Ⅳ
Aubes éternelles dans un avril qui sait d'Absence
Eravamo due sconosciuti, e io amavo Nymphe.
L'alba di quel giorno d'aprile non riusciva a dirmi nulla, seppur cercassi di chiederle spiegazioni, mentre camminavo su quella strada deserta e ciottolosa. Si sa che la lontananza è pesante come di un'ancora negli abissi d'un oceano, ma non pensavo fosse così soffocante. In Provenza l'aria sembrava non cambiare più, non da quando quella dolce ragazza dai capelli castani e le ginocchia sbucciate se n'era andata.
Bisogna dire che sapevo la Provenza fosse la terra dell'Amore e non della mancanza, e magari non ce ne rendiamo conto finché non la sentiamo dentro al petto.
I fiori di quel campo stavano rinascendo, la spiaggia si stava riscaldando e il sidro sembrava più aspro. Bisogna dire che non mi ero mai reso conto di amare a tal punto Nymphe, e l'avevo capito solo quando ormai eravamo due sconosciuti. E, per quanto avessi potuto pensare a come capirlo, probabilmente ormai era troppo tardi. Come la giovinezza aveva deciso di non lasciarci ancora per molto, così avevo deciso di non lasciare il mio amore per Nymphe e i ricordi che me la facevano amare. Bisogna dire che non ricordavo come da sconosciuti fossimo divenuti amanti, e come da amanti fossimo divenuti due sconosciuti; sapevo solo che le camelie non avevano più lo stesso profumo, che avevo chiesto scusa a Dio una sola volta, invano; sapevo ch'ero rimasto solo e il mio cuore non trovava consolazione. Sapevo che le onde del mare si avvertivano meglio, e che non c'era più nessuno a bere vino e fare l'amore sulla spiaggia. Sapevo che non avrei mai saputo davvero come provare quella sorta di perdita. Sapevo che Dio, un giorno, e forse, mi avrebbe perdonato; ma non mi sarebbe importato più, tanto il mio amore era grande per Nymphe.
Nymphe, che il suo sorriso alleviava la forza del vento e la sua fragilità rompeva le correnti del mare; Nymphe, che aveva rovesciato il mio mondo col suo amore, e che lo aveva lasciato così, seppur andata via. Bisogna dire che imparavo a riconoscere i fiori e a contare le onde che toccavano la riva, ma non avrei mai potuto imparare a diffidare d'ogni cosa; perché, se lo avessi fatto, avrebbe significato che avrei dovuto diffidare di Nymphe e del suo amore, e non avrei mai potuto. Come avrei potuto impararlo? Troppo crogiolato nel rimpianto e nel dolore, nella speranza di scorgere ancora, un'ultima volta, il suo sorriso di bimba e le ginocchia rosse come il sangue – rosse come l'Amore.
Camminando, su di quella strada ciottolosa in quell'alba che sembrava non far nascere mai completamente il sole, mi domandavo come potesse essere semplice perdere qualcosa ch'era nato col tempo; come un fiore che aveva fatto tanto per crescere potesse morire solo estirpandolo, come un'onda seccarsi sulla spiaggia dopo esservi corsa incontro con così furia e spensieratezza; come poter andare via e pensare di non riuscire a guardare indietro a quell'amore che avevi lasciato solo.
Bisogna dire che Nymphe era tutti i cieli che non avevo mai visto, tutti i fiori che non avevo mai sentito, tutte le onde che non avevo mai ascoltato. E, andata via, tutto ciò con cui ero cresciuto, s'era perduto. Bisogna dire che non gliene facevo una colpa, che si cresce e si va avanti. Bisogna dire che una colpa la facevo a me stesso per non averle sussurrato il mio amore tante volte quante le aveva sussurrate lei – per non averglielo sussurrato mai. Solo, non esiste modo o tempo per rimediare, tornando indietro; se quelle pietre avessero potuto percepirlo, saprebbero dire quante lettere avrei scritto per Nymphe, così lontana dal mio cuore. Bisogna dire che non impariamo mai a diffidare d'ogni cosa, ma che non impariamo nemmeno a peccare e sperare. La sigaretta finita la schiacciavo sotto gli scarponi, respiravo profondamente e trattenevo il pianto in gola.
La strada era deserta e piangeva sotto l'alba di aprile. E in quell'alba, alzato lo sguardo, una ragazza si alzava da terra dopo una rovinosa caduta in bicicletta e si puliva il vestito. E mi sembrava di sentire una voce, una risata invidiata d'ogni creatura magica; mi sembrava di sentire... la risata di Nymphe. E su di quella strada, quella ragazza voltatasi verso di me, si mostrava in tutta la sua bellezza: i capelli castani, corti e scombinati, la pelle così chiara da risplendere al sole e le ginocchia sbucciate.
Ed era proprio lei: la mia dolce Nymphe, che correva verso di me, sbracciandosi, per poi stringermi e regalarmi il bacio più bello che il mondo avesse mai potuto guardare. E commosso, stanco, sazio d'amore per lei, la stringevo forte a me, il frutto succoso e umido delle sue labbra, il suo sangue contro i miei pantaloni, la sua risata bambinesca che vibrava nella mia bocca. Bisogna dire che, se il pianto non m'avesse fermato il respiro, le avrei parlato del mio amore – ma Nymphe aveva già capito, e nessuna parola sarebbe mai stata abbastanza per noi, racchiusa in quell'alba, su quella strada. E se Nymphe avesse potuto ascoltare i miei pensieri, avrebbe saputo che le stavo dicendo queste parole:
Un giorno, tu ed io, saremo nel mare a guardare le stelle. E se questo giorno tarda ad arrivare, non devi dimenticare che ti aspetto dove i fiori non muoiono mai, dove la luna è sempre piena, e dove l'Amore non può trovarci.
E Dio non ci perdonerà mai per questo.E così giovani, liberi e innamorati, come avremmo mai potuto imparare a diffidare d'ogni cosa, s'era il nostro amore tutto ciò a cui noi ci affidavamo? Come avremmo potuto? Nymphe ridente e felice, io piangente e innamorato – e lei stretta, tra le mie braccia.
𝐋𝐀 𝐅𝐈𝐍.
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𝐍𝐘𝐌𝐏𝐇𝐄
Short Story«Faut dire qu'on ne nous apprend pas à se méfier du tout» Copyright © -TRVCHEITE, 2018 - Tous droits réservés. Storia Vincitrice degli Italian Academy Awards in "Miglior Stile".