Ci si dovrebbe chiedere cosa può, a volte, influenzarti così tanto da farti prendere certe decisioni. Un figlio... Non è un oggetto, è una persona! E' sangue del tuo sangue, un impegno importante. Un figlio è per sempre! Si diventa genitore... ed esserlo, è una scelta di vita. O almeno, così dovrebbe essere...
Matteo nacque il venti di luglio. Da quel giorno non fui più figlio unico.
Per mio padre Matteo rappresentava sicuramente un nuovo inizio, per Maria era esplicitamente suo figlio e per me... Beh, per me doveva essere mio fratello... Diciassette anni più piccolo di me. Diciassette anni di differenza... non sono di certo uno scherzo. Mio fratello? Non ritenevo mio padre un padre... e Maria non era nemmeno la mia vera madre. Come avrei potuto considerare Matteo mio fratello? Era dura per me accettare quella realtà, ma ci provai. Imparai a cambiare i pannolini e a preparare le pappe. Lo cullavo e gli cantavo le canzoni scout e lui si addormentava tra le mie braccia. Cominciai a volergli bene e, pian piano, imparai a considerarlo un vero fratello.
Nel frattempo, mio padre mi aveva trovato un lavoro in un ristorante di Milano come lavapiatti e mi aveva iscritto alla scuola serale (ovviamente, sempre per Geometri). Al mattino, di buon'ora, andavo a scaricare i camion al Mercato Ortofrutticolo, poi andavo al ristorante a pulire tutta la sala e la cucina. Lavavo i piatti del mezzogiorno, ripulivo il locale e tornavo a casa, distrutto. Doccia, compiti, e poi a scuola. Così tutti i giorni... Fino a quando una sera, in autunno...
«Papà, domenica vorrei andare con Angelo e Gigi in montagna... Posso?»
Chiesi titubante.
«Con chi?»
«Con Angelo e Gigi. Mi hanno chiesto se posso andare con loro.»
«Non saranno mica quegli... Scouts!»
«Sì. Proprio loro.»
«Non se ne parla nemmeno! Quelli ti hanno rovinato! Per colpa loro non hai più studiato!»
«Ma... Non è vero...»
Risposi.
«Tu con quelli non ci esci! Resti a casa! E basta!»
Urlò.
Maria si avvicinò tenendo in braccio Matteo. Mio padre si rivolse a lei:
«Maria, torna di là. Porta via mio figlio, non voglio che senta urlare...»
Appena sentii quella frase alzai la voce:
«Tuo figlio? Si chiama Matteo, tuo figlio! Perché? Io che cosa sono? Ah già... Io sono solo un cretino da prendere a botte, vero? Da spaccargli le costole e da mandare in ospedale! Vero?»
Mi sfogai, le tirai fuori tutte...
«Forza, dai! Fai vedere a Maria quanto sei bravo a mettermi ko! Dai! Forza! Eri arrivato a quindici una volta! Ricordi? Quindici sberle!»
Maria era attonita, sconcertata.
Continuai:
«Cosa c'è? Hai paura? Non vuoi far vedere come sei forte? Ah, ah, ah...»
Gli risi in faccia.
Mi arrivò un diretto sulla tempia. Caddi per terra, ma mi rialzai subito. Maria urlò...
«No Giulio! Cosa fai?»
«Vai via!»
Urlò lui.
Mi prese per il collo e mi colpì con una sberla.
«No Giulio!»
Gridò ancora Maria... e si avvicinò a noi.
Mio padre la afferrò per il braccio e la spinse via dalla stanza, rischiando di far cadere Matteo. Io lo raggiunsi, lo voltai e lo colpii con un pugno in pieno volto. Usai tutta la forza che avevo. Cadde a terra, probabilmente gli ruppi il naso. Vidi il sangue sul suo viso e... davanti ai miei occhi... Zic-zic-zic-zic...
Maria gridò:
«Nooo.... Giulio!»
Io corsi via, in strada. Presi il primo autobus e me ne andai così com'ero, vestito con una maglietta di cotone, un paio di jeans e scarpe da tennis. Non tornai più a casa.
A volte, le scelte maturano con il tempo, inconsapevolmente, in silenzio. Poi... un giorno, in una determinata situazione, si presentano e ti portano a fare ciò che a mente lucida, non avresti mai avuto il coraggio di fare veramente.
R.D.
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Una vita da inventare
Narrativa generaleTratto da tante storie vere. In questo romanzo ho creato un personaggio unico (che definisco: "io") mettendo insieme le vicende di alcune persone che non hanno mai avuto occasione di incontrarsi tra loro. I personaggi e gli eventi di questo raccont...