Da ormai alcune settimane ero ferma a quel capitolo. Fino a poco prima ne scrivevo almeno uno al giorno ma da un po' di tempo ero passata in quella fatidica fase chiamata "blocco dello scrittore". Non avevo idea di come andare avanti e, come se non bastasse, le parole giuste proprio non volevano arrivare.
Passavo davanti al computer anche intere nottate, distratta molto spesso dal rumore delle onde che si infrangevano sulla costa e dal battito d'ali dei gabbiani che facevano ritorno dalla cena. E quella sera non fu affatto un'eccezione.
Tutta assorta nei miei pensieri, sentii bussare. Mi sembrava provenisse dalla porta sul retro ma data la stanchezza era più plausibile che me lo fossi immaginato.
Spensi immediatamente la lampada puntata sulla scrivania e presi la mazza da baseball firmata da dietro la porta. Girai la chiave con ferma cautezza e senza provocare alcun rumore, con la mazza nell'altra mano. Troppa brutta gente girava a quell'ora nel mio quartiere e non pochi erano a conoscenza di quante cose da rubare potessero esserci in case come la mia.
Mentre una miriade di pensieri diversi invadeva la mia testa, ruotai il pomello. Credo che se mi fossi guardata allo specchio mi sarei spaventata di me stessa. Mi sentivo bianca come un lenzuolo e nonostante stessi sudando avevo le mani gelide.
Accompagnai la porta e appena sentii che qualcuno era effettivamente entrato il coraggio di poco prima mi abbandonò e la mazza, scivolatami dalle mani, colpì l'interruttore, accendendo la luce.
Davanti a me c'era una giovane ragazza sulla ventina o poco meno che si guardava attorno spaesata. Con mio notevole stupore mi resi conto che indossava un bellissimo abito beige tipico dell'ottocento londinese. Era abbastanza semplice ma non credo fosse adeguato a quella stagione, viste le goccioline di sudore sulla sua fronte. I capelli scuri erano tutti in disordine anche se, escludendo un'enorme cicatrice sulla guancia destra, la ragazza non sembrava né ferita né malridotta. Appena i suoi occhi marroni si puntarono su di me un brivido mi invase per tutto il corpo. Mi sembrava di conoscerla da sempre e in fondo in fondo cercavo di autoconvincermi che non fosse così, perché in effetti di lei sapevo tutto e sapevo che il suo non era un semplice travestimento.
Sapevo da dove venisse, quanti anni precisi avesse e anche il perché di quella enorme cicatrice e i capelli così ridotti. Lo sapevo semplicemente perché ero stata io a darle un nome e un'identità. Era la dolce Margot Gray, la protagonista del mio libro.
Dopo alcuni secondi, che mi sembrarono durare intere ore, mi parlò. Aveva il tipico accento inglese, l'unico che mi aspettavo di sentire. Usava l'inglese antico, quello che ormai da alcuni secoli era caduto in disuso, ma che comunque conoscevo, avendolo studiato per tanti anni. Mi disse che voleva raccontarmi la sua storia, nonché la mia storia. Mi spiegò tutto includendo qualsiasi dettaglio, che fosse importante o meno, usando le mie stesse parole.
Io, però, aspettavo solamente una parte, volevo sapere come continuare la mia storia. Ero pronta a prendere appunti quando la ragazza seduta davanti a me sbiancò improvvisamente e iniziò a tossire. Quando mi accorsi che quella non era una tosse come le altre e che avesse una ferita da arma da fuoco all'altezza del cuore che le faceva sputare sangue era troppo tardi. Ero terrorizzata e così svenni.
Ripresi conoscenza solo la mattina seguente con le mani sporche di un liquido rosso, la penna tra le dita tremanti che per un breve attimo mi parve una pistola.
Sapevo come la storia sarebbe dovuta proseguire, anche se in quel momento la sua assassina ero solamente io. Alla fine avevo ucciso una povera e innocente ragazza e questo mi dannò per l'eternità.spazio autrice:
ok, questo è tutto, spero vi sia piaciuto e che lo abbiate trovato interessante e anche abbastanza originale. mi farebbe tantissimo piacere sapere il vostro parere e magari se avete anche qualche consiglio per migliorare, grazie mille 💗
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