Capitolo 1

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Capitolo 1

Guardo fuori dal finestrino, ma una mosca è posizionata proprio al centro del vetro. È lì immobile e sembra non accorgersi che l’auto sta sfiorando il limite di velocità.

-Sembra godersi il viaggio…- sussurro con un filo di voce.

-Chi?- chiede mio padre.

Evidentemente parlavo più forte di quello che pensavo.

-Niente: una mosca è appoggiata fuori dal finestrino- rispondo poco convinta- E sembra che si stia godendo il viaggio- aggiungo seria.

Ormai il mio sguardo non si distoglie dalla mosca. La macchina gira a sinistra e le ali della piccola creatura iniziano a tremare senza controllo, eppure riesce comunque a restare aggrappata alla superficie liscia. Sorrido e appoggio la schiena al sedile cercando di rilassarmi (inutilmente). Dopo pochi secondi mi pervade la curiosità di scoprire se la mosca è ancora lì, così non resisto alla tentazione di voltare il viso.

Sì, come pensavo c’è ancora.

-Azalea,- comincia mio padre-andrà tutto bene, vedrai.-

-M- è la risposta più convincente che riesco a dare.

-Le altre scuole sono stati solo casi sfortunati e non ci potevi fare niente. Ora sei pronta a cominciare una vita nuova, senza drammi, con Briar al tuo fianco, e sei, fidati lo sei, molto più forte di prima.

-M-m- dico cercando di sembrare convinta.

No, in realtà non sono più forte di prima: ho solo imparato a nascondere e a far notare di meno la mia fragilità.

Mio padre accosta al lato della strada l’automobile, poi si gira verso di me ed esclama:-Fatti vedere! Sei bellissima, come sempre.

-Grazie papà- arrossisco dietro queste parole.

-Sai la strada da qui?

-Sì: dritto, alla seconda strada a destra, poi subito, di nuovo a destra.

-Okay, vai pure e buona fortuna.- mi augura sorridendo, come solo un padre sa fare.
Apro lo sportello: la mosca è ancora appoggiata lì e non sembra volersi staccare. Prendo lo zaino, scendo e chiudo lo sportello con forza, sussultando per il rimbombo.

È strano portare uno zaino sulle spalle e camminare come tutti per la strada dopo tre settimane e due giorni chiusa in una pallida clinica.

Dopo qualche metro sento un fischio di ammirazione,mi volto e vedo mio padre sporto dal finestrino abbassato, con le dita ancora tra le labbra. Allargo le braccia e, ondeggiandole nell’aria, gli rivolgo un teatrale inchino. Quando sollevo il viso, mio padre mi fa un occhiolino, si ritrae nella macchina, la mette in moto e parte.

Ricomincio a camminare, concentrata su ogni singolo passo, per tentare di allontanare la preoccupazione, quando vengo disturbata dal ronzio di una mosca. Con la mano la scaccio mentre continuo a camminare e riesco nell’intento non appena comincio a sentire un vociare indistinto provenire da dietro un angolo.

Chiudo gli occhi e prendo un profondo respiro.

Quando inizio a camminare verso la classe ho ancora gli occhi chiusi e appena me ne accorgo li apro lentamente.

Chissà se le cose andranno meglio veramente qui..

Sento qualcosa scaraventarsi sopra di me.

-Aaaaaaz!- dice Briar con voce più forte del dovuto.

Briar è la mia migliore amica, ci siamo conosciute nel centro psichiatrico di Georgetown, siamo arrivate lo stesso giorno e appena ci siamo incontrate abbiamo subito fatto amicizia, lei è molto simile a me. Dopo alcune settimane al centro il Dr.White ci ha permesso di ritornare a scuola, patteggiando con i nostri genitori un incontro a settimana.

- Bri, abbassa la voce- le dico rimproverandola.

-Cosa? Non mi vedi da una settimana e mi saluti così?- dice continuando ad avere un tono di voce troppo alto.

Mi guardo intorno e vedo che tutti ci stanno guardando.

-Mi sei mancata, ma devi parlare comunque più piano.

-Va bene mamma- dice prendendomi in giro.

Ci avviamo verso la classe di biologia e lentamente entriamo, mi volto verso Bri e la vedo con un sorriso smagliante in volto, è decisamente più entusiasta di me.

La prof. ci guarda male, probabilmente siamo in ritardo, anche se poco prima avevo guardato l’orologio e non era tardi. Poi mi accorgo del vero motivo per cui la prof. ci guarda male, tutti i ragazzi avevano distolto l’attenzione a ciò che stavano facendo e ci fissavano tentando di attirare la nostra attenzione.

Ci andiamo a sedere in due posti liberi vicini ad un ragazzo che sembra completamente disinteressato a ciò che gli accade intorno: ha i capelli neri con il ciuffo che ricade sull’occhio sinistro, le cuffie alle orecchie e guarda fuori dalla finestra, non riesco a vedere i suoi occhi, anche se ho il presentimento che siano azzurri, ma non azzurri come i miei, no, come l’azzurro del ghiaccio, quello quasi trasparente. Poso lo sguardo sul suo quaderno e vedo che c’è scritto il suo nome.

-Kyle- sussurro.

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