1. BENVENUTA IN CITTA’
Ianira Lewis arrivò alle otto in punto davanti al palazzo in cui aveva affittato un appartamento. Era un’abitazione modesta, salotto e cucina in un’unica stanza, un bagno, e due camere da letto non molto grandi. Era stato suo zio Fred a suggerirle di trasferirsi in quel quartiere che, a detta sua, era tranquillo e assai vivibile. Certo, lei aveva vissuto a Londra per tutta la sua vita e sapeva che ci avrebbe impiegato del tempo ad ambientarsi. Sapeva anche che lasciare la capitale inglese era la soluzione migliore per lei e per suo figlio. Damian, quattro anni, due grandi occhi verdi e una cascata di capelli ricci castani, era l’unica gioia della sua vita. Lo aveva partorito a soli ventidue anni, ma non si era mai pentita di aver portato avanti la gravidanza e di averlo cresciuto da sola. Era un bambino gioioso, vivace e curioso, e poteva definirlo l’unico uomo della sua vita. Adesso il piccolo si trovava col vecchio Fred, un cinquantacinquenne arzillo e con la battuta sempre pronta, mentre lei si dedicava al trasloco. La settimana precedente aveva assunto una squadra per scaricare e montare i mobili, ma aveva deciso di portare le sue cose da sola per sistemarle senza fretta. Si portò le mani ai fianchi e sospirò, sarebbe stata una giornata difficile. Si rimboccò le maniche della camicia, aprì il portabagagli e iniziò a salire gli scatoloni.
Andy Biersack non aveva voglia di alzarsi dal letto quella mattina. La sveglia, come da copione, alle sette precise aveva iniziato a fare baccano e lui, come da copione, l’aveva spenta ad occhi chiusi. Si rigirò nel letto, sudato e irritato per la nottata insonne, e sbuffò contro il cuscino. Non aveva nessuna voglia di lasciare il suo appartamento ed essere gentile con i clienti del negozio di musica presso cui lavorava. Erano mesi che una tremenda tristezza gli pesava sul cuore come un macigno e negli ultimi giorni sembrava trascinarlo sempre più giù. Aveva chiacchierato con sua madre la sera prima e si era sentito meglio, ma la sensazione era durata un paio di ore, poi era ricaduto nella solita angoscia. Allora aveva ceduto, aveva stappato una bottiglia di scotch, che conservava da un paio di mesi, e se l’era scolata bicchiere dopo bicchiere senza curarsi delle conseguenze. Ecco perché in quel momento si malediceva per il mal di testa che gli dava il tormento. Si allungò sul comodino per prendere il cellulare e controllare le notifiche: l’avvocato gli aveva lasciato tre messaggi in segreteria. Sbuffò di nuovo. Non era dell’umore adatto per richiamarlo e sentirsi dire che doveva aspettare ancora. Era trascorso un anno da quando lui e Jennifer avevano divorziato, ma lei non voleva firmare le carte. Erano state innumerevoli le ragioni che li avevano spinti a troncare il matrimonio: continui litigi, pseudo tradimenti, problemi di alcol e di gestione della rabbia, e la lista proseguiva in negativo. Si erano amati sin da giovani e non si erano più lasciati, almeno sino al venerdì sera in cui Andy decise di andarsene. Infatti, si domandava perché lei non si rassegnasse a firmare quelle dannate carte dopo che avevano interrotto qualsiasi tipo di contatto. Basta pensarci, si disse. Doveva prendere una boccata d’aria. Si fece una doccia veloce, indossò i soliti pantaloni neri e la solita t-shirt bianca, inforcò gli occhiali da sole e uscì di casa. Strada facendo, si fermò a comprare un caffè e poi riprese a camminare senza una meta. Digitò il numero di Benjamin, il suo collega, e quello rispose dopo due squilli.
“Buongiorno, qui parla Benjamin. Come posso aiutarvi?”
“Sono Andy. Ma non controlli mai il display prima di rispondere? Comunque, puoi aiutarmi coprendo anche il mio turno oggi. Non mi sento bene.”
Benjamin, calvo ma barbuto, era il ragazzo più strano che Andy avesse conosciuto. Viveva con due gatti, quattro televisori e due frigoriferi ricolmi di cibo spazzatura.
“Non ti senti bene vuol dire che ti sei preso una sbronza?”
“Vuol dire che non mi sento bene, tutto qui. Ti pago due cene questo fine settimana, ci stai?”
“Affare fatto. Ci vediamo domani, Biersack.”
“A domani. Grazie.”
Prima di bloccare lo schermo, si ricordò dei messaggi dell’avvocato e si decise a richiamarlo. Il suo umore ormai era rovinato, una notizia cattiva in più non avrebbe fatto la differenza.
“Avvocato Jones? Sono Andy Biersack.”
“Oh, Andy, finalmente mi hai richiamato! Ho una bella e una cattiva notizia. La bella è che Jennifer ha firmato le carte, ma la brutta è che non ha intenzione di lasciare la villa in cui abitavate insieme.”
Andy smise di camminare. Il mondo smise di girare insieme a lui. Jennifer aveva davvero accettato il divorzio? Dopo un anno passato a supplicarla, adesso gli sembrava un ulteriore tradimento. No, non l’amava più da tanto tempo, eppure gli fece male.
“Andy? Ci sei ancora?”
“S-sì, ci sono. La cattiva notizia non è poi così cattiva, Jennifer può tenersi quella villa perché io non ho intenzione di tornarci.”
“D’accordo. Allora posso fissare l’incontro finale per mettere a punto il contratto di divorzio?”
Il ragazzo scostò il cellulare dall’orecchio e si toccò la fronte con il dorso della mano, gli veniva da piangere come un bambino impaurito. Era l’effetto dell’alcol che lo lasciava così sconvolto.
“Sì, può fissare l’incontro.”
“Bene, allora mi farò sentire io per darti conferma. Buona giornata, Andy.”
“Buona giornata a lei, avvocato.”
Buona giornata un cazzo, pensò Andy.
Dopo due ore Ianira si prese una pausa. Si sedette sulle scale del palazzo e bevve dal thermos il caffè che zio Fred le aveva preparato. Mangiucchiò una brioche distrattamente, era troppo curiosa di studiare le variazioni di luce che si intravedevano tra i profili degli altri edifici circostanti. Si era laureata in arte, e da poco era stata assunta come insegnante di disegno presso il liceo statale di Santa Monica. L’arte era la sua grande passione, studiare le linee, i contorni e i colori si mescolava alle vite avvincenti degli artisti, e tutto ciò le dava un senso di meraviglia che non finiva mai di stupirla. Riposto il cibo nella borsa, tornò all’auto e sgranò gli occhi: mancavano ancora cinque scatoloni e sette cavalletti da portare su. Posso farcela, si disse, e trascinò fuori dal bagagliaio l’ennesima scatola. Troppo pesante per lei, il cartone si ruppe e il contenuto si riversò sul marciapiede.
“Accidenti!” esclamò, dopodiché si affrettò a raccogliere le sue cose. Un paio di anfibi entrarono nel suo campo visivo e lei si bloccò per un attimo, poi fece scorrere lo sguardo verso l’alto.
“Le serve una mano?”
Un ragazzo alto e magro, con le sopracciglia inarcate e gli occhi coperti dai Ray-Ban neri, la guardava con fare interrogativo. Ianira scosse la testa e sorrise.
“Sì, mi serve una mano. La ringrazio.”
“Si figuri.”
Il ragazzo si chinò a raccattare tavolozze e pennelli dalla strada per deporli nello scatolone rotto. La donna che aveva davanti era giovane, aveva i capelli lunghi castani legati in una treccia e due occhi scuri contornati da lunghe ciglia. Si ridestò dai suoi pensieri quando lei gli sventolò la mano a pochi centimetri dal naso.
“Va tutto bene?”
“Sì, va tutto bene. Ecco, queste matite sono sue.” Disse, passandole una scatolina di matite bianche.
“Grazie mille per avermi aiutata. Credo di aver riempito troppo gli scatoloni.” Sorrise la ragazza, e Andy sorrise di rimando.
“Cose che capitano. Si trasferisce qui?”
“Sì, io e mio figlio occuperemo l’appartamento 3C al secondo piano.”
Andy si tolse gli occhiali in un gesto di sorpresa, al che la ragazza fece un mezzo sorriso.
“Io abito al 2C, quindi deduco che saremo vicini.”
“Beh, allora io sono Ianira Lewis. Molto piacere!” disse lei, allungando la mano destra verso di lui. Andy la strinse con titubanza, non era bravo a relazionarsi con gli sconosciuti.
“Andy Biersack, piacere.”
“Grazie ancora per l’aiuto, Andy.”
Il sorriso di Ianira era talmente coinvolgente che fece sorridere anche lui, di nuovo.
“Ancora prego.”
Quando il ragazzo sparì oltre il portone, Ianira tornò dai suoi scatoloni. Ripensò alle mani affusolate di Andy mentre raccoglieva i pennelli, alle sue braccia e al collo tatuati, ai suoi magnetici occhi azzurri, e dovette ammettere che era fortunata ad avere un vicino dal bell’aspetto. Di certo zio Fred lo avrebbe apprezzato. Il quel momento squillò il cellulare e rispose senza controllare, avendo riconosciuto la suoneria personalizzata.
“Aspettavo una tua chiamata con ansia!”
“Mi sono appena liberata dalla sala operatoria, ho fatto nascere un altro bambino. Dovrebbero darmi un premio come migliore ostetrica dell’anno!” replicò Madison con fare ironico. Madison era la sua più cara amica. Si erano conosciute all’università ed era stata l’ostetrica che l’aveva seguita e supportata durante la gravidanza e il parto. Era il suo opposto, festaiola, sempre allegra e protesa al divertimento sfrenato, e proprio per questo che l’adorava.
“Sì, sei la migliore ostetrica di Londra!”
“Ah, non fare troppo la simpatica. Dunque, come vanno le cose? Come state?”
“Io e Damian stiamo bene, per ora dormiamo da zio Fred, ma stasera ci trasferiamo nella nuova casa. Sto scaricando le ultime cose e poi sarà tutto pronto.”
“Non vedo l’ora di venirvi a trovare, ho bisogno di stritolarvi in una marea di abbracci. Mi mancate troppo!” disse Madison, e Ianira già se la immaginava con gli occhi lucidi.
“Ci manchi anche tu, Maddie. Ti manderò tutte le foto possibili di Damian, sta tranquilla.”
“Va bene. Adesso vado a far nascere un altro piccolo, ci sentiamo più tardi. Vi voglio bene e abbraccia Damian per me.”
“Ti vogliamo bene anche noi. Ciao.”
Ianira si asciugò gli occhi con la manica della camicia perché, sì, cambiare città era un beneficio, ma lasciare gli affetti era comunque difficile.
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Lonely hearts || Andy Biersack
FanfictionAndy alle spalle ha un passato burrascoso, costellato da dipendenze e un matrimonio finito, e davanti a sé ha un futuro incerto. Ianira alle spalle ha un passato fatto di abbandoni, prima suo padre e poi il padre di suo figlio Damian, e davanti a sé...