[1] uno - tess.

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Era un giorno come tanti: mi stavo dirigendo a scuola con Mike, il mio ragazzo, che guarda caso abitava anche nel mio paese. Non era una cosa comune dal momento che la scuola era situata praticamente in centro e pochi ce l'avevano vicina, tutti gli altri provenivano da fuori o comunque lontano.
   Ero incantata a guardare fuori dal finestrino, gli alberi che sfrecciavano sotto ai miei occhi come se fossi io quella immobile e il cielo era tinto di sfumature spente e invernali. Mike mi strinse la mano gelida con la sua calda ed io sorrisi, senza voltarmi. Sapevo che per lui era abbastanza straziante non ricevere attenzioni, però doveva farci l'abitudine.
   «Che materie abbiamo oggi?» chiese per cercare di attaccare bottone.
   Io storsi il naso annoiata e finalmente mi girai, così da accontentarlo.
   «Storia dell'arte, pittoriche e non ricordo più» lo liquidai, poi mi rigirai.
   Lui tolse la mano dalla mia ed io, per qualche strano e oscuro motivo, sentii come un vuoto dentro di me. Roteai gli occhi e sbuffai senza farmi notare.
   «Ehi, rimettila che ho freddo!»
   Gli presi la mano e la rimisi al suo posto. Mike voltò la testa verso di me e nei suoi occhi potei vedere la disperazione anche attraverso le spesse lenti degli occhiali.
   «Che hai?» chiesi, preoccupata.
   «Tess,» si bloccò, guardò per un attimo attorno a sé e poi riportò i suoi occhi nei miei «tu mi ami ancora?»
   Quella domanda mi spiazzò. Schiusi le labbra come per iniziare a giustificare i miei comportamenti, ma non uscì alcuna parola. Il mio ragazzo continuava a fissarmi e io non riuscivo a parlare; che sensazione orribile.
   «Okay, ho capito. Non serve che tu dica nulla. So che tra noi non è mai andata come sarebbe dovuta andare una coppia normale, ma noi non siamo normali. Non lo siamo per niente e tu lo sai meglio di-» gli presi la mano e lo bloccai, premendo le mie labbra sulle sue. Dovevo rimediare al danno e l'unica maniera per convincere Mike che lo amavo, era fargli vedere che non avevo paura di baciarlo in pubblico.
   Non era mai stato un cattivo ragazzo, con il caratteraccio, il fumo e le giacche di pelle. Lui amava l'arte ancor di più di quanto amasse me, e mi amava davvero tanto. Sapeva praticamente ogni cosa a riguardo, tutto il suo mondo girava attorno allo studio e a ciò che era diverso. Io ero diversa da lui, perciò l'avevo attratto. Mi ero pentita di essermi messa con lui perché aveva un cuore troppo grande, e di solito le persone così sono soggette a stare male il doppio di quelle a cui sembra che non gliene freghi nulla di nessuno, come me. Sapeva bene che io non ero ciò che mostravo, ma non si era mai permesso di chiedermi cosa tenessi nascosto. Mi piaceva per questo motivo, non era un ficcanaso.
   Quando mi allontanai, lentamente, lui mi prese il mento e ricominciò a baciarmi. Sapevo che l'avrei riconquistato, d'altronde ci riuscivo con tutti. Se mi abbandonavano era solamente per mia scelta.

* * *

L'autobus si fermò ed io e Mike scendemmo mano nella mano. Non andavo proprio così matta per le effusioni d'amore in pubblico, ma a lui piaceva sentirsi importante ed io non potevo farmelo scappare. Non ora, almeno.
   Stavamo insieme da due mesi, probabilmente la relazione con un ragazzo più lunga della mia vita. Mi piaceva Mike, non era invasivo, non faceva domande, era semplicemente normale.
   «Fa freddo oggi» disse, stringendosi
nelle spalle.
   «Già, meno male che questa mattina mi sono messa 3 maglioni»
   «Veramente? Sembrerai una grassona quando ti toglierai il giubbotto» rise di gusto, ed io lo guardai storto.
   «Scemo!» dissi, poi gli tirai uno schiaffo sulla testa, perché intorno al collo aveva la sciarpa rossa che gli avevo regalato per Natale.
   Lui gemette di dolore e si grattò la testa, imprecando e mandandomi a quel paese. Ridacchiai, poi accelerai il passo per paura che mi prendesse e ricambiasse il favore, e ad un certo punto non mi resi nemmeno conto di aver iniziato a correre. Mike mi stava alle calcagna e io stavo per collassare (non ero per nulla atletica).
«Vieni qui, stupida!»
«No!» risposi, guardando un attimo dietro di me per vedere quanto vicino era. Fu in quel secondo che rallentai, che mi prese.
«Acchiappata» disse ridendo con il fiatone, stringendomi al suo petto.

È tutto così sbagliato...

Risi anch'io e ricambiai l'abbraccio. Non mi dava neanche troppo fastidio starmene attaccata a lui, o a qualsiasi altro ragazzo che avevo avuto. Mi bastava immaginare che fosse un semplice amico, perché una ragazza... La vedevo dura.

   Ricominciammo a camminare ma io stavo sempre attenta a mantenere le distanze. Qualche volta Mike cercava di prendermi la mano mentre parlava, ed io mi scostavo con la scusa del gesticolare mentre gli rispondevo. Non volevo toccarlo così tanto, non mi sentivo a mio agio, e dai suoi occhi vedevo che l'aveva capito. Rinunciò alla sua impresa e smise di parlare, facendo calare un silenzio imbarazzante. Le auto sfrecciavano come saette vicino a noi, chissà dove e chissà perché, ed io che volevo soltanto buttarmici sotto.
Quando arrivammo davanti alla scuola presi un grosso respiro e varcai la soglia del cancello. D'istinto afferrai la mano di Mike per darmi coraggio e immaginai che i suoi occhi si spalancassero dalla sorpresa, ma non volli accertarmene.
Le persone assembrate ridevano, fintamente, mentre altri gruppi emanavano solo depressione. C'erano i solitari, quelli con le cuffie, isolati dal mondo, e poi c'era chi stava limonando con il proprio partner, sia etero che gay. Vidi due ragazze, mano nella mano, che si guardavano negli occhi come se stessero facendo l'amore davanti a tutti. Mi venne la tachicardia.
Quello era il mio palcoscenico, il mio teatrino. Ogni volta che lo guardavo mi chiedevo "Sarò in grado di fingere ancora?" e la risposta era ovvia: ero obbligata. Solo così sarei rimasta in piedi, e intatta.
La campanella suonò, ma io non mi mossi. La mano intrecciata a quella di Mike stava sudando e quella nella tasca stava congelando. Forse dovevo staccarmi.
«Andiamo?» chiesi, più a me stessa che a lui, e mi rispose annuendo guardandosi intorno.
«Qualcosa non va?» dissi vedendolo distratto.
Mike portò i suoi occhi a me e sorrise. Non avevo ancora capito quando sorrideva sul serio e quando lo faceva solo per farmi piacere.
«Non preoccuparti» rispose, allentando la presa alla mia mano.
Ero confusa, ma lasciai perdere. Non pensavo che m'interessasse sul serio.
Entrammo nella scuola e una ventata d'aria calda mi colpì sulle guance, come ogni mattina. Con estrema comodità, ci incamminammo verso l'aula di storia dell'arte, e una volta dentro andammo a sederci ai soliti posti in fondo. C'eravamo praticamente solo noi, tranne qualche altro asociale come noi che se ne stava stravaccato sulla sedia ad ascoltare la musica al massimo nelle cuffie.
«Non te l'ho chiesto questa mattina. Come stai?» chiese Mike, prendendomi alla sprovvista.
Cercai di trattenere la sorpresa, ma fu alquanto difficile visto che ogni maledetta volta era sempre la stessa storia. "A chi cazzo importa di come sto?" pensavo sempre, e Mike mi faceva ricredere ogni volta. L'avrei amato davvero, se solo fossi nata etero.
«Bene, tu?» dissi, cercando di essere il più naturale possibile.
L'espressione sul suo viso sembrava dire che non mi credeva, ma come ogni volta evitai di darle troppo peso e attesi che mi rispondesse.
«Bene. Ti amo Tess, davvero tanto.»
La mia gola iniziò a stringersi, fino a farmi soffocare. Stavo per gettargli le braccia al collo, ma qualcosa bloccò tutti i muscoli del mio corpo. Era arrivata la professoressa, ma non era sola. Una ragazza bionda, capelli sopra le spalle, vestita come una bambola di porcellana mi fissava attraverso le lenti dei suoi occhiali come se non avesse mai visto una ragazza in vita sua, oltre lei. Scrutandola a mia volta, mi resi conto di una cosa. Una cosa che mi lasciò decisamente perplessa.

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