Camminava tra i vicoli, nel buio, l'unica luce che si vedeva era quella della sigaretta che teneva in bocca. Non c'era anima viva a quell'ora, tutti erano a dormire. Forse doveva andarci anche lui, era tardi. A casa sua mancava poco, ma non aveva fretta. Aveva tutto il tempo del mondo. Non aveva nessuno ad aspettarlo, solo il buio e vuoto appartamento. Continuò ad avanzare, ma, perso nei suoi pensieri, non si accorse di aver oltrepassato il vicolo che doveva prendere. Si era sempre detto di dover prestare più attenzione a dove passava, ma ovviamente non lo faceva.
Lo stretto vicolo secondario in cui era entrato era più scuro di quello principale, come se fosse proibita la luce. La puzza di marcio impregnava la zona, si tappò il naso e fece per tornare indietro quando vide un luccichio, come il riflesso di una luce sul metallo. Avanzò verso di esso incuriosito, cosa mai gli poteva succedere? Andava tutto bene in quella cittadina, quindi perché avrebbe dovuto essere preoccupato? Prese l'accendino per farsi luce, ma quando arrivò vicino al luccichio inciampò venendo accolto a terra da un intenso odore di sangue fresco. Si alzò leggermente schifato da quell'odore ripugnate e fece per pulirsi la camicia con la mano quando sentì qualcosa di simile a un naso. Poi sentì delle labbra, i buchi degli occhi, pelle. Stette zitto, avrebbe voluto urlare, ma era troppo spaventato. Si tolse la maglia, sopra vi era appiccicato un volto umano, o perlomeno la pelle, da cui grondava sangue. Fece cadere a terra il tutto e scappò via. Tornò indietro correndo, con il vento freddo che gli andava contro la pelle nuda del petto. E quando trovò una luce ci si rifugiò sotto ancora in preda al panico. Riprese la sua fuga da quella cosa che si era trovato addosso e, una volta arrivato nel suo misero appartamento, accese tutte le luci con il timore di stare al buio.
Si sedette sul letto, con il cellulare in mano. Voleva parlare con qualcuno. Ma chi? Nessuno gli avrebbe dato credito, avrebbero pensato tutti che si fosse di nuovo fatto. Un po' era vero, come quella faccia che gli si era appiccicata alla maglia. Guardò i contatti: nessuno disponibile. Scrisse alla sorella, magari non lo avrebbe creduto drogato..."Ma sei pazzo? Una faccia sulla tua camicia? Cosa ti sei fumato?" Così rispondeva, così avrebbe fatto chiunque
altro avesse contattato. Sentiva che lo avrebbero allontanato, come avevano già fatto anni prima. Lanciò il telefono dall'altra parte della stanza e si raggomitolò sul letto. Solo e abbandonato per una stupida faccia umana sulla maglia. Forse avevano ragione, era la droga...Il giorno dopo si alzò, come se nulla fosse successo. Andò in bagno, si fece la doccia e si vestì, andò in cucina, mangiò colazione, tornò in bagno, si lavò i denti, andò all'ingresso e aprì la porta per uscire. Ecco, aprì la porta. Quanto avrebbe voluto non averlo fatto... Richiuse la porta di scatto, per poi appoggiarsi al muro inorridito. Era reale quello che aveva visto? No, non poteva esserlo. Chi mai avrebbe fatto qualcosa del genere? Era uno scherzo vero? Uno scherzo di cattivo gusto... Deglutì e si avvicinò alla porta, aprendola lentamente. Erano lì ad aspettarlo. Delle piccole e innocenti teste di uccelli. Messe in fila, come a formare una figura. Ma non restò lì a guardarle, le sorpassò schifato e si allontanò sentendo i loro sguardi vacui e morti seguirlo. Camminò fingendo che andasse tutto bene, che il giorno prima non si fosse trovato un volto umano sulla maglia e che quella mattina uscendo di casa per andare a lavoro non avesse trovato quegli uccelli senza corpo.
Parlò dell'accaduto con qualche suo collega, ma lo allontanarono dicendogli che era drogato. No, sta volta era sicuro di non essere drogato. Fece finta di nulla, disse che forse avevano ragione e lavorò per il resto del tempo solo in attesa che la giornata finisse per poter così tornare a casa. Nel bel mezzo della giornata il suo capo gli si avvicinò e gli parlò, gli disse che forse era meglio che si prendesse una pausa per riprendersi dalle droghe. Insistette, ma lui non cedette. Solo perché non lo credevano non avrebbe rinunciato al lavoro. A metà pomeriggio si alzò dalla sua postazione e si avviò verso l'uscita. Era affollata, strano pensò. Si fece largo e arrivò alla porta dove vide quello che aveva creato quella folla. Delle teste, teste di pesci. Sembravano essere state rubate dai banchi del mercato. Si sentì spaventato, altre teste, altre facce...
Le sorpassò come se nulla fosse, anche da quelle si sentiva osservato. Chiuse gli occhi e continuò ad allontanarsi da quella porta. Prese un vicolo secondario per evitare il mercato e corse verso casa sua. Per fortuna gli uccelli non c'erano più, quindi entrò con relativa calma. Vide che lo schermo del cellulare era acceso e lo prese, andando a sedersi sul letto. Guardò il telefono e vide che c'era un messaggio da un numero sconosciuto, che diceva solamente: "Ciao, hai bisogno di un amico?" . Un altro scherzo di cattivo gusto, come le teste. Voleva negare che gli stesse accadendo qualcosa, che qualcuno lo stesse perseguitando. Lanciò nuovamente il telefono dall'altra parte della stanza e si stese sul letto. Perché a lui? Era quello il problema.
La mattina dopo si alzò come se nulla fosse e ripeté la sua routine, guardò il cellulare. Un nuovo messaggio dal numero sconosciuto. Lo ignorò e andò alla porta, aprendola con calma. Non si stupì eccessivamente quando vide la testa di diversi rettili davanti alla porta e ancora una volta vide che erano messi in modo studiato, c'era uno schema nelle loro posizioni, ma ancora una volta non ci fece caso. Si allontanò, ma ovunque guardava gli sembrava di vedere una faccia sorridente che aspettava il suo sguardo. Rabbrividiva a ogni passo, sentiva gli occhi di tutti quegli innocenti animali alla spalle che lo guardavano e lo criticavano. Sentiva gli occhi di tutti i suoi amici, che lo sgridavano perché secondo loro si era di nuovo fatto, anche se non si faceva orami da mesi.
Avanzava con timore, ma non lo mostrava. Viveva con timore ormai. Ancora una volta andò al lavoro e ancora una volta delle teste lo attendevano, non erano più semplicemente staccate dal corpo, erano tagliate con cura. Come se non si volesse mostrare la nuca, ma solo il volto. Tornò a casa, era esausto, stanco di tutto. Non voleva più sentirsi preso in giro. Si stese sul letto e chiuse gli occhi, immerso nella luce delle candele accese in ogni stanza per non rimanere nel buio. Ancora una volta si addormentò e ancora una volta si svegliò. Non fece come tutti i giorni, dopo tutto era un giorno festivo. Poteva rilassarsi. Prese il cellulare e guardò, ancora quel numero sconosciuto. Aprì la chat e guardò i messaggi, gli ultimi cinque lo spinsero a lanciare il cellulare, sia per rabbia che per paura. Chi mai avrebbe fatto una cosa del genere? Delle immagini, delle stupide immagini che aveva già visto. Non l'ultima però, e allora si alzò. Corse alla porta, dove rimase immobile per qualche minuto, poi aprì. Non era quello che si aspettava, no, era peggio. Arretrò impaurito mentre guardava fuori dalla porta, un uomo senza faccia. La carne era esposta, ricoperta dal sangue secco, si vedevano i tendini, i nervi e i muscoli, le vene. Lui "aprì" la bocca e parlò con un tono angosciante: «Hai visto la mia faccia?» la stessa cosa che le teste avevano detto, non se ne era reso conto finché non aveva visto le fotografie, disposte a formare delle parole. Si bloccò, mentre egli avanzava, con un coltello in mano. Una volta in casa, aveva chiuso la porta e si era avvicinato a lui sussurrando: «Siamo amici, amici senza faccia».
Mi svegliai, era proprio interessante come storia. Mi alzai dal letto e andai alla scrivania. Presi una penna e scrissi. Sai, è proprio un bel racconto secondo me. E ora dimmi, hai visto la mia faccia?