Anna

16 3 0
                                    

Anna.
Si chiamava Anna.
Erano quattro lettere, poche ma significative; a lei piaceva tanto il suo nome, diceva che la rispecchiava e non so se lo faceva perché gli altri le dicevano la stessa cosa o perché lo pensasse veramente.
«C'hai la faccia da Anna, si.» ecco. Ecco cosa le dicevano.
Anna rispondeva che avevano ragione e poi si guardava allo specchio, si guardava spesso e non per vanità o per piacere; s'osservava per capire quante facce poteva avere oltre a quella da Anna. Perché lei era complessa, diceva di voler essere soltanto Anna e poi voleva essere tutt'altro.
Era fatta così.
Era una donna particolare, una che attira l'attenzione pur essendo semplice, pur non agghindandosi per le feste. Era proprio la sua semplicità a farsi guardare, era la sua bellezza.
Anna.
Quattro lettere e infiniti significati, infiniti mondi, infiniti sentimenti. Che poi, non capisco perché quando scrivo di lei finisco sempre a parlare di infiniti e tristezza, un infinito che è troppo grande per essere immaginato e una tristezza diversa che non escludeva del tutto la felicità.
Perché, ve l'ho già detto, lei era fatta a questa maniera qua: un momento era felice, troppo felice per poterlo capire, tanto che ogni tanto t'arrivavi a chiedere se eri tu lo stolto o lei la scellerata e poi il tempo di sbattere gli occhi e la vedevi che si contava le lacrime che le rigavano il viso fino a scavarle delle fosse sugli zigomi.
Anna diceva che lei le emozioni le viveva in un modo tutto suo, che lei era una persona che le emozioni se le viveva fino all'ultima goccia. Io direi che lei se le viveva intensamente, delle volte anche più del limite del normale ma era Anna e non ci poteva fare niente.
Mi chiedevo cosa si provasse a vivere un giorno soltanto nella sua testa sempre in movimento, a vivere un giorno soltanto nel suo mondo.
Mi chiedevo cosa si provasse a vedere tutto ciò che è piccolo come qualcosa di grande. Lei rivalutava tutto, le grandezze erano relative per Anna.
Non andavamo d'accordo su niente; basti pensare che tutto quello che per me era importante, quasi fondamentale, lei lo metteva in discussione e lo riteneva piuttosto insignificante, anche se cercava di non darlo a vedere perché non voleva ferirmi. Era capace di proteggere quel qualcosa anche dalle sue critiche perché, come ho detto, era importante per me.
«Non te lo dimenticare che se c'è qualcosa che non metterò mai in discussione sei tu.» mi diceva e io ci credevo.
Anna ti faceva sentire una priorità, il problema stava nel fatto che si escludeva immediatamente dall'elenco e si sminuiva.
Avrei voluto che potesse avere i miei occhi anche per un secondo misero per dare una sbirciata veloce e rendersi conto di quanto fosse splendida per me. Perché lei era una priorità, lo era per me e lo sarà sempre in qualche modo.
Si sentiva in colpa quando la gioia nella sua forma più pura le arrossava le guance e le accarezzava castamente i fianchi. Eppure quando la sofferenza le svuotava l'anima, le schiacciava il cuore e le faceva sanguinare i polsi desiderava ardentemente provare di nuovo quella soffiata d'aria fresca che era per lei l'essere contenta.
È difficile pure adesso capire cosa l'ha portata a non tornare quella mattina d'autunno, io non ve lo so spiegare perché Anna se n'è voluta andare, perché non ha trovato più motivi per restare. Forse ha messo in discussione pure quei motivi, forse ha messo in discussione pure me.
Non lo so spiegare manco a me stesso, sarà che ogni volta che parlo di lei mi sembra sempre che stia per tornare a casa, sarà che la aspetto ancora per cenare insieme e ogni lunedì sera mi siedo per scegliere un vecchio film per la nostra serata cinema.
Vorrei scrivere un libro su di lei e dico vorrei perché non ci riesco; mi sembra sempre che le parole non le rendano giustizia per niente e qui i casi sono due: o sono io che come scrittore faccio pietà o è lei a essere talmente tanto immensa da non poter aver limiti neanche nelle lettere. E, forse, dico forse, entrambe le mie ipotesi sono veritiere. Che Anna riesce a essere grande anche da morta e io non mi so spiegare neanche questo.
Morta.
La mia Anna è morta e io? Io bagno i fogli di lacrime salate, sporco la sua tomba con i miei mazzi di fiori e non riesco a dormire.
Lei lo diceva, diceva sempre tantissime cose, ma questa la ripeteva continuamente; mi diceva che si sentiva sola anche se, poi, sola non era mai.
La prenderete per matta, non è vero? E lei, magari, un poco lo era. Era folle ma folle lo siamo tutti.
No, lei era particolare.
La sua solitudine era come lei, era qualche cosa di diverso, diverso come l'anima sua.
Era una solitudine mentale che a noi suona come un'utopia e a lei suonava come una croce.
Lei si sentiva perennemente incompresa e non lo dava a vedere e tu pensavi che stava bene e bene non stava per niente.
Anna stava marcendo, prigioniera nella sua testa infame.
Anna perdeva i suoi colori, vedeva crollare cattedrali e grattacieli e lei poteva dare solo pugni sordi alle sue prigioni mentali.
Cadeva pure il cielo.
Sprofondavano i mari.
Si dissolvevano le nuvole.
Si spezzava la voce.
Si perdeva per strada.
Perdeva pure le chiavi di casa.
Mi sono detto che doveva per forza aver perduto le chiavi di casa, per questo non mi ha svegliato col profumo del caffè quella mattina.
Mi sono svegliato col suono del telefono martellante e fastidioso, l'ho cecata tra le lenzuola e pure in cucina.
Anna non c'era.
Anna era in stazione e aveva perso perfino il treno, anzi, a dire la verità, il treno non era proprio partito ma lei aveva trovato una scappatoia per partire lo stesso.
Avrei voluto saper leggere fra le righe di quella sua solitudine assillante che l'ha rapita e se l'è portata via.
Avrei voluto dirle di tornare a casa che la stavo aspettando.
«Anna?» la chiamerei e lei si volterebbe a cercare il mio sguardo con quel sorriso che la contraddistingue in mezzo a tutto il resto.
Le direi che è bella, bella, fin troppo bella per essere vera e lei riderebbe e mi darebbe un bacio, uno di quelli che mi dava sempre, così sincero e così appassionato.
Anna era appassionata.
Era appassionata d'arte, di musica, di vita.
Poi ha perso le chiavi di casa.
Poi non è tornata a casa.

//

A differenza di Anna, io a casa ci torno sempre in un modo o in un altro.
Quindi eccomi qua, dopo tanto tempo. Direi anche troppo tempo.
Sparisco spesso ma ritrovo le mie chiavi e ritrovo anche la strada.

Torna a CasaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora