Io sono un'unità di supporto familiare, modello Eutronics 460, ma la mia famiglia mi chiamò Teddy.
Io, oggi, sto per morire.
Sono passati cinquanta anni dalla mia attivazione e sono ufficialmente scaduto. O meglio: lo sono le parti del mio cervello artificiale che mi rendono me stesso, che quindi verranno sostituite, uccidendomi. Fra esattamente quindici minuti e diciotto secondi da... adesso entrerò nella sala delle riparazioni. Non posso scappare, sono attaccato magneticamente ad una sedia, ma non so se lo farei se potessi. Ho accettato l'idea, tanto l'alternativa sarebbe avere un collasso delle funzioni di calcolo entro pochi mesi, rincretinendomi man mano. L'idea è allettante tanto quanto questa.
Tutto quello che riesco a fare in questo istante è ripensare a tutte le cose che mi sono successe in vita.
Sempre se così la si può definire.
Il vantaggio di avere un cervello artificiale è che non posso dimenticare nulla.
Mi ricordo il giorno in cui arrivai a casa degli Holmes. La signora aveva appena dato alla luce il piccolo Thomas e in più c'era anche Alex, la loro prima figlia di appena diciotto mesi quattordici giorni e quindici ore, a cui badare. Quindi i signori Holmes decisero di comprarmi per aiutarli con le faccende di casa e per badare ai loro figli.
Appena Alex mi vide, esclamò: "Teddy!". Ovvero il nome del suo orsacchiotto, che non a caso era identico a me. Era stato comprato appositamente dai genitori per farla preventivamente abituare alla mia figura "coccolosa", come direbbe Alex. Così da quel giorno mi chiamai così. Era un bel nome, breve, musicale, compatto... comune. Ben presto scoprii che era uno dei nomi più usati per i modelli Eutronics 460, chissà perché...Comunque la cosa non mi diede molto fastidio, non incontrai mai molti Eutronics, visto che stavo sempre a casa e quando i piccoli furono cresciuti, li andava a prendere a scuola il signor Holmes.
Penso che i momenti più belli della mia vita li abbia passati con i piccoli Thomas ed Alex. Mi ricordo perfettamente di quando gli costruii una navicella spaziale in legno. Alex faceva il comandante e indicava al fratello i nemici da colpire ed io, intanto, li scorrazzavo per tutta la casa. E quel gioco durava per ore ed ore. Un altro gioco che amavano fare, era nascondino. Non era particolarmente difficile trovarli, ricordando ogni anfratto della casa ed i loro nascondigli preferiti, però li lasciavo vincere. Solo raramente li trovavo, ma solo per fargli percepire il brivido del gioco e non farli mai annoiare. Penso, però, che la cosa che preferii fare, durante la loro infanzia, furono le vacanze estive. Era l'unico periodo dell'anno che potevo passare lontano da casa. Così potevo vedere meraviglie di tutti i generi: strane piante con le spine, gli alberghi, grandi navi, porti, la sabbia e i coloratissimi costumi da bagno che adoravo. La cosa che mi rimase più impressa di tutte, però, fu l'oceano. Azzurro, scintillante, prima calmo, poi tempestoso. Pieno di meraviglie e di tesori, pulsante di vita.
Amavo fare i bagni con i bambini. Purtroppo il mio corpo non è fatto per galleggiare, ma è resistente all'acqua, quindi potevo tranquillamente seguirli camminando sul fondale e mentre mi divertivo a osservarli nuotare in mezzo a pesciolini colorati, loro si divertivano a scendere sotto per vedere dove stavo e cosa stessi facendo e giocavamo così. Non facevamo nulla di complicato o di particolare, ma loro si divertivano un mondo nel cercarmi sul fondale ed io cercavo sempre di sorprenderli con qualcosa: una conchiglia, una bella pietra. O beh, non sono mai riuscito a prendere altro ed i coralli non li ho voluti rompere perché crescono troppo lentamente. Ma sto divagando. Il punto è che ci divertivamo un mondo in acqua.
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Il robot che voleva andare in paradiso
Science FictionIl racconto di stile Asimoviano narra in prima persona le vicissitudini di un robot, che, arrivato nella sua "vecchiaia" si interroga sull'esistenza come farebbe un qualsiasi umano, eppure con lui tali ragionamenti possono essere sensati? Può una ma...