LA CANDELA

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Comunque si concluda una storia vissuta o inventata, e che tu abbia capito o no il modo in cui si concluderà, v'è qualcosa di inquietante nel sipario che incomincia a calar sul suo epilogo. Qualcosa che ricorda la precarietà della vita, la sua irripetibilità, la sua mèta inevitabile e ineluttabile. Mentre i fili del meccanismo che lo tenevano alzato si allentano e abbassano piano piano i tendaggi, ti sembra di guardare una candela che a poco a poco si spenge per lasciarti in un buio gonfio di insidie.

(Oriana Fallaci, INSCIALLAH)



Avevo sempre cercato di evitare l'amore per timore di soffrire. Quella fu la conferma che la mia paura era fondata. Senza Ceci mi sentivo morto. Tanto mi aveva riempito e tanto mi aveva svuotato. O meglio, credo che mi avesse svuotato molto più di quanto mi avesse riempito. Ero uno straccio, nel vero senso della parola. Una sofferenza così grande non l'avevo mai provata. Nemmeno da bambino, né per mia madre né per nessun'altra cosa al mondo.

Pino e Raffaele avevano capito quanto stavo male e rimasero con me tutto il giorno. Mi offrirono la colazione, ma non volli farla. Il panino a mezzogiorno, ma non lo accettai. Il pacchetto di Marlboro, quello sì, lo presi al volo.

La sera andammo da Patty. Appena mi vide mi gettò le braccia al collo.

«Sei tornato!»

Mi baciò sulle labbra, com'era solita fare.

«Lo sai di Cecilia, vero?»

Annuii.

«Io le ho detto di aspettare, ma lei era convinta che tu te ne fossi andato per sempre.»

«Sono stato dentro. Non me ne sono andato.»

«Oh, cavoli!»

Mi abbracciò forte e si mise a piangere.

Patty era una ragazza molto sensibile. La cucciola del gruppo, per intenderci. Nonché amicona di tutti. Appena la sentii singhiozzare, le mie lacrime si unirono alle sue. Restammo lì, abbracciati, a piangere per qualche minuto, poi ci sedemmo sul divano. Pino e Raffaele se ne andarono.

«Cosa farai ora?»

«Non lo so. Sono distrutto. Non ce la faccio senza Ceci.»

«Appena mi scrive te lo dico, così le faremo sapere che sei qui e le raccontiamo tutta la storia, ok?»

«Sei dolcissima Patty, ma credo che di me non ne voglia più sapere.»

«No, no, no. Non credo proprio... Era disperata quando non ti ha trovato a casa.»

«Quando è partita?»

Alzò gli occhi al cielo e si toccò il mento con il dito.

«Quattro giorni fa. Mi ha detto che avrebbe scritto appena possibile. Se solo mi avesse dato retta... Sarebbe ancora qui.»

«Non credo proprio. Il suo unico pensiero è sempre stato Stefano.»

Lei mi guardò rattristata, ma notai che il dubbio le venne. Non mi rispose, limitandosi a sospirare. Le diedi un bacio sulla guancia.

«Vado anch'io. Ci vediamo, ok?»

Scosse il capo e mi accompagnò alla porta.

«Se vuoi, puoi dormire qui. Ti va?»

«Troverò un altro posto, non preoccuparti.»

Erano le otto di sera quando arrivai al ritrovo. C'erano quasi tutti; Monica fu la prima a vedermi e a venirmi incontro. Raffaele, Pino, Tommy, Seba e Ciccio rimasero seduti. Mancavano solo i fighetti, Roby e John. Li chiamavamo fighetti perché erano gli unici che avevano un lavoro fisso (facevano i fotografi) e un'automobile intestata a non si è mai capito chi...

Appena Pino mi vide arrivare indicò, con il pollice, l'albero dietro alle sue spalle. Mi voltai a guardare e vidi che, per terra, c'era un sacco a pelo legato con una corda.

«Cos'è?»

Chiesi.

Aveva in mano un cyloom, una specie di pipa conica orizzontale molto adatta per fumare l'erba. Fece una bella boccata e me lo passò.

«Come cos'è? Un sacco a pelo, no?»

Aveva un occhio semiaperto e l'altro completamente chiuso. Doveva aver fumato parecchio.

«E' per me?»

Fece cenno di sì con la testa.

Fumai molto anch'io, e un po' perché era da chissà quante ore che non dormivo, un po' perché ero frastornato, distrutto e a stomaco vuoto, vomitai anche l'anima. Raffaele e Monica si presero cura di me.

Più tardi arrivarono anche Eli e Patty e mi fecero bere la loro prodigiosa bevanda che avevano nel termos. Fu un toccasana. Era miracoloso davvero quell'intruglio e, anche se il sapore era indefinibile, si poteva capire facilmente che era costituita per la maggior parte di latte e di frutta.

Dopo un bel po' ci raggiunsero Roby e John che ci rifornirono di cibo, sigarette e qualche Lira. Pino cominciò a raccontare a tutti ciò che mi era successo, ed io, dentro il mio nuovo giaciglio, ascoltavo in silenzio, come se quella storia non fosse stata la mia, ma quella di qualcun altro. Mi sembrava incredibile che il protagonista fossi io.

Durante la notte mi svegliai con lo stomaco in fiamme. I crampi, causati dal latte presente nell'intruglio "miracoloso", erano fortissimi. Feci per uscire dal sacco a pelo, ma la cerniera si era inceppata. La testa mi girava, e girava, girava... e... Zic-zic-zic-zic...

«Vattene!»

Gridai, e la mia immagine sparì.

Capii che stavo perdendo i sensi; ma nessuno si accorse dei miei lamenti, sempre più soffocati dal vomito. Poi, il freddo, tanto freddo... Attorno a me il silenzio... come in estate, quando nuotavo nel mare...


La vita si costruisce giorno dopo giorno, costantemente; ed è perfettamente normale voler ricordare. Quante volte capita di voler rivivere le emozioni e le esperienze trascorse? Scavando nella memoria si cerca di capire ciò che si era, per riuscire a comprendere ciò che si è o si diventerà. Ricordare però, può creare disordine e causare difficoltà nel distinguere ciò che è vero da ciò che invece, la mente si è costruita per dare un senso logico a quanto si è vissuto. E' impossibile separare nella memoria la realtà dall'invenzione. I ricordi non sono parole stampate, non sono fotografie né tantomeno... un'immagine indelebile...

 R.D.


In memoria di chi ha vissuto in cerca del suo "pochino".

FINE

Una vita da inventareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora