cora aveva la fronte appoggiata al vetro gelato della finestra, lo sguardo perso nella notte di provincia, per quello stesso incrocio di viuzze che i suoi occhi vedevano ogni giorno da anni, sotto un cielo di stelle annoiate e coperte, addormentate. Aveva un bicchiere vuoto da champagne in mano, di quelli alti, belli, in cristallo, quelli che suo padre prendeva dalla vetrina solo nelle occasioni speciali. La luce della sua stanza era un piccolo faro in una notte non abbastanza tempestosa, e aveva iniziato a perdere la speranza di vederle ritornare.
Fu in quel momento, proprio in quel momento, che risentii quel suono. Il tintinnio soave e acutissimo di un campanello perfetto.
Una fata apparve sul suo davanzale come un piccolo sogno. Brillava come una stella cadente, le ali luminose e ampie, ripiegate come quelle di una falena, a farle da scialle.
Riuscì a pensare solo non ci credo, e poi è bellissima. E lo era, molto di più di quello che ricordava, molto di più di quello che avrebbe mai potuto sognare. Era bella come un fiore appena sbocciato e baciato dalla rugiada, incurante del freddo come un bucaneve, pura come la luce della prima stella primordiale, limpida come il primo pensiero d'amore di un bambino. Cora non sapeva spiegare il tumulto di sensazioni che il solo osservarla le scatenava dentro, una tempesta contenuta in un guscio vuoto.
Aveva solo un desiderio, per l'anno che stava arrivando: quella luce pura e fresca, acqua di sorgente a cui attingere in ogni momento.
Si guardarono solo per un attimo e Cora reagì senza che la sua mente avesse bisogno di pensare. Sbatté il bicchiere rovesciato sulla creaturina e la intrappolò nel cristallo. Il cuore le batteva forte nel petto; la fata appoggiò le mani minuscole sulla parete della sua improvvisa gabbia di vetro.Per la prima volta dopo mesi, Cora chiuse la finestra.
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Fairies (the path will lead you home)
General FictionPer ogni grande difetto, per ogni pensiero egoista, per ogni azione insensibile, nasce qualcosa di perfetto nel mondo. Nasce qualcosa che è soltanto bontà. Nasce una fata. Cora, nella loro presenza, trova l'unica rassicurazione. Nella loro luce, l'u...