♦ Stuck, but not less bratty ♦

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  Questa storia è fluff, ma ha scene scabrose, che possono facilmente impressionare. Quindi se non siete avvezzi a scene BDSM abbastanza forti NON LEGGETE! I tag ci sono e gli avvertimenti anche, la storia non contiene assolutamente nessuno stupro e nessuna violenza, ma scene di bondage spinto, quindi non andate oltre se volete scene di sesso casto e dolce, ho scritto altre storie così che sicuramente non vi impressioneranno. Grazie per l'attenzione 

*



– Ugh, questo duca ha davvero cattivo gusto, eh? – esclamò Ramen, e la sua voce rimbombò in quel sotterraneo.
Cherry gli fece cenno di abbassare la voce, tirando indietro il mantello. – Non siamo qui per giocare.
Ramen sbuffò, sfiorando il contorno di una gabbia. C'erano tracce di sangue dentro e una ciocca di capelli biondi impigliata fra le grate. Alzò il viso, guardandosi intorno.
Sembrava una stanza degli orrori; catene, tavoli macchiati di sangue con cinghie all'estremità, una vergine di ferro, con spunzoni sporchi di brandelli di carne. C'era un odore di marcio e muffa, assieme a qualcosa di più bruciacchiato.
– Ehi, teme, percepisci magia?
Sharingan stava contemplando dei simboli su un tavolino. Il mantello blu scuro gli copriva interamente il corpo, i capelli neri erano legati in un codino, ordinati come se non avessero appena ucciso e affrontato sei guardie. Alzò gli occhi rossi su di lui.
– Sì. Qualche rituale.
Cherry si guardò attorno, toccandosi nervosamente i guanti bianchi. – Cerchiamo in giro, magari c'è qualche ferito.
– La nostra priorità è un'altra – commentò secco Sharingan. – Scopriamo cosa sta combinando il Duca e andiamo via.
Ink emerse da un cubicolo, metà del viso bendato e gli abiti interamente neri. Aveva uno dei due pugnali sguainati. – Di qua, c'è un uomo incatenato, è messo molto male.
Cherry gli andò incontro. – Lo curo io e ci parlo. Voi restate qui, cercate indizi e fate la guardia.
– Chi ti ha nominato il capo? – sibilò Sharingan.
– Sono l'unica affidabile qui dentro.
– Ehi! – protestò Ramen – non è vero! Anche io voglio salvare le persone.
Cherry lo guardò con sufficienza. – L'ultima volta che hai provato a salvare qualcuno, hai spaccato la testa al derubato, e hai dato i suoi soldi al ladro.
Il barbaro mise il broncio, incrociando le braccia nell'armatura. – Quel ladro era molto convincente, non è stata colpa mia!
– Per non parlare di quando sei entrato in ira in quel negozio di mantelli. Non possiamo più mettere piede in quella città, e io avevo pagato dieci monete d'oro per incantare il mio mantello, mantello che non ho mai potuto ritirare – aggiunse con sprezzo Sharingan.
Cherry spostò gli occhi verdi sul mago. – Tu sei l'ultimo che può parlare. Hai più segreti tu che peli una scimmia, quindi sì, il capo sono io, perché voi due siete completamente inaffidabili. State qua buoni – li avvertì, per poi essere inghiottita dal buio del budello.
I due cominciarono a cercare in giro senza parlare.
Ramen si fermò all'improvviso di fronte l'ennesimo oggetto di tortura. Non sembrava esser stato particolarmente usato. Si chinò a guardare quella gogna di legno, ricordando quando ci era finito lui una volta, per aver scatenato una rissa in una locanda.
Il lucchetto era attaccato e la chiave infilata nella fessura. Spostò gli occhi su Sharingan, che stava osservando le incisioni sopra alcune catene, e ghignò.
– Credo di aver trovato qualcosa.
Il mago rivolse il suo sguardo freddo sul barbaro. Ah, aveva sul serio dei begli occhi, rossi come il sangue sullo spadone di Ramen. Se solo si fosse fatto più scrupoli a lanciare palle di fuoco in giro, quando i suoi compagni erano nella traiettoria...
– Cosa?
Si avvicinò a lui, spostandosi il mantello dalle gambe e lasciando intravedere il pugnale ricurvo che portava alla cintola. Un pugnale pieno di segreti, come tutto ciò che lo riguardava.
– Qui, vedi?
– Usuratonkachi che stai dicendo? Non c'è niente.
Ramen aveva alzato la parte sopra della gogna. – Qui, questo simbolo.
Sharingan non fece neanche in tempo a guardare che l'altro lo afferrò per le spalle, piegandolo a novanta sulla gogna. Afferrò l'altra estremità e fece per chiuderla.

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